Euro ... perchè? (1 Viewer)

tontolina

Forumer storico
Se uscisse dall'euro, Spagna scenderebbe subito da croce

Il tasso nazionale dei giovani disoccupati è del 57,2% e sale al 70% nelle Canarie. I ragazzi emigrano in massa. Il debito pubblico è passato dal 69% all’84% del Pil in un anno. La causa? La struttura dell'unione monetaria. L'opinione di Ambrose Evans-Pritchard



LONDRA (WSI) - Sembra che abbiamo staccato il cervello. La disoccupazione in Spagna è aumentata di altre 237.000 persone nel primo trimestre ed è arrivata a 6,2 milioni, il 27,2% della popolazione.

Per capirci meglio è come dire 8,3 milioni di disoccupati in Gran Bretagna, o 39 milioni negli Stati Uniti. Il paese sta perdendo 3.581 posti di lavoro al giorno. Ci sono 1,9 milioni di famiglie in cui nessuno ha un lavoro.

Come si può vedere da questa mappa, il tasso ha raggiunto il 36,8% in Andalusia, la regione più popolosa della Spagna. Il tasso nazionale dei giovani disoccupati è del 57,2% e sale al 70% nelle Canarie.

Tutto questo nonostante l'emigrazione di massa dei giovani spagnoli. El Pais riporta che lo scorso anno 260.000 giovani di età compresa tra 16 e 30 anni hanno lasciato il paese. Una gran parte è venuta a Londra. Sono tutti intorno a Victoria Station, agli uffici del telegrafo e lavorano da Pret a Manger e da Starbucks, e hanno dei modi deliziosamente ben educati.

Altri sono andati in Germania, o nel Golfo Persico, o più lontano ancora. La diaspora spagnola è arrivata a dei livelli che non si vedevano dal periodo dell’ esodo di massa dopo la guerra civile, o dai tempi della Conquista.

Qualcuno dice che la disoccupazione è alta come quella dell'inizio degli anni ‘90. Ma non è così. Uno studio della Banca di Spagna rivela che il tasso di disoccupazione di oggi sarebbe del 4 o 5% più alto di quello di allora che, secondo i vecchi criteri di calcolo, era più vicino al 32%.

Niente di simile si era mai visto prima in tempi moderni. La crisi di disoccupazione della Spagna nel 1930 era molto più mite, e per una buona ragione. La Spagna non era legata al disastro deflazionistico creato dal Gold Standard tra le due guerre. E la crisi in Spagna andò per conto suo.

Il governo Rajoy oggi ha detto che la crisi è "drammatica", ma ha ripetuto che il paese sta riacquistando la fiducia dei mercati finanziari ed è finalmente sulla strada della ripresa. Purtroppo questo non è vero. Le obbligazioni vigilantes stanno tranquille solo perché la BCE ha promesso di assorbirsi il mercato del debito spagnolo. La crisi dell'economia reale va sempre peggio. La City lo sa.

Il debito pubblico è passato dal 69% all’84% del PIL lo scorso anno, e solo una parte è stata causata dai salvataggi delle banche. Questo balzo è stato enorme in un solo anno e si sottovaluta l'effettivo debito. David Owen di Jefferies dice che la cifra reale arriverà al 113% una volta che verranno conteggiati i crediti commerciali e le fatture non pagate, e le cifre sono disponibili presso la Banca di Spagna.

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I consumi delle famiglie stanno crollando come i prezzi delle case, come si può vedere dalla cronologia dei prezzi dal 2008 al 2013.


Il deficit è passato dal 9,4% al 10,6% l'anno scorso ( il 7 % senza includere le spese bancarie). Il FMI si aspetta che resti fermo al 6,9% nel 2014. Il miglioramento è glaciale, si sentono gli echi di Grecia e Portogallo. Il danno economico causato dai tagli fatti nel rispetto della austerità sta erodendo le entrate fiscali, alimentando una spirale infernale verso il basso.

