LA COLPA DELLA TROIKA E DEL SUO LIQUIDATOE MONTI
E si noti bene che quando i mercati puniscono con lo spread l’Italia, o quando le banche faticano a prestare il denaro alle imprese ed ai privati, questo è dovuto solo ai multipli di mercato peggiorati dal 2009 in avanti e crollati dal 2011 in funzione del ritiro della garanzia implicita di un’Europa che ha richiesto di rientrare dai debiti, un po’ come la banca che richiede all’impresa il ritorno del prestito dalla sera alla mattina, pena il fallimento. Ossia i mercati non considerano la mancanza di competitività reale data da uno Stato che non funziona, o delle difficoltà a fare valere i propri diritti in tribunale, o dalle tasse che uccidono il business, o che l’Italia sia lontanissima dalla vetta di qualsiasi classifica su base competitiva reale (vedasi l’ultimo report “dettagliato” dell’ultima statistica del World Economic Forum sulla competitività (vedasi nota ix), ranking in cui l’Italia appare ben posizionata nel settore privato, mentre viene affossata da tutto quello che è istituzionale, menziona speciale negativa per il settore giudiziario). No, i mercati si preoccupano semplicemente del ritorno dei propri investimenti e questo dipende soprattutto – oggi – dal debito pubblico e da quante garanzie il Governo attuale possa dare al fine di soddisfare gli appetiti dei mercati, ovvero dalla possibilità di recuperare il proprio investimento. E tutto questo sulla base di indici economici diciamo “standard”. Tanto è vero che quello che l’Europa chiede oggi è paradossalmente di incrementare le tasse, anche se questo chiaramente rischia di stritolare l’economia, minando i consumi e la stessa competitività delle imprese residenti e soprattutto impedendo qualsiasi recupero economico. Un grave paradosso, e la produttività è proprio uno di quegli indicatori sintetici, asettici, che vengono utilizzati per giustificare il rigore. Dunque è bene comprenderne il significato se si vuole trovare un modo per uscire da questo cul de sac.