QUANDO SEI FELICE Ti GODI LA MUSICA, QUANDO SEI TRISTE CAPISCI I TESTI (1 Viewer)

Val

Torniamo alla LIRA
L’attuale quotazione dell’Euro non è così forte da provocare una grave crisi diplomatica con gli USA, ma è abbastanza forte da provocare un restringimento della base occupazionale e delle esportazioni dei paesi europei.
Questa crisi, che si aggiunge alla crisi della bolla internet, a quella dei subprime, a quella immobiliare, a quella bancaria, a quella produttiva e a quella occupazionale, rischia di spezzare il processo di unificazione europeo che – per quanto criticabile e imperfetto – è l’unico ( se emendato e realizzato) in grado di competere con gli USA a livello mondiale e mettere in crisi lo strumento di dominio mondiale in mano agli USA: il dollaro.

Ormai al cambio, per avere un euro bisogna pagare un dollaro USA e trentanove centesimi: l’euro è considerato troppo forte dagli acquirenti mondiali di beni industriali e le esportazioni UE ne soffrono e quelle USA , no.
In pratica è come se le imprese americane vendessero col 40% di sconto rispetto a noi.

L’inflazione nella zona euro ( 1,5%) è praticamente inesistente.
Il tasso di interesse della BCE ( Banca centrale Europea) è ormai dello zero per cento e quindi non è in grado di stimolare l’economia alla crescita.
Bloomberg da ieri fa notare che “nelle ultime tre settimane i bond italiani danno cenni di cedimento.
” I francesi continuano a perdere cinquantamila posti di lavoro al mese. ( la ripresa occupazionale di agosto era provocata da un inconveniente tecnico che si è riflesso sulla statistica, ma è stato corretto).

La sola possibilità di dare ossigeno alle imprese ed ai consumatori europei consiste nel realizzare una forma di quantitative easing che questo blog consiglia da tre anni e che il patrio governo rifiuta di attuare preferendo una politica di incremento delle tasse e riduzione ( mai attuata) della spesa pubblica patrocinato dalla Germania.

Sola eccezione, Mario Draghi che ha aggirato il divieto germanico stampando un nuovo taglio da cinque euro, ma si è trattato di un escamotage di corto respiro.
 

Val

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La Germania, forte di un surplus commerciale quasi triplo in termini reali e assoluti rispetto alla stessa Cina, vuole tornare al Gold Standard e opera in questa direzione anche se questa scelta antinflazionistica, attuata alla teutonico-talebana, penalizza molti paesi della Unione Europea, tra cui il nostro, che si trova ad avere la quarta riserva aurea del mondo, ma i conti devastati dal regime democristiano e socialista anni settanta e ottanta, ad essere legato politicamente agli USA e economicamente alla Germania.

Questa persegue un disegno egemonico mondiale in campo economico, puntando ad ancorare la moneta all’oro.
Non compete direttamente con gli USA, ma la sua scelta comporta il crollo americano.
E’ la replica del secondo conflitto mondiale con il Giappone che ha imparato la lezione.

La classe dirigente tedesca si nasconde dietro una massaia alla cancelleria, un omosessuale agli esteri e un handicappato alle finanze, ma persegue un disegno di respiro mondiale, questa volta non in uniforme e non attacca la Russia che ha una posizione arbitrale sia nel contenzioso strategico con la Cina che in quello economico con la Germania.

Gli Stati Uniti abbandonarono il collegamento del dollaro con l’oro nel 1971 e da allora hanno attuato il quantitative easing ( nome nuovo per una pratica già attuata con successo da Adolf Hitler per uscire dalla grande inflazione del primo dopoguerra) consistente nello stampare tanto denaro quanto necessario al rilancio dell’economia considerando che “la vera ricchezza su cui misurare un paese è il suo apparato produttivo e la sua capacità di penetrazione commerciale nel mondo” e ignorando l’ancoraggio all’oro-misura del valore.
Certo, attuare il quantitative easing per quasi mezzo secolo ( in questo momento stampano 85 miliardi al mese…) potrebbe creare un problema di credibilità nell’ipotesi di una richiesta di rientro dal debito, ma nessuno si sogna di chiedere il rientro a un debitore manesco che domina i mari del globo con diciannove portaerei.

Durante la recente crisi per l’approvazione del bilancio americano in cui si parlava di default i tassi di interesse del debito USA non si sono mossi di un millimetro.
Chi spera nel default del dollaro si disilluda: la legge per i forti non è la stessa nostra. Il ferro pesa più dell’oro.

Su questa scelta di inflazione gli Stati Uniti marciano assieme all’Inghilterra ed al Giappone che dopo un ventennio di ostinata politica deflazionistica, si è recentemente convertito ed ora ha un tasso di crescita impressionante.
Alla lunga, dicono gli economisti ortodossi il default è inevitabile.
Alla lunga, dicono in molti ( ed anche io) saremo tutti morti.
 