I consumi delle famiglie stanno crollando come i prezzi delle case, come si può vedere da questo grafico che riporta la cronologia dei prezzi dal 2008 al 2013:

Come al solito, c'è molta angoscia, e le denunce contro l’"ultra-austerità" e contro la Troika UE-FMI (questo è un problema molto sentito in Spagna). I sindacati parlano di una "emergenza nazionale". Le solite cose. Eppure quasi nessuno nella vita pubblica spagnola è disposto ad ammettere che la causa di tutto questo dolore sia la struttura dell'unione monetaria stessa.

L'euro ha portato in Spagna dei tassi di interesse negativi del 2% all'inizio del decennio e così si è innescato un boom incontrollabile. Il paese ora deve affrontare una rovina incontrollabile. Il problema fondamentale è la perdita del controllo sovrano sul suo tasso di cambio e sulla politica monetaria.

Sono sorpreso che una nazione con una grande storia alle spalle debba sopportare una disoccupazione al 27%, o accettare di essere uno stato vassallo di un regime EMU incompetente e disfunzionale. Ci sarà qualcuno a Madrid che pensa che i funzionari dell'UE a Bruxelles sappiano in realtà cosa stanno facendo? O che quei provinciali che gestiscono il sistema monetario a Francoforte (fatta eccezione di Draghi) siano molto meglio? O che l'Eurogruppo sia un'organizzazione civile, dopo il modo in cui è stata trattata Cipro?

In Spagna il Progetto dell’ Unione Europea è, naturalmente, come una madre, come la torta di mele. E questo concetto si intreccia nel pensiero pubblico con l'arrivo della democrazia, dopo Franco e con il rientro della Spagna nel contesto europeo. Le sovvenzioni di Bruxelles per un quarto di secolo hanno creato una dipendenza culturale e hanno deformato la mente degli spagnoli.

Bene, le menti possono anche non essere deformate.

Ci sono alcune voci solitarie disposte a pronunciare qualche eresia. Io sono un appassionato seguace di "Ilusion Monetaria" un blog di Miguel Navascues, ex- economista (e monetarista) della Banca di Spagna. Navascues dice pane al pane. Esorta la Spagna a liberarsi immediatamente dell'oppressione della UEM.

A sinistra, l'economista catalano David Lizoain dice che è arrivato il momento per i socialdemocratici di chiedere se l'UEM stia facendo più male che bene e, pertanto, se questo sistema dovrà essere smantellato.

Ecco un breve estratto:

In considerazione dell'architettura della zona euro, i paesi della periferia europea non possono impegnarsi in uno stimolo fiscale, uno stimolo monetario, una svalutazione competitiva, o una ristrutturazione finanziaria. Intrappolati come soni nel bel mezzo di spirali recessive-negative, il loro spazio politico è estremamente limitato. Il quadro della zona euro ha generato una depressione economica e una crisi di legittimità democratica. Queste sono condizioni fertili per fallimenti politici ancora maggiori, non certo per raggiungere successi.

Prendiamo il caso spagnolo: Uno stimolo proveniente dal settore pubblico è vietato, in base agli obiettivi di disavanzo controllato e impossibile, a causa dei costi di finanziamento esistenti sui mercati privati. I canali di finanziamento nel settore privato sono bloccati, perché il bilancio del settore finanziario è ancora sopraffatto dalle crescenti sofferenze conseguenti allo scoppio della bolla immobiliare. La mossa ovvia sarebbe quella di impegnarsi in una massiccia ristrutturazione finanziaria (cioè lasciare che le "bad banks" falliscano).

Questo non è possibile perché la BCE non si comporta come un prestatore di ultima istanza. Le banche in periferia non possono fallire senza portarsi dietro i piccoli risparmiatori. Questo per garantire una assicurazione sui depositi, è stato quindi necessario fare un salvataggio del settore privato (e un protocollo d'intesa). Nel giugno scorso i leader di Europed dichiararono: "Noi affermiamo che è indispensabile interrompere il circolo vizioso tra banche e governi." Gli eventi hanno dimostrato quanto questa sia stata una promessa vana. Il costo del salvataggio delle banche viene ora trasferito sulle casse pubbliche, e le banche che stanno affogando si stanno portando a fondo anche i loro stati sovrani. Ma se questo non bastasse, l'accordo di Cipro dimostra che nemmeno l’assicurazione sui depositi per i piccoli risparmiatori può essere data per garantita.


