L'Italia per entrare nel fondo salva stati dovrebbe pagare 125 miliardi di euro che n (1 Viewer)

tontolina

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CINQUE RIGHE E MEZZA!

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Cinque righe e mezza! Sembra incredibile, ma tanto ha dedicato il Corriere della Sera, nell'edizione di oggi, all'approvazione del Fiscal Compact e del Mes. Cinque e righe e mezza all'interno di un articoletto in fondo a pagina 7, riuscendo perfino a non nominarli nè nel titolo ("Sì alle regole di bilancio Ue e al Fondo salva Stati. Assalto alla spending review") né tantomeno nel sottotitolo, dove addirittura i due trattati vengono relegati allo stesso rango di migliaia di altri interventi ("al Senato 1800 emendamenti al taglia-spese").


il Fiscal Compact ci obbligherà a sostenere almeno 50 miliardi all'anno di tasse e tagli per vent'anni. Il Mes, invece, ci porterà via immediatamente 15 miliardi, ci indebiterà per almeno 125, ma anche per qualunque altra cifra ci verrà richiesta in futuro, e non prevede per nessun governo successivo a questo la possibilità di uscirne. Ma per saperlo, i lettori del Corriere della Sera dovrebbero conoscere questo blog, perché perfino le cinque righe e mezza sepolte in fondo a pagina 7 si limitano a dire:
"ROMA - Approvati in aula definitivamente gli strumenti europei del Fiscal compact, le regole europee di bilancio varate in primavera, e del nuovo fondo salva Stati, ossia lo European Stability Mechanism (Esm)"
In Germania, su questi argomenti, si chiama in causa la Corte Costituzionale, che deciderà il 12 settembre prossimo. In Italia si scrivono cinque righe e mezza, a pagina 7, il giorno dopo. Finché i giornali non spariranno, non avremo mai nessuna speranza.

- Per sapere cos'è il Fiscal Compact: "E' macelleria sociale" di Paolo Becchi.
- Per sapere cos'è il MES: "La guerra dell'Europa" di Claudio Messora

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da CINQUE RIGHE E MEZZA!
 

tontolina

Forumer storico
La voce del padrone: Italia fai la patrimoniale

27 luglio 2012 Di Johnny88




Nonostante la crisi

nei cari porcelli c’è ancora tanto grasso che cola.

