oggi tocca alla Grecia... domani all'Italia (1 Viewer)

andersen1

Patrimonio dell'umanitâ
Nel mondo da sempre i paesi ricchi aiutano i paesi poveri. In europa perche' sono i paesi poveri a pagare per garantire l'integrita' dell'euro voluta da ger e fra ? Bono vox dove sei? Perche' non dici piu': cancella il debito? Perche' vale per l'africa e non per la grecia?
 

tontolina

Forumer storico
il 9 ottobre 2011 Benetazzo in tv: rete veneta
[ame="http://www.youtube.com/watch?v=EzrJYhkrzQQ&feature=related"]Faremo la fine della Grecia - YouTube[/ame]
 

tontolina

Forumer storico
Washington, il grande malato

Parlando di debito pubblico, è tempo di svoltare verso gli Stati Uniti d’America.

Le prossime settimane ricorderanno al mondo che è questo paese, e non la Grecia, all'epicentro della crisi sistemica globale.


Fra una settimana, il 23 Novembre, la "Supercommissione" del Congresso, incaricata di ridurre il deficit federale degli Stati Uniti, ammetterà la sua incapacità di acquisire risparmi per 1.500 miliardi di Dollari in dieci anni.

Ogni parte in causa sta già lavorando per dare la colpa all'altra (25).

Per quanto riguarda Barack Obama, a parte ogni considerazione sul suo lezioso passaggio televisivo con Nicolas Sarkozy, egli sta ora guardando alla situazione in modo passivo, pur rilevando di come il Congresso abbia fatto a pezzi il suo grande progetto, riguardo la creazione di nuovi posti di lavoro, introdotto solo 2 mesi fa (26).

eniamo a mente che la situazione del debito privato americano è di gran lunga peggiore di quella greca! In questo contesto, siamo vicini al panico riguardo la capacità degli Stati Uniti di rimborsare il proprio debito, se non con una moneta svalutata.





(14) Una "City" descritta da David Cameron come "sotto assedio" da parte di Eurolandia.
Incidentalmente, questa dichiarazione del Primo Ministro britannico conferma che c'è davvero
una guerra tra la City e l'Euro, contrariamente a quanto dicono i media anglo-sassoni. Fonte:
Telegraph, 28/10/2011.
 

tontolina

Forumer storico
Il governo "Goldmonti" è tanto dannoso quanto inutile

http://www.movisol.org/11news225.htm




22 novembre 2011 (MoviSol) - La cosa peggiore del governo "tecnico" di Mario Monti non è tanto nella dura politica di tagli, dismissioni, licenziamenti e aumento delle tasse che praticherà, ma quanto il fatto che essa sarà completamente inutile.

Infatti il 21 novembre, alla riapertura dei mercati dopo il voto di fiducia, la borsa è crollata e lo spread è tornato a salire, segno inequivocabile che l'"effetto Monti" era una grande balla.

In realtà, il contagio si è già esteso alla Francia, con Moody's che minaccia la retrocessione del rating transalpino e l'interrogativo inevitabile: sospenderanno la democrazia anche in Francia per salvare l'euro?


In secondo luogo, la dimensione strategica del governo "tecnico" di Goldman Sachs/Monti non va sottovalutata.

Per la prima volta, un militare in servizio diventa ministro della Difesa, un'assoluta anomalia nelle democrazie occidentali. L'Ammiraglio Giampaolo Di Paola è attuale capo del Comitato Militare della NATO, la più alta autorità militare dell'Alleanza.

In questa carica, Di Paola ha coordinato i bombardamenti "equi e solidali" in Libia, cosa di cui si è vantato in un discorso pronunciato l'8 ottobre scorso a Bucarest.
L' "impegno dell'Alleanza in Libia" ha detto Di Paola, "è la prima operazione ad aver luogo dopo che il Concetto Strategico è stato approvato dai capi di Stato e di Governo a Lisbona.

Perciò potremmo pensare e affermare che l'operazione in Libia è stata la prima applicazione di quel concetto. Per cui si tratta di un significato politico molto importante".
Si è trattato di uno dei primi casi in cui la comunità internazionale "ha chiesto a noi tutti di agire a suo nome per proteggere la popolazione dalle azioni della propria leadership. Si tratta di una risoluzione abbastanza notevole. La protezione dei popoli è ora in qualche modo riconosciuta come un valore dalla Comunità Internazionale, che può giustificare, in alcuni casi, anche l'uso della forza militare". In realtà, la NATO è andata ben oltre la risoluzione iniziale dell'ONU.


La presenza di Di Paola al comando della Difesa di un paese strategicamente così importante per il Mediterraneo come l'Italia assicura che nel caso di future operazioni contro la Siria o l'Iran, il meccanismo decisionale sia ancor più oliato.
Così come sarà oliato il meccanismo degli Esteri, dove l'ambasciatore Terzi ha già segnalato un perfetto allineamento al blocco anglo-francese nel suo primo incontro internazionale, quello col ministro degli Esteri tedesco Westerwelle.
La nomina di Corrado Passera, il principale banchiere italiano allo Sviluppo (ex Industria) e Infrastrutture suona come una beffa.