Il colpo di scena a Cipro rende molto più difficile difendere la tesi che il cambiamento in Europa sia proprio dietro l'angolo, e che questo cambiamento sarà per il meglio. Nessun atteggiamento di ottimismo può poggiare su basi empiriche solide, non ci sono prove di forti maggioranze in Germania favorevoli alle riforme che sarebbero necessarie per porre fine alla crisi e ribilanciare la zona euro.

Se i paesi della periferia avessero ancora un sistema come il "Gold Standard", sarebbero tutti già stati costretti a uscirne fuori. La depressione euro-indotta è un terreno fertile per il populismo, per l’antipolitica, per l’estremismo e per farsi il sangue amaro, in generale, è un ambiente tossico per i sogni di una "Unione Europea sempre più stretta".

Il corso degli eventi richiede un lifting del tabù che circonda la dissoluzione della zona euro. Se la solidarietà non può essere raggiunta con una progressiva riforma delle istituzioni economiche europee, allora forse questo è il momento di prendere in considerazione di fermarsi. Forse l'unico modo per salvare l'Unione sarebbe quello di abbandonare l'euro. Ancora c'è speranza.

Il contenuto di questo articolo, tradotto da Bosque Primario per Come Don Chisciotte e scritto originariamente da The Telegraph - che ringraziamo - esprime il pensiero dell' autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.
 

tontolina

Forumer storico
E la Turchia Sfancula Euro ed Europa

E la Turchia Sfancula Euro ed Europa | Rischio Calcolato
Ma vi ricordate i bei tempi in cui la Turchia faceva carte false per entrare in Europa e nell’Euro? Con Sarkozy e i tedeschi, contrari che davano di matto e facevano le anime belle su Armeni e Curdi?, e noi? con Berlusconi a Favore e la Lega contro. (la Sinistra a favore a prescindere, tutto per l’Euro e l’Europa…)
Ahahahaha. Che ridere, e che fortuna sfacciata per i turchi i quali in questi anni hanno serenamente continuato a prosperare con la loro liretta turca (o lirona?) e una classe dirigente politica di anni luce superiore alle cancellerie europee.
Beh cari i miei Europeisti (ehi Letta sei connesso?), la Turchia Sfancula ufficialmente l’Europa e mi sa che dovremmo chiederglielo noi, MOLTO gentilmente ai Turchi se ci fanno il favore di condividere il peso dell’Euro e delle istituzioni Europee.
Anche se … pare ci abbiano fatto bye bye e a mai più rivederci.
Mamma li Turchi?
da L’Antidiplomatico
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Turchia. “L’Organizzazione di Shanghai per la cooperazione meglio dell’Ue”, Erdogăn

La Turchia si allontana a grandi passi dall’Europa.
Venerdì scorso, il ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu si è recato ad Almaty (Kazakhstan) per formalizzare l’entrata di Ankara nella SCO (Shanghai Cooperation Organisation) come “dialogue partner”, acquisendo, in pratica, lo status di candidato.
L’Organizzazione di Shanghai – che si basa sulla stretta collaborazione tra stati membri sui temi della difesa, del commercio e della cultura – è il più potente organismo intergovernativo del continente asiatico e, in termini economici e demografici, più grande della stessa Unione europea. Attualmente conta tra le sue fila sei paesi (Il Gruppo dei Sei): Russia, Kazakhstan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan e, appunto, la Cina.L’India partecipa alle sedute del consesso in quanto membro osservatore. Non a caso, il premier Recep Tayyip Erdogăn ha sottolineato di voler diventare, nei prossimi anni, “membro a tutti gli effetti” dell’Organizzazione.
Alcuni analisti hanno fatto notare il motivo di fondo che ha convinto il governo di Ankara a partecipare al progetto: agli stati membri, la Cina presta subito 10 miliardi di dollari. Un investimento che l’Ue non può garantire, in questo momento, ad un’economia in espansione come quella turca.
 

tontolina

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Trent’anni fa è stato spiegato il disastro dell’Euro