C’è tanto patrimonio privato da prendere e depredare e nel calderone della politica teutonica l’idea di “consigliare caldamente” ai paesi-satellite una bella patrimoniale comincia a prender piede. Il padrone ha parlato, ora il Pétain dei poveri e il governo di Vichy alla matriciana obbediscano.
Da Handelsblatt.de via Voci dalla Germania
La ricchezza dei ceti abbienti nei paesi Euro in crisi suscita interesse. I politici tedeschi vorrebbero una tassa patrimoniale. Grazie a questi introiti, il contribuente tedesco sarebbe sollevato dagli aiuti finanziari.
CDU, SPD e perfino la FDP, in via eccezionale, sono d’accordo sul tema della tassa patrimoniale per i ricchi. Tutti e 3 i partiti vorebbero far pagare i ricchi – non in Germania, ma nei paesi Euro in crisi. Un segnale come questo, in Germania sarebbe particolarmente benvenuto: il paese infatti garantisce per la parte principale degli eurosalvataggi. Soprattutto per contrastare le critiche crescenti verso le misure di aiuto, espresse dai partiti e dai cittadini.
Il ministro delle finanze Schäuble aveva già dichiarato in passato il suo interesse per un prestito forzoso nei paesi in crisi. Anche nella SPD ci sarebbe approvazione: si spera che “le abbondanti ricchezze private” non fuggano dai paesi in crisi, ma piuttosto “possano essere impiegate per la risoluzione della crisi” ha dichiarato il vice presidente del partito Joachim Poß. I prestiti forzosi “sono decisamente ipotizzabili”, tanto piu’ che i ricchi dei paesi mediterranei, fino ad ora, pare non abbiano avuto l’abitudine di pagare le tasse.
Poß appoggia una proposta del Deutschen Instituts für Wirtschaftsforschung (DIW). Gli economisti chiedono che siano i detentori di patrimoni dei paesi in crisi a sostenere il risanamento delle finanze statali con un prestito forzoso o una tassa patrimoniale .
I prestiti forzosi o i prelievi patrimoniali una tantum hanno 2 vantaggi, scrive il DIW in uno studio: non deprimono la domanda dei consumatori – diversamente dall’IVA, e sono un segnale verso i paesi donatori: anche i paesi riceventi, si stanno dando da fare.
Squilibri evidenti
In Germania è sempre piu’ forte l’impressione che i poveri del Sud Europa non siano poi così poveri come sembra. E per questo potrebbero permettersi un grosso contributo al risanamento delle finanze statali. Di fatto in Italia ci sono circa 270.000 famiglie con un patrimonio superiore al milione di Euro, settima posizione mondiale secondo una lista redatta dal Boston Consulting Group.
Anche in Spagna e Portogallo gli squilibri sono evidenti: mentre regna la disoccupazione di massa e le casse statali sono vuote, nei 2 paesi gli affari per Porsche vanno a gonfie vele. Nel 2011, il marchio di lusso ha venduto nella penisola iberica il 18% in piu’ rispetto all’anno precedente. E in Italia le vendite di Cayenne sono cresciute addirittura del 66%.
Il successo di Porsche ci dice: nonostante la crisi, che mette sempre piu’ stati in ginocchio, anche nei paesi superindebitati esiste ancora una considerevole ricchezza privata.
E questa ricchezza dovrà essere impiegata per disinnescare la crisi. “Prima che altre misure di aiuto vengano accordate, ci si puo’ aspettare che un paese in crisi mobiliti la propria ricchezza nazionale”, ci dice il vice presidente SPD Joachim Poß.
Anche il segretario generale della FDP Patrick Döring non è contrario alla proposta “Ulteriori impegni dei contribuenti in Spagna, Grecia e Italia per il risanamento – ad esempio attravero la sottoscrizione del debito pubblico o l’incremento degli investimenti nel settore industriale – sarebbero desiderabili”, ha dichiarato.
La Spagna ha ancora molta argenteria
I politici non vogliono coinvolgere solamente i ricchi nella risoluzione della crisi sul debito. Prima che il contribuente tedesco garantisca con i 310 miliardi Euro, gli stati in crisi del sud dovrebbero iniziare a vendere il loro patrimonio pubblico. “E’ auspicabile, laddove la situazione lo permetta, che i grossi patrimoni pubblici non restino inosservati” ha detto il segretario generale della FDP Patrick Döring.
In effetti le statistiche mostrano che la Spagna potrebbe teoricamente coprire, attraverso la vendita delle sue partecipazioni nelle aziende, la metà delle esigenze di rifinanziamanto del debito pubblico fino a fine 2013. E se in Italia si utilizzasse solo l’1% dei patrimoni privati per il risanamento delle casse statali, lo stato sarebbe piu’ ricco di 37 miliardi di Euro.
I governi di Madrid e di Roma hanno ancora partecipazioni aziendali del valore di 100 miliardi di euro. A queste si aggiugnono le riserve di oro e di divise. La Germania non deve “stendere l’amaca” per la Spagna, l’Italia o la Grecia, ha dichiarato il portavoce per la politica finanziaria della CDU/CSU, Klaus-Peter Flosbach. La privatizzazione del patrimonio statale potrebbe essere “una misura appropriata per il consolidamento delle finanze pubbliche”. “La solidarietà non è un binario a senso unico”, ha detto anche Herbert Reul, presidente del gruppo CDU/CSU al parlamento europeo. “Prima che i paesi in crisi cerchino aiuti all’esterno, devono esplorare tutte le possibilità, per tenere i problemi sotto controllo con le proprie forze”.
Da Brussel arrivano tuttavia anche voci di avvertimento: la vendita di partecipazioni statali è una misura una tantum, il cui effetto scompare alla svelta, ci dice dalla commissione EU. “Vendere i gioielli di famiglia può essere una misura di supporto. Ma non può certo sostituire le misure di risparmio strutturale”.

NDJ eh già cari turbo-capitalisti alla matriciana. La “Crande Cermania Capitalista” ora vuole la patrimoniale. Ancora convinti che il Pétain dei poveri non stia facendo “i compiti a casa”? Ancora a gridare “Forza Germania”?
 

tontolina

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a http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2012-07-27/elite-politiche-piccole-piccole-063910.shtml?uuid=AbApdUEG

Commenti&Inchieste > Europa

Élite politiche piccole piccole

di Carlo Carboni



La debolezza - per i più severi, il nanismo - di una politica europea frammentata in ceti politici nazionali, sta diventando drammatica, ora che il passaggio è più impervio: gli europei si sono inoltrati, senza guida, in un territorio sconosciuto, come l'attuale crisi. Si sente la mancanza di una superclass politica europea in grado di contrastare e spegnere gli incendi finanziari.
Le varie élite politiche nazionali stanno perdendo d'autorevolezza e di capacità di rappresentanza: del resto, le strategie nazionali sono sempre più disegnate da Bruxelles e le braccia operative si articolano nei territori regionali.
Nel caso italiano, dopo essere state imputate di una scarsa manutenzione delle risorse di sistema, di declino economico, di sprechi e privilegi (costo della politica), oggi, le élite politiche nazionali sono in crisi di rappresentatività per manifesta incapacità di dare risposte alla crisi, di difendere i cittadini dalle turbolenze speculative dei mercati finanziari.