Un esperto di economia di carta dovrebbe rilanciare l'economia reale.

Il nuovo ministro del Welfare, Elsa Fornero, sostiene da anni il passaggio ad un pieno sistema contributivo, il che significa un taglio netto nel livello medio delle pensioni.




Dato che, come abbiamo detto, la "cura Monti" fallirà nel suo scoposalvare l'euro – ma ucciderà l'economia italiana,


è bene insistere fin d'ora sulla necessità di stilare un "Piano B" per l'uscita dall'euro, come ha fatto nuovamente il prof. Paolo Savona, ex ministro e presidente del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi, in una conferenza il 18 novembre ad Ascoli Piceno.

La locandina del convegno del 18 novembre 2011

"Se l'Italia entra in una deflazione grave, quale sarà la capacità di sopportazione sociale in un paese con 16 milioni di pensionati e 20 milioni di lavoratori?", si è chiesto il prof. Savona alla conferenza "Quale futuro per l'Europa", organizzata da Piceno Tecnologie. Per questo, i gruppi dirigenti "hanno il dovere di avere un Piano A e un Piano B".


Il Piano A dice quanto ci costa rimanere in Europa,

e il Piano B quanto ci costa uscire, ad esempio come si stabilirà il tasso di cambio.



Ci siamo accorti in ritardo, ha spiegato polemicamente Savona, di avere un debito denominato in una valuta "estera", in quanto l'euro non è controllato dal governo. "Io sono europeista convinto, ma non sono afflitto dalla Religione Europea", ha affermato, accusando le classi dirigenti di essersi mossa "con troppa superficialità" aderendo all'euro invece di fare, come la Gran Bretagna, uso della clausola di "opting out" nel Trattato di Maastricht.



In seguito, con il Trattato di Lisbona, "abbiamo cambiato la Costituzione con un atto illegittimo". Ora, si spera che essendoci accorti del debito in moneta "straniera", si apra un dibattito e non si rimanga nella religione europea.


Alla stessa conferenza, l'illustre costituzionalista e già ministro prof. Giuseppe Guarino ha smontato con grande maestria la tesi secondo cui il declino dell'Italia sarebbe dovuto al debito pubblico. Grazie al debito pubblico, l'Italia ha avuto tassi di sviluppo dal 1948 al 1980 che la vedono al primo posto nel mondo.

Col passaggio dal mercato comune al mercato unico, l'UE ha adottato la "tecnica di Tamerlano", e cioè di distruggere tutto ciò che trovava sulla sua strada. Raccontando un episodio della vita di Luigi XIV il giovane, il prof. Guarino ha paragonato le terapie della UE ai salassi somministrati dai grandi medici francesi e lombardi, che stavano per stroncare il re francese finché non fu chiamato un medico locale che gli somministrò un cordiale, e il re guarì. "Ci chiedono di fare sviluppo, ma se ci fanno salassi da 50, 100 e 200 miliardi, come facciamo a fare lo sviluppo?", ha chiesto Guarino tra gli applausi.
 

tontolina

Forumer storico
Abbandonare la Nave che Affonda? Un Piano per Uscire dall'Euro




Propongo qui il commento di Yanus Varoufakis, bravissimo economista e blogger Greco, al Piano Mosler/Pilkington di uscita dall'euro, di cui abbiamo già parlato. Nel leggerlo, fate piazza pulita dei pregiudizi: stiamo chiedendoci col cuore in mano se è giunto il momento di saltare sulle scialuppe e affrontare il mare ghiacciato...





Come sanno gli affezionati di questo blog, io sono del parere che il collasso della zona euro sarà foriero di un 1930 post-moderno. Mentre al tempo ero fortemente contrario alla creazione dell'euro, diurante questa crisi, ho fatto una campagna per salvarlo. Naturalmente, come ha scritto giustamente Alain Parguez qui, è impossibile salvare qualcuno, o qualcosa, che non vuole essere salvato. In questo post, pur non retrocedendo sul mio personale impegno a continuare di cercare di salvare una unione monetaria votata all'autodistruzione, riferirò di un'analisi su come uno stato membro periferico potrebbe cercare di minimizzare gli (enormi) costi socio-economici di un'uscita dalla zona euro imposti dalla sua disintegrazione.




Il piano è stato messo su avendo in mente l'Irlanda. I suoi autori sono Warren Mosler (investment manager e creatore del mortgage swap e dell'attuale Eurofutures swap contract) e Philip Pilkington, giornalista e scrittore di Dublino, Irlanda. Il loro punto di partenza è una (precisa) diagnosi: i programmi di austerità sono un misero fallimento, eppure i funzionari Europei continuano a considerarli l'unica chance. Quindi, possiamo solo concludere in questa fase che, dato che i funzionari Europei sanno che i programmi di austerità non funzionano, li stanno perseguendo per ragioni politiche piuttosto che economiche."