Scritto il 6 maggio 2013 alle 13:50 da Paolo Cardenà


di Paolo Cardenà – Uno degli aspetti più inquietanti e forse il più criminale, che ha portato alla nascita della moneta unica, risiede proprio nel fatto che il suo fallimento era già stato previsto almeno tre decenni prima della sua nascita.
La sua insostenibilità era già stata scritta e documentata scientificamente da autorevoli economisti, appartenenti a differenti scuole di pensiero economico, che denunciarono, già a quell’epoca, quelle che sarebbero state le conseguenze in termini di macelleria sociale, di aggressione dei diritti e dei salari del ceto medio popolare, che si sarebbero determinate per effetto della creazione di un’area valutaria non ottimale tra nazioni con strutturali differenze economiche.

Agganciare la valuta della Germania a quella di Paesi economicamente più deboli e con inflazione più alta, senza prevedere meccanismi certi ed automatici di riequilibrio fra i Paesi in surplus e quelli in deficit, non poteva non determinare la costruzione di un rapporto asimmetrico: da una parte la Germania e i Paesi forti nel ruolo di leaders, dall’altra i Paesi più deboli nel ruolo di followers, impossibilitati a recuperare competitività e sostanzialmente costretti a riprodurre le politiche economiche e sociali tedesche, con le conseguenze che vediamo oggi, dopo dieci anni di moneta unica (la quale rappresenta il caso “estremo” di sistema valutario a cambi fissi): deflazione, spinta al ribasso dei diritti e dei salari dei ceti medi e popolari, innalzamento della disoccupazione, politiche di rigore destinate a portare il Paese ad avvitarsi in spirali recessive.
Ma si è voluto procedere ugualmente, nonostante si conosce perfettamente che il progetto dell’euro non sarebbe potuto essere sostenibile. Ciò per il semplice fatto che, secondo una consolidata scuola di pensiero adottata dai padri fondatori, le crisi che si sarebbero avute successivamente, avrebbero creato di per se le condizioni (anche nell’opinione pubblica) per favorire una maggiore integrazione politica e fiscale ritenuta, secondo loro, indispensabile per sanare divergenti aree con caratteristiche economiche, fiscali e sociali differenti.
Tant’è che lo stesso Mario Monti, qualche mese fa, intervenendo ad un dibattito, ha affermato:

« Non dobbiamo sorprenderci che l’Europa abbia bisogno di crisi, e di gravi crisi, per fare passi avanti.

I passi avanti dell’Europa sono per definizione cessioni di parti delle sovranità nazionali a un livello comunitario.

…È chiaro che il potere politico, ma anche il senso di appartenenza dei cittadini a una collettività nazionale, possono essere pronti a queste cessioni solo quando il costo politico e psicologico del non farle diventa superiore al costo del farle perché c’è una crisi in atto, visibile, conclamata. »
Quello che segue, è un testo scritto dall’economista post Keynesiano Nicholas Kaldor nel1971 quando la moneta unica europea era solo un progetto sulla carta che si sarebbe realizzato circa 30 anni dopo, in “Effetti Dinamici del Mercato Comune” pubblicato inizialmente su New Statesman il 12 marzo 1971 e ristampato anche (come capitolo 12, pp 187 – 220) in “Altri Saggi di Economia Applicata” – volume 6 della Raccolta di saggi economici di Nicholas Kaldor. Abbiamo evidenziato in grassetto alcuni passaggi. E’ particolarmente significativo che Kaldor abbia precisamente previsto le cause della crisi dell’euro: lo squilibrio commerciale e della bilancia dei pagamenti a causa di un regime di cambi fissi in assenza di regole sui salari, un fisco centralizzato e riequilibratori automatici. Trent’anni prima che l’euro nascesse era perfettamente chiaro perché non avrebbe funzionato. Kaldor, nel 1971, scriveva:


da Keynes blog
“…Un giorno le nazioni d’Europa saranno pronte ad unire le loro identità nazionali e a creare una nuova Unione Europea – gli Stati Uniti d’Europa. Se e quando lo faranno, ci sarà un Governo Europeo che assumerà tutte le funzioni che fanno capo al Governo Federale degli Stati Uniti d’America, o del Canada o dell’Australia. Questo implicherà la creazione di una “piena unione economica e monetaria”. Ma si commette un errore pericoloso nel credere che l’unione politica e monetaria possa precedere l’unione politica o che opererà (come si legge nelle parole del rapporto Werner) “un agente di fermentazione per la creazione di una unione politica della quale nel lungo non sarà in ogni caso in grado di fare a meno”. Poiché se la creazione di una unione monetaria e il controllo della Comunità sui bilanci nazionali saranno tali da generare pressioni che conducono ad una rottura dell’intero sistema, è chiaro che lo sviluppo dell’unione politica sarà ostacolato e non promosso.