Dalla Germania alla Francia, dalla Spagna all'Italia, i cittadini le hanno percepite come impreparate e, forse, impotenti di fronte agli imponenti marosi dei mercati finanziari globali.

L'angoscia provocata da questa sfiducia nei propri leader politici è diffusa in tutte le democrazie rappresentative delle nazioni europee, troppo piccole per non cadere preda della superclass finanziaria globale.

L'ansia dei cittadini diviene paura e profonda insicurezza nell'Eurosud per i macabri rialzi dello spread.

Si avvertono i limiti di un'Europa politicamente acefala che, come tale, si preclude il diritto di dire la propria sulle scelte decisive del mondo globale. Peraltro, la foto di gruppo dei ceti politici nazionali è grigia e sbiadita. I leader politici over 55 rappresentano circa l'80% del totale, in tutti i primi cinque maggiori paesi europei. Sono all'incirca a sesso unico maschile in Italia, Polonia e Spagna (1 su 6), ma le donne sono penalizzate anche in Scandinavia Francia e Germania (1 su 3).
Nel complesso, British a parte, le élite politiche delle maggiori nazioni europee sono caratterizzate da curricula provinciali che certo non incoraggiano una visone europeista: pochi studi, pochi scambi e poco lavoro all'estero (appena 1 su 5, Carboni, 2010). Anche la noblesse d'État francese non fa eccezione, nonostante sia selezionata dal rinomato sistema delle Grandes Ecoles.
Tutti immersi nei loro feudi elettorali locali e ancorati ai bacini linguistici nazionali scarsamente interconnessi, i ceti politici nazionali, a scala europea, rimangono i più importanti visto che la Ue ha una trazione intergovernativa (a egemonia franco-tedesca). La politica del vecchio Continente ne risulta penalizzata: le élite politiche nazionali, per ora, non hanno intenzione di compiere il grande balzo per riprendersi efficacia, autorevolezza e sovranità nello spazio europeo. A corto di lungimiranza, nel breve periodo, sembra improbabile la creazione di una democrazia politica europea, un obiettivo formalmente prioritario, ma sbiadito nell'agenda segreta dei due maggiori partiti europei, popolare e socialista. La filosofia dei "piccoli passi" verso una comunità di destino europea non ci evita la flagellazione estiva dello spread.


Manca una visione strategica europea del nuovo scenario globale.



A surrogare questo deficit di capacità della politica europea di porre nuove domande e di dare risposte adeguate, a Bruxelles e Strasburgo si sono gradualmente consolidate classi dirigenti funzionali tecnico-burocratiche che, nell'evanescenza della politica europea, si vestono da élite traenti che "processano" le decisioni a livello dell'Unione. È l'eurobucrazia, (oltre 36mila dipendenti) un ceto la cui ascesa è attestata dalla presenza di poco meno di 25mila lobbisti a Bruxelles. E' una burocrazia che segue riti cetuali nell'arruolamento, nei privilegi (stipendi mensili: dai 5.000 euro dell'usciere ai 15mila dei funzionari), negli stili di vita. All'apparenza, la politica resta regina d'Europa, ma al cospetto dell'euroburocrazia, essa rappresenta un fatto nazionale/provinciale, schiacciato su interessi periferici.


Come il montismo, l'euroburocrazia perciò presenta capacità tecniche che "masticano" di politica. Questo dominio della techné é probabilmente transitorio, perché di fronte alle speculazioni in tempo reale dei mercati finanziari, le soluzioni per uscirne sono possibili solo aprendo un unico ombrello politico-istituzionale europeo. L'élite tecnico-burocratica sarà guidata da una superclass politica europea, post-nazionale e trasformativa, in grado d'illuminare un percorso unitario, di comune destino delle nazioni.
In sintesi, per andare oltre la crisi, dobbiamo ritrovare l'onda lunga europeista. I ceti politici nazionali, al contrario, faticano a rappresentare i cittadini non tanto per i noti "costi della casta", ma per l'assenza di risposte adeguate. Se la politica dei partiti vuole riacquisire credibilità e autorevolezza, - dopo il gift capitalism - deve cercare di ricostruirsi una legittimità democratica a scala continentale. Nel frattempo, nel vuoto politico europeo, noi italiani «scontiamo i dubbi sullo scudo Ue», per dirla con Monti. Siamo costretti a cavarcela da soli, eliminando sprechi e inefficienze, mettendo in campo le nostre risorse con dismissioni pubbliche, spending review e, magari, confidando in un contributo responsabile della nostra classe "agiata".
 

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