Per ragioni che ho anche ripetutamente avanzato, questo progetto politico, forse involontariamente, porterebbe al collasso della zona euro. Un paese come l'Irlanda dovrebbe aspettare l'amara conclusione o deve prepararsi all'uscita prima che venga martellato l'ultimo chiodo sulla bara dell'euro? Mosler e Pilkington sostengono una via d'uscita. Ma come può l'Irlanda, o il Portogallo o la Grecia o l'Italia, uscire dall'euro senza che il cielo cada sulle nostre teste?











Ecco cosa propongono. Per il testo completo clicca qui:








1. Con l'annuncio che il paese sta lasciando la zona euro, il governo di quel paese dovrebbe annunciare che effettuerà i suoi pagamenti - per i dipendenti pubblici, ecc - esclusivamente nella nuova valuta. Così il governo smetterebbe di usare l'euro come mezzo di pagamento.



2. Il governo dovrebbe inoltre annunciare di accettare pagamenti delle imposte solo in questa nuova moneta. Questo assicurerebbe che la moneta avesse un certo valore e, almeno per un po’, un’offerta molto scarsa.

E questo è già tanto. Il governo spende per le sue necessità e immette quindi la nuova moneta nell’economia mentre la nuova politica fiscale assicura che la moneta sia ricercata dagli operatori economici e, quindi, abbia valore. La spesa pubblica è quindi il canale attraverso il quale il governo immette la nuova moneta nell’economia e la tassazione è il meccanismo che garantisce che i cittadini cerchino la nuova moneta.
L’idea è quella di adottare un approccio ‘passivo’. Se il governo di un paese annuncia l’uscita dalla zona euro e poi congela i conti bancari e forza la conversione, succederebbe il caos. I cittadini del paese correrebbero agli sportelli delle banche e cercherebbero disperatamente di ottenere quanti più possibile contanti in euro, per anticipare il fatto che avrebbero più valore della nuova moneta.
Nell’ambito di questo piano, tuttavia, i conti bancari dei cittadini sarebbero lasciati stare. Spetterebbe a loro di convertire i loro euro nella nuova valuta al tasso di cambio fluttuante stabilito dal mercato. Essi, naturalmente, dovrebbero cercare la moneta per pagare le tasse, e così venderebbero beni e servizi denominati nella nuova valuta. Tutto questo ‘monetizza’ l’economia nella nuova moneta e, al tempo stesso, aiuta a stabilirne il valore di mercato.






La mia reazione a questo piano è semplice: è un modello per chiunque pensi che il sistema dell'euro abbia passato il punto di non ritorno. Una volta che questo punto è stato superato, è forse essenziale muoversi in questa direzione rapidamente. Tuttavia, io non credo che la zona euro, attualmente, si trovi oltre il punto di non ritorno. E' ancora possibile salvare la moneta comune per mezzo di un qualcosa di simile alla nostra Modesta Proposta .
Si può richiedere più interventi da parte della BCE rispetto a quelli che la modesta proposta prevede (per gentile concessione del terribile ritardo nell'attuazione di un piano razionale, e di aver invece continuato sull'insostenibile strada attuale), ma io credo che sia ancora fattibile.






Il motivo per cui sono assolutamente convinto che questo non è, ancora, il momento di abbandonare la nave, è l'enorme costo umano di un crollo della zona euro. Considerate per esempio che cosa accadrebbe se, in effetti, venisse adottato il piano di uscita proposto sopra.











Tutti i contratti del governo col settore privato (estero e nazionale) sarebbero rinegoziati nella nuova valuta, dopo la sua iniziale svalutazione.
In altre parole, i fornitori nazionali si troverebbero ad affrontare istantaneamente un “taglio di capelli” di grandi dimensioni.
Molti di loro dichiarerebbero bancarotta, con un'altra grande perdita di posti di lavoro.






La liquidità delle banche si prosciugherebbe, e non sarebbero sostenute dalla BCE. Il che significa che l'unica condizione per mantenere aperte le banche, in Irlanda o Grecia o dovunque si adotti questo piano, è che siano ricapitalizzate nella nuova valuta nazionale da parte della Banca Centrale.
Ma questo significa che i depositi bancari dovranno, di fatto, essere convertiti dall'euro nella nuova moneta, annullando così il provvedimento benefico di non imporre alle aziende bancarie una conversione obbligatoria nella nuova valuta (vedi sopra).






Gli autori sostengono che gli effetti negativi saranno attenuati dalla ritrovata indipendenza monetaria, che consentirà ai governi di interrompere immediatamente i programmi di austerità e adottare politiche fiscali anticicliche, come ha fatto l'Argentina dopo il suo default e l'interruzione dell'ancoraggio del peso al dollaro.
Potrebbe essere, ma tutti i confronti con l'Argentina devono essere presi “cum granum salis”. Perché la ripresa dell'Argentina, e la riuscita delle relative politiche fiscali, è dipesa molto meno dalla sua rinnovata indipendenza che dall'aumento fortuito della domanda di soia da parte della Cina.