Altri estratti dal capitolo:

pag. 202

Gli eventi degli ultimi anni – in cui si evidenziava la necessità di una rivalutazione del marco tedesco e di una svalutazione del franco francese – hanno dimostrato l’insufficienza della Comunità stante l’attuale grado di integrazione economica. Il sistema presuppone piena convertibilità delle valute e cambi fissi tra gli stati membri, lasciando la politica monetaria e fiscale alla discrezione dei singoli stati.Sotto questo sistema, come gli eventi hanno dimostrato, alcuni paesi tenderanno ad acquisire crescenti (ed indesiderati) surplus commerciali nei confronti dei loro partner commerciali, mentre altri accumulano crescenti deficit. Ciò porta con sé due effetti indesiderati. Trasmette pressioni inflazionistiche da alcuni membri ad altri; e mette i paesi in surplus nelle condizioni di fornire finanziamenti in automatico ai paesi in deficit in scala crescente.

Pag. 205

…. Questo è un altro modo per dire che l’obiettivo di una piena unione monetaria ed economica non si può ottenere senza una unione politica; e la seconda presuppone integrazione fiscale e non mera armonizzazione fiscale. Essa richiede la creazione di un Governo e Parlamento della Comunità che si assumano la responsabilità almeno della maggior parte della spesa attualmente finanziata dai governi nazionali e la finanzi attraverso tasse equamente ripartite tra i membri comunitari. Con un sistema integrato di questo tipo le aree più ricche finanziano in automatico quelle più povere, e le aree che sperimentano un declino delle esportazioni sono automaticamente alleggerite pagando meno e ricevendo di più dalla Fisco centrale. La tendenze cumulative all’aumento e alla diminuzione sono così tenute sotto controllo da uno stabilizzatore fiscale costruito all’interno del sistema che consente alle aree in surplus di fornire automaticamente aiuto a quelle in deficit.

Pag. 206


…quel che il Rapporto sbaglia nel riconoscere è che l’esistenza di un sistema centrale di tassazione e spesa è uno strumento per l’erogazione di “aiuti regionali” molto più potente di qualunque cosa che l’“intervento speciale” per lo sviluppo delle regioni sia capace di fornire.

D’altra parte l’attuale piano della Comunità è come quella casa che “divisa contro se stessa non riesce a stare”. L’Unione monetaria e il controllo della Comunità sui bilanci impedirà ad ogni singolo stato membro di perseguire autonome politiche di piena occupazione – di intervenire per compensare le cadute del livello della produzione e dell’occupazione – eccetto che non beneficiando dell’appoggio di un forte Governo comunitario in grado di preservare i suoi cittadini dalle conseguenze peggiori.

Pag. 192

Myrdal coniò la locuzione “causazione circolare e cumulativa” per spiegare perché il tasso di sviluppo economico delle diverse aree del mondo non tende ad uno stato di equilibrio uniforme ma, al contrario, tende a cristallizzarsi in un numero limitato di aree ad elevata crescita il cui successo ha l’effetto di inibire lo sviluppo di altre aree. Questa tendenza non potrebbe operare se le variazioni dei salari monetari fossero sempre tali da compensare la differenza nei tassi di incremento della produttività. Tuttavia non è questo il caso che si verifica: per ragioni forse non pienamente comprese, la dispersione nei tassi di aumento dei salari tra le diverse aree tende sempre ad essere considerevolmente più piccola di quella relativa alle variazioni della produttività. E’ per questa ragione che in un’area valutaria comune, o in un sistema di valute convertibili con cambi fissi, le aree che crescono di più tendono ad acquisire un vantaggio competitivo cumulativo rispetto alle aree che crescono a tassi inferiori. I “salari efficienti” (calcolati come rapporto tra salari monetari e produttività) tenderanno, nel corso naturale degli eventi, a diminuire nel primo gruppo di paesi rispetto al secondo – anche nella situazione in cui nei due gruppi i salari monetari tendono contemporaneamente a crescere in termini assoluti. Proprio in ragione degli incrementi dei differenziali di produttività, i costi comparati di produzione nelle aree a maggior crescita tendono a diminuire nel tempo rispetto a quelli delle aree a minor crescita ed aumentano di conseguenza il vantaggio competitivo delle prime.”
Ecco il video QUI
 