Val

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Allo scontro geopolitico tra Cina, Russia e USA si aggiunge lo scontro economico ed ideologico tra la triade del quantitative easing appena citata, da una parte e la Germania dall’altra, attorniata dai vari paesi della UE alcuni dei quali stanno dando segnali di esaurimento economico e politico.

La Russia non sfida apertamente il dominio del dollaro, mentre i cinesi cercano di affermare la loro moneta come moneta per gli scambi internazionali ( per ora solo bilaterali) con India, Indonesia e Giappone tra gli altri.

La Germania ha trascinato gli europei fino al traguardo elettorale tedesco facendoci soffrire in attesa di un momento di sollievo.
Adesso vuole aspettare le elezioni europee per distinguere gli alleati buoni dai cattivi e i fedeli dagli infedeli, ma sono in molti a ritenere che stia tirando troppo la corda.

Gli USA hanno scelto questo momento per attaccare nuovamente e l’Italia come lo swerpunkt dell’attacco. L’anello debole, al solito.
 

Val

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Saccomanni ci riprova.
Dopo aver più volte annunciato a partire dalla scorsa estate la fine della crisi italiana i, ora arriva anche a superare se stesso affermando che addirittura la crisi mondiale è finita (TG1 Online, 27.10.2013, commento ad intervista a “Che Tempo che fa” del Ministro dell’Economia).
Da toccarsi dove non batte il sole.

Unitamente a questo splendido annuncio ecco quello che attendevamo fin dall’estate, vedasi gli articoli citati ii, ossia l’annunciata privatizzazione dei beni statali.

Ma mica partendo da quelli secondari, si parte addirittura dall’ENI, il gioiello dei gioielli! Tutto come previsto viene da dire.
 

Val

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Più o meno: a parte l’incomprensibilità dei messaggi del ministro dell’economia – a vedere le previsioni fatte ed i risultati consolidati c’è da temere che si tratti di una forma di presa per i fondelli degli italiani, o nel migliore dei casi di problemi a fare di conto, o magari semplicemente di difficoltà a controllare quanto viene detto, non so -, il magnifico Saccomanni ora annuncia che vuole vendere l’asset migliore che l’Italia ha in portafoglio, asset che rende al Tesoro – fonte Paolo Scaroni, circa una settimana or sono – il 6%, per poi utilizzare i proventi della vendita per pagare il debito di Stato che mediamente paga interessi inferiori al 4%.

Follia! I conti non tornano, tanto per cambiare.
Dunque, mi domando, a parte le sue previsioni grossolanamente sballate, abbiamo forse a che fare con un caso simile a quello che fu “Incontri ravvicinati del terzo tipo”, vi ricordate il film per cui non si riusciva a capire per quasi tutta la durata della proiezione dove si andava a parare?

Inspiegabile, il fenomeno Saccomanni è apparentemente inspiegabile.

O meglio, sentendo Bonanni in un incisivo intervento trasmesso nel TG di Radio 3 alle 13:45 del 27.10.2013 in cui, anch’egli stupito da quanto proposto dal grandissimo ministro dell’economia (dovremmo sapere l’economia di quale paese, però – vedasi l’intervista di Bonanni), per giustificare la personale iniziativa saccomanniana sulla vendita di ENI citava come spiegazione l’interesse straniero a comprare ENI piuttosto di quello italiano a vendere.
Della serie: Saccomanni per chi lavora, per l’interesse degli italiani o per quello dei partners europei/potenziali compratori di ENI?

Il dubbio è più che lecito, memento le privatizzazioni del 1992 in cui il suo nume tutelare M. Draghi ebbe un ruolo estremamente importante, in effetti a venti anni di distanza ha fatto una grande carriera essendo per altro persona molto brillante.
Devo dire che ho apprezzato molto il rude intervento di Bonanni, ho avuto l’occasione di ascoltarlo di persona alla radio, chapeau!
In ogni caso questa situazione fa ben capire la gravità della situazione: anche un sindacalista vede le stesse cose che stiamo stigmatizzando noi da qualche mese, notasi che l’ottica di chi scrive non è precisamente quella di un sindacalista.
In ogni caso il dubbio è lecito.
La cosa bella, e qui ci si allinea perfettamente con quanto indicato dal segretario CISL, è che Saccomanni deve capire che le partecipazioni statali non sono sue, prima di fare certe affermazioni bisogna innescare un dibattito parlamentare e via dicendo. E fare i conti nell’interesse del Paese.

Perseverando nella direzione indicata da Saccomanni – stile voglio, posso, comando: a’ Saccoma’! Esiste ancora un Parlamento…! – ci avvicineremo velocemente ad un qualcosa di simile al colpo di stato, estremizzando.
 

Val

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