Se è vero che una valuta più debole aumenterebbe le esportazioni, avrebbe anche un effetto devastante: la creazione di un paese a due livelli. Una parte che avrebbe accesso agli euro accumulati, e un'altra no.
La prima acquisterebbe un immenso potere socio-economico sulla seconda, in modo da creare una nuova forma di disuguaglianza destinata a operare a lungo come un blocco allo sviluppo - proprio come la disuguaglianza che si è costituta nel periodo post anni '70, che ha fatto danni enormi allo sviluppo reale dei nostri paesi (in contrasto con i numeri di crescita del PIL) nella fase del secondo dopoguerra.





Ultimo, ma certamente non meno importante, se UN paese uscisse dalla zona euro in questo modo, la zona euro potrebbe addiritura crollare nel giro di 24 ore. Il Sistema Europeo delle Banche Centrali si disferebbe immediatamente, gli spread dell'Italia arriverebbero ai livelli della Grecia, la Francia si trasformerebbe immediatamente in un paese a rating AA o AB e, prima di poter fischiettare la Sinfonia n. 9, la Germania dichiarerebbe la ri-costituzione del Deutsche Mark .
Una forte recessione poi colpirebbe i paesi che costituirebbero la nuova zona D.M. (Austria, Paesi Bassi, forse Finlandia, Polonia e Slovacchia) mentre il resto della zona euro si troverebbe in una considerevole stagflazione.
Le nuove guerre valutarie intra-Europee sopprimerebbero, in sintonia con la recessione/stagflazione, il commercio internazionale ed Europeo e, di conseguenza, gli Stati Uniti piomberebbero in una nuova Grande Recessione. Il 1930 postmoderno di cui ho parlato diventerebbe una tragica realtà.





In sintesi, questo piano potrebbe finire per essere l'unica via d'uscita da una nave diretta contro gli scogli. Dobbiamo tenerlo a mente, visto che la maledetta idiozia dei nostri leaders Europei ha messo, e continua a mantenere, un intero continente su un percorso rovinoso. Ma non è ancora tempo di adottarlo. Perché porterebbe ad un costo umano incredibile; un costo che può ancora essere evitato (assumendo che io abbia ragione nel dire che il punto di non ritorno non è stato raggiunto - ancora). Abbiamo ancora la possibilità di prendere d'assalto il ponte di comando e cambiare rotta. In mancanza, un piano come quello di Mosler e Pilkington può essere l'equivalente delle nostre scialuppe di salvataggio. Dovremmo, però, sempre tenere a mente che le nostre scialuppe di salvataggio saranno lanciate nei mari ghiacciati e, alla deriva sulle scialuppe, molti periranno.




da Voci dall'estero: Abbandonare la Nave che Affonda? Un Piano per Uscire dall'Euro
 

tontolina

Forumer storico
Grecia: il malato terminale e la sanità




Scritto il 29 dicembre 2011 alle 10:30 da balrock@finanzaonline
Le elezioni politiche greche si terranno verso fine aprile 2012, dopo pasqua, la decisione sulla data effettiva avverrà nelle 2/3 settimane successive al 16 gennaio, durante i negoziati sui nuovi aiuti internazionali e sul piano per rifinanziare il debito.
La disperazione e la fame dilagano come nel medio evo, ricordo una notizia del 22 dicembre dell’ ANSA, dove si diceva che circa 200 bambini erano denutriti perchè i loro genitori non riuscivano a mantenerli:

«I ricoveri nelle strutture private sono crollati del 30% tra il 2009 e il 2010», scrive “L’Unità” in un recente servizio da Atene, «mentre quelli negli ospedali pubblici sono aumentati del 24%». Contemporaneamente, i centri sanitari statali hanno subito tagli per il 40% del loro budget: il personale è gravemente carente, perché molti lavoratori sono stati licenziati per effetto dei tagli al sistema di protezione sociale imposto dalla terapia d’urto voluta dall’Europa. Risultato, la disperazione ormai diffusa, che incoraggia la peggiore forma di corruzione: «Le code per una visita o per un ricovero sono diventate lunghissime, tanto da scoraggiare i pazienti e da alimentare il sistema delle bustarelle elargite a medici e infermieri».
Vediamo adesso un’ altro interessante articolo, che riporto per intero, fonte:

Il taglio degli stipendi e delle pensioni del 20 per cento, il licenziamento di 30 mila statali (e di altri 150 mila richiesti dalla troika Ue-Fmi-Bce nel prossimo triennio), le tasse pesantissime sulla casa (20 euro per metro quadrato) forse non saranno sufficienti a tenere la Grecia all’interno dell’Eurozona, ma sicuramente sprofonderanno nella miseria milioni di greci. Non sono poche le famiglie che sono già costrette a vivere senza luce e senza acqua: o si pagano le bollette o si acquista da mangiare.
La Grecia ha davanti a sé la titanica impresa della ristrutturazione di un debito – pari a 357 miliardi di euro – da compiere entro l’inizio della primavera prossima. Il dato che, secondo il Fmi, nelle casse di Atene ci siano solo 11 miliardi di euro e le previsioni pessime sul prodotto interno lordo per i prossimi anni, sarebbero da soli sufficienti a definire come impossibile il raggiungimento del risultato. A questo si aggiunga la riluttanza degli istituti di credito esposti sul debito greco a tagliare significativamente il valore nominale delle obbligazioni in loro possesso.
In gioco, però, non ci sono solo gli interessi finanziari dei grandi investitori, ma anche la vita e la salute dei greci. Le forbici dei tagli sono infatti arrivate a toccare, drasticamente, anche la sanità: un esempio su tutti è il taglio di budget a cui sarà sottoposto il più grande ospedale di Atene che dai 286 milioni di euro per il 2011 scenderà a 138 miioni di euro per il 2012. Questo si traduce in un abbassamento della qualità e della quantità dei servizi per l’ospedale, una scelta obbligata tra lo stare bene e il sopravvivere, per i cittadini. O tra il vivere e il morire. In un’intervista per il Nyt Elias Sioras, dottore all’ospedale Evagelismos, ha dichiarato che, di fatto, la sanità in Grecia non è più un diritto: “Se hai soldi, puoi accedere alle cure mediche. Altrimenti resti fuori”. Tanti pazienti, inoltre, avrebbero rinunciato a interventi chirurgici perché troppo costosi e “qualcuno – ha affermato Sioras – è morto per questo motivo. Questa è la conseguenza della crisi finanziaria. E il peggio deve ancora venire”.
Molte persone che non possono permettersi il ticket di 5 euro si rivolgono a diverse Ong mediche che operano sul territorio greco. Mèdicins du Monde per anni ha provveduto a curare gratis migranti e richiedenti asilo in Grecia, porta d’ingresso per l’Europa: nell’ultimo anno i greci che si sono rivolti alla struttura della ong hanno superato i migranti, che nella situazione in cui versa il Paese, sono diventati – se possibile – ancora più ultimi.
Se pure in misura non così drammatica, anche Emergency fornisce un dato che deve far suonare il campanello d’allarme. Nel poliambulatorio di Marghera, anch’esso aperto prevalentemente per assistere migranti e richiedenti asilo, nel 2011 il 20 per cento delle prestazioni mediche sono state fornite a italiani. Anche in Italia, la sanità non è alla portata di tutti. Un indicatore, questo, che fa presagire un futuro difficile per la società italiana.
Buona giornata, gli altri articoli li trovate QUI.
 

tontolina

Forumer storico
Cura BCE: i devastanti effetti collaterali


"(...) L’Italia sta seguendo, sotto la guida di Monti e della sua banda di banchieri e militari Nato, la stessa strada scelta e imposta dalla Banca Centrale Europea alla Grecia.
I segnali che fanno presagire una sorte simile a quella greca ci sono tutti.
I tagli, che colpiscono prevalentemente lavoratori e pensionati, sono il cardine della manovra economica presentata dal nuovo esecutivo, la svendita delle industrie strategiche dello Stato è da molto tempo nell’agenda del Governo, l’aumento della benzina è già in vigore da qualche settimana, alcune testate giornalistiche, anche se non ce ne rammarichiamo troppo, stanno chiudendo e il tasso dei suicidi, nonostante non raggiunga la spaventosa percentuale greca, è in costante aumento. Questo campanello d’allarme dovrebbe suonare all’orecchio di chi ancora si fida di questo governo e continua a credere nel messianico ruolo del mercato regolatore che porrà fine alla crisi e alle nostre sofferenze.
Questi chiari e preoccupanti segnali dovrebbero allarmare quella parte della sinistra italiana che, avendo come unica ragione d’essere l’antiberlusconismo, ora che il “mostro” Berlusconi non c’è più, è incapace di proporre un’alternativa credibile al massacro al quale le Banche ci stanno sottoponendo."




Anche in Grecia, per traghettare il Paese fuori dalla crisi (che tradotto significa per fare macelleria sociale…), la finanza ha scelto un banchiere. Luca Papademos è stato quindi nominato, all’inizio di novembre, primo ministro. Saltano subito all’occhio i ruoli di spicco ricoperti in Europa dal nuovo premier greco, ma ancor più evidente è la sua presenza fino al 1998 nella Commissione Trilaterale, di cui ha fatto parte anche il neo-presidente del consiglio italiano Mario Monti.
Anche le sorti dei due Paesi si assomigliano molto, e la cura adottata è molto simile.
In Grecia però la strada era già stata abbondantemente spianata dal precedente governo e Papademos, salvo qualche intoppo, sta avendo gioco facile.


Infatti, nonostante i tagli verticali al settore pubblico, che hanno lasciato senza lavoro migliaia di persone, e nonostante le drastiche riduzioni di pensioni e salari, stando a quanto afferma un sondaggio di Eurobarometro, condotto tra il 5 e il 20 Novembre, il 76% dei greci sostiene che il peggio deve ancora venire.
Anche se queste dichiarazioni possono sembrare esageratamente pessimiste, alcune notizie delle ultime settimane lasciano poco spazio a previsioni più floride. La cura della TROIKA sta di fatto originando diversi devastanti effetti collaterali, che rischiano di riportare il Paese all’età della pietra. Recentemente infatti il governo ha adottato una nuova misura anticrisi, che prevede l’aumento dei prezzi di combustibili e carburanti. Questo provvedimento, unito alla pesante recessione in atto e al conseguente aumento del costo della vita, ha portato i greci a scendere nelle loro cantine e a riesumare le vecchie stufe a legna o ad accendere il caminetto. Questo ha di conseguenza prodotto un’impennata nel mercato della legna che, non riuscendo a soddisfare la domanda, ha aperto la strada ad un vero e proprio contrabbando di legname. Si sono formate alcune squadre di taglialegna che, senza alcun permesso, stanno devastando numerose foreste e si sono anche rese protagoniste di atti di violenza aggredendo sia la polizia che tentava di fermarli sia altri gruppi di taglialegna rivali. Oltre al danno ambientale provocato dal disboscamento feroce e sregolato, ad opera di taglialegna abusivi e non, va anche considerato il conseguente aumento di emissioni di CO2 prodotto da caminetti e stufe obsoleti.


Come se non bastasse, ad aumentare l’incertezza dei cittadini greci, ci pensano gli Stati Uniti che, forti dell’appoggio di un governo amico, si sono già precipitati sull’invitante torta delle fonti energetiche greche. Lo riferisce il quotidiano Kathimerini, secondo cui anche l’ambasciatore statunitense ad Atene, Daniel Smith, ha confermato l’interesse delle imprese nord-americane per l’estrazione di idrocarburi al largo delle coste di Creta e nel Mare Ionio.
Tuttavia la Grecia non rischia di perdere solo le sue risorse energetiche, ma anche i principali attori nel campo dell’informazione. Dopo la chiusura della stazione televisiva privata Alter, stando alle dichiarazioni della società editrice X.K. Tegopoulos A.E., anche il secondo quotidiano nazionale Elefterotipia (Stampa Libera) di cui è proprietaria, sta per chiudere i battenti. Questo comporterà il licenziamento in tronco di tutti gli impiegati che perderanno gli arretrati e la tredicesima.
Non c’è da stupirsi quindi se solo l’8% dei greci ha fiducia in Papademos e appena il 12% crede ancora che il parlamento possa migliorare le cose. La medicina che la BCE sta somministrando, per mano di Papademos, al popolo greco, non solo non funziona, ma sta portando sempre più rapidamente il Paese ad una condizione di malato terminale. In tre anni la Grecia, stando ai dati forniti dal quotidiano Athens News, ha visto il suo tasso di suicidi raddoppiare, passando dai 2,8 ogni 100.000 abitanti ai circa 4 attuali. La hotline anti-suicidio aperta 24 ore su 24 dall’organizzazione non governativa Klimaka, conferma che le motivazioni principali sono legate alle condizioni economiche e alla mancanza del lavoro, riferendo anche di molti uomini che dicono di soffrire di un pesante sconforto dovuto alla perdita di dignità e di orgoglio.


A questo va aggiunto un vertiginoso aumento della criminalità che raggiunge livelli altissimi ad Atene. Nell’ultimo anno ad esempio, stando a quanto riferisce la polizia greca, i casi di rapina a mano armata sono pressoché raddoppiati e le autorità con i pochi mezzi a disposizione fanno quello che possono. L’insicurezza economica, le tensioni sociali in aumento e una completa sfiducia nelle istituzioni sta portando il popolo greco a simpatizzare sempre più per movimenti estremisti. Si registra infatti un aumento di simpatizzanti sia di movimenti xenofobi, sia di movimenti di estrema sinistra che non disdegnano l’uso di bombe, come il neonato movimento anticapitalista “Tolleranza Zero”, passato alle ribalte della cronaca dopo aver fatto detonare alcuni ordigni in vari uffici ministeriali.





Tratto da: Cura BCE: i devastanti effetti collaterali - Stato & Potenza
 

tontolina

Forumer storico
In Italia basterebbe davvero tagliare i veri privilegi

sono un vero insulto per tutti quei miseri pensionati e lavoratori che pagano firo di risorse... pur avendo poco con cui vivere

la reggia francese prima della rivoluzione pretendeva molto meno dai sudditi

c'è davvero da incaz zarsi

Lo stenografo del Senato come il re di Spagna Busta paga da 290 mila euro

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A fine carriera stipendi quadruplicati. Ai commessi fino a 160 mila euro

Può un senatore guadagnare la metà del suo barbiere di Palazzo Madama, come lamentano quei parlamentari che per ribattere ai cittadini furenti contro i mancati tagli dicono di prendere intorno ai 5 mila euro? No. Infatti non è così. Il gioco è sempre quello: citare solo l’«indennità». Senza i rimborsi, le diarie, le voci e i benefit aggiuntivi. Con i quali il «netto» in busta paga quasi quasi triplica.

Sono settimane che va avanti il tormentone. Di qua la busta paga complessiva portata in tivù dal dipietrista alla prima legislatura Francesco Barbato, che tra stipendio e diarie e soldi da girare al portaborse ha mostrato di avere oltre 12.000 euro netti al mese. Di là l’insistenza sulla sola «indennità». E la tesi che le altre voci non vanno calcolate, tanto più che diversi (230 contro 400, alla Camera) hanno fatto sul serio un contratto ai collaboratori e moltissimi girano parte dei soldi al partito. Una scelta spesso dovuta ma comunque legittima e perfino nobile: ma è giusto caricarla sul groppo dei cittadini in aggiunta ai rimborsi elettorali e alle spese per i «gruppi»? Non sarebbe più opportuno e più fruttuoso nel rapporto con l’opinione pubblica mostrare la busta paga reale, che dopo una serie di tagli è davvero più bassa di quella da 14.500 euro divulgata nel 2006 dal rifondarolo Gennaro Migliore?
Non ha molto senso, questa sfida da una parte e dall’altra centrata tutta su quanto prendono deputati e senatori. Peggio: rischia di distrarre l’attenzione, alimentando il peggiore qualunquismo, dal cuore del problema. Cioè il costo d’insieme di una politica bulimica: il costo dei 52 palazzi del Palazzo, il costo delle burocrazie, il costo degli apparati, il costo delle Regioni, delle province, di troppi enti intermedi, delle società miste, di mille altri rivoli di spesa che servono ad alimentare un sistema autoreferenziale.
Dice tutto il confronto con le buste paga distribuite, ad esempio, al Senato. Dove le professionalità di eccellenza dei dipendenti, che da sempre raccolgono elogi trasversali da tutti i senatori di destra e sinistra, neoborbonici o padani, sono state pagate fino a toccare eccessi unici al mondo. Tanto da spingere certi parlamentari (disposti ad attaccare Monti, Berlusconi, Bersani o addirittura il Papa ma mai i commessi da cui sono quotidianamente coccolati) ad ammiccare: «Siamo semmai gli unici, qui, a non essere strapagati».
Il questore leghista Paolo Franco lo dice senza tanti giri di parole: «Il contratto dei dipendenti di palazzo Madama è fenomenale. Consente progressioni di carriera inimmaginabili. Ed è evidente che contratti del genere non se ne dovranno più fare. Bisogna cambiare tutto». Come può reggere un sistema in cui uno stenografo arriva a guadagnare quanto il re di Spagna? Sembra impossibile, ma è così. Senza il taglio del 10% imposto per tre anni da Giulio Tremonti per i redditi oltre i 150 mila euro, uno stenografo al massimo livello retributivo arriverebbe a sfiorare uno stipendio lordo di 290 mila euro. Solo 2mila meno di quanto lo Stato spagnolo dà a Juan Carlos di Borbone, 50 mila più di quanto, sempre al lordo, guadagna Giorgio Napolitano come presidente della Repubblica: 239.181 euro.
Per carità, non «ruba» niente. Esattamente come Ermanna Cossio che conquistò il record mondiale delle baby-pensioni lasciando il posto da bidella a 29 anni col 94% dell’ultimo stipendio, anche quello stenografo ha diritto di dire: le regole non le ho fatte io. Giusto. Ma certo sono regole che nell’arco della carriera permettono ai dipendenti di Palazzo Madama, grazie ad assurdi automatismi, di arrivare a quadruplicare in termini reali la busta paga. E consentono oggi retribuzioni stratosferiche rispetto al resto del paese cui vengono chiesti pesanti sacrifici.
Al lordo delle tasse e dei tagli tremontiani, un commesso o un barbiere possono arrivare a 160 mila euro, un coadiutore a 192 mila, un segretario a 256 mila, un consigliere a 417mila. E non basta: allo stipendio possono aggiungere anche le indennità. Alla Camera un capo commesso ha diritto a un supplemento mensile di 652 euro lordi che salgono a 718 al Senato. Un consigliere capo servizio di Montecitorio a una integrazione di 2.101, contro i 1.762 euro del collega di palazzo Madama. Per non dire dei livelli cosiddetti «apicali». Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai rapporti col Parlamento Antonio Malaschini, quando era segretario generale del Senato, guadagnava al lordo nel 2007, secondo l’Espresso, 485 mila euro l’anno. Arricchito successivamente da un aumento di 60 mila che spappolò ogni record precedente per quella carica. Va da sé che la pensione dovrebbe essere proporzionale. E dunque, secondo le tabelle, non inferiore ai 500 mila lordi l’anno.
È uno dei nodi: retribuzioni così alte, grazie a meccanismi favorevolissimi di calcolo, si riflettono in pensioni non meno spettacolari. Basti ricordare che gli assunti prima del ’98 possono ancora ritirarsi dal lavoro (con penalizzazioni tutto sommato accettabili) a 53 anni. Esempio? Un consigliere parlamentare di quell’età assunto a 27 anni e forte del riscatto di 4 anni di laurea ha accumulato un’anzianità contributiva teorica di 38 anni. Di conseguenza può andare in pensione con 300 mila euro lordi l’anno, pari all’85% dell’ultima retribuzione. Se poi decide di tirare avanti fino all’età di Matusalemme (che qui sono 60 anni) allora può portare a casa addirittura il 90%: più di 370 mila euro sul massimo di 417 mila.
Funziona più o meno così anche per i gradi inferiori. A 53 anni un commesso è in grado di ritirarsi dal lavoro con un assegno previdenziale di 113 mila euro l’anno che, se resta fino al 60º compleanno, può superare i 140 mila. Con un risultato paradossale: il vitalizio di un senatore che abbia accumulato il massimo dei contributi non potrà raggiungere quei livelli mai. E tutto ciò succede ancora oggi, mentre il decreto salva Italia fa lievitare l’età pensionabile dei cittadini normali e restringere parallelamente gli assegni col passaggio al contributivo «pro rata» per tutti. Intendiamoci: sarebbe ingiusto dire che le Camere non abbiano fatto nulla. A dicembre il consiglio di presidenza del Senato, ad esempio, ha deciso che anche per i dipendenti in servizio si dovrà applicare il sistema del contributivo «pro rata». Ma come spiega Franco, è una decisione che per diventare operativa dovrà superare lo scoglio di una trattativa fra l’amministrazione e le sigle sindacali, che a palazzo Madama sono, per meno di mille dipendenti, addirittura una decina. Il confronto non si annuncia facile. Anche nel 2008, dopo mesi di polemiche sui costi, pareva essere passato un giro di vite, sostenuto dal questore Gianni Nieddu. Ma appena cambiò la maggioranza, quella nuova non se la sentì di andare allo scontro.
E tutto si arenò nei veti sindacali. Stavolta, poi, la trattativa ha contorni ancora più divertenti. Controparte dei sindacati è infatti la vicepresidente del Senato Rosy Mauro, esponente della Lega Nord, partito fortemente contrario alla riforma delle pensioni e sindacalista a sua volta: è presidente, in carica, del Sinpa, il sindacato del Carroccio. Nel frattempo, chi esce ha la strada lastricata d’oro. Il consigliere parlamentare «X» (alla larga dalle questioni personali, ma parliamo di un caso con nome e cognome) ha lasciato il Senato a luglio del 2010 a 58 anni. Da allora, finché non è entrato in vigore il contributo triennale di solidarietà per i maxi assegni previdenziali, palazzo Madama gli ha pagato una pensione di 25.500 euro lordi al mese: venticinquemilacinquecento.
Per 15 mensilità l’anno. Spalmandoli sulle 13 mensilità dei cittadini comuni 29.423 euro a tagliando. Da umiliare perfino l’ex parlamentare Giuseppe Vegas, oggi presidente della Consob, che da ex funzionario del Senato, sarebbe in pensione con 20 mila. Neppure il commesso «Y», assunto a suo tempo con la terza media, si può lamentare: ritiratosi nello stesso luglio 2010, sempre a 58 anni, ha diritto (salvo tagli tremontiani) a 9.300 euro lordi al mese. Per quindici. Vale a dire che porta a casa complessivamente oltre 20mila euro in più dello stipendio massimo dei 21 collaboratori più stretti di Barak Obama.
Sono cifre che la dicono lunga su dove si annidino i privilegi di un sistema impazzito sul quale sarebbe stato doveroso intervenire «prima» (prima!) di toccare le buste paga dei pensionati Inps. I bilanci di Camera e Senato del resto parlano chiaro. Nel 2010 la retribuzione media dei 1.737 dipendenti di Montecitorio, dall’ultimo dei commessi al segretario generale, era di 131.585 euro: 3,6 volte la paga media di uno statale (36.135 euro) e 3,4 volte quella di un collega (38.952 euro) della britannica House of Commons. E parliamo, sia chiaro, di retribuzione: non di costo del lavoro. Se consideriamo anche i contributi, il costo medio di ogni dipendente della Camera schizza a 163.307 euro. Quello dei 962 dipendenti del Senato a 169.550. E non basta ancora. Perché nel bilancio del Senato c’è anche una voce relativa al personale «non dipendente», che comprende consulenti delle commissioni e collaboratori vari, ma soprattutto gli addetti a non meglio precisate «segreterie particolari». Con una spesa che anche nel 2011, a dispetto dei tagli annunciati, è salita da 13 milioni 520 mila a 14 milioni 990 mila euro. Con un aumento, mentre il Pil pro capite affondava, del 10,87%: oltre il triplo dell’inflazione.


Lo stenografo del Senato come il re di Spagna Busta paga da 290 mila euro - Corriere della Sera
 

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