tontolina

Forumer storico
Dopo Marchionne, Squinzi: “se usciamo dall’Euro, il PIL fa -30%”. Vi spieghiamo perche’ non e’ cosi’ e la nostra interpretazione del perche’ di tali affermazioni.

Di recente Sergio Marchionne disse:
“Se l’Italia esce da euro Fiat fermerà tutti gli investimenti …. l’ingovernabilità non porterà al rinvio degli investimenti a meno che non ci sia una decisione drastica come l’uscita dall’euro”
Rimasi a bocca aperta da tali affermazioni: “un imprenditore dice che investe se c’e’ ingovernabilita’, che storicamente alimenta incertezza ed inefficienza, ma smette di investire se l’Italia esce dall’EURO, e quindi svaluta, e quindi rende le merci di quello stesso imprenditore piu’ competitive“. Apparentemente le cose dette da Marchionne non hanno senso alcuno, ma Marchionne e’ tutt’altro che uno sprovveduto, ed in coda all’articolo potreste comprendere il perche’ delle sue dichiarazioni.

Di recente si sono aggiunte le Dichiarazioni di Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria, qui riprese dal Sole 24 Ore:
«È folle chi pensa che possiamo fare a meno dell’euro». Lo ha detto Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria, nel corso del suo intervento ad un incontro dedicato all’Europa all’università Bocconi a Milano.
«Questo comporterebbe l’abbassamento del 30% del pil in poco tempo; Sarebbe come fare un passo indietro di 20 o 30 anni».
Squinzi assicura che le cifre sono esatte: «Questo – ha precisato incontrando i giornalisti al termine dei lavori – é una elaborazione del centro studi Confindustria»

L’affermazione di Squinzi e’ pesantissima. Nemmeno i Politici piu’ filo-europeisti si azzardano a fare in questa fase affermazioni del genere. Perfino negli ambienti della dirigenza e burocrazia europea, nonche’ nei governi europeisti piu’ accesi, si sentono ammissioni che “qualcosa non va” nel meccanismo europeo, e nessuno si azzarda a frasi di questo tipo.
Perfino Romano Prodi che e’ la persona che piu’ di ogni altro e’ responsabile dell’ingresso dell’Italia nell’Euro, e che nel 1998 affermava:
«Oggi a Bruxelles è nata la moneta unica, oggi l’Italia è più forte, abbiamo preso un impegno e l’abbiamo mantenuto, l’euro è la garanzia del nostro futuro, ora potremo vincere la gara con gli altri colossi economici del mondo…»,
di recente ha detto:
Nessuno ha interesse a buttare a mare l’Euro, non certo la Grecia, non certo l’Italia, ma soprattutto non certo la Germania …. la Germania non ha mai potuto accumulare un surplus, solo nell’ultimo anno ha avuto un surplus di quasi 200 miliardi di euro …. La vera Cina.. è la Germania …. Quando arriviamo al sodo la comunità degli affari tedeschi non ha alcuna intenzione di abbandonare l’Euro“.
I toni, a ben leggere, sono infinitamente piu’ cauti di quelli di Squinzi, e tra le righe c’e’ la chiara ammissione che qualcosa non ha funzionato.

Analizziamo nel dettaglio le affermazioni di Squinzi:

AFFERMAZIONE NUMERO 1 – «È folle chi pensa che possiamo fare a meno dell’euro».
Commento: e’ la classica affermazione pro-euro degna della STASI…. dare del “folle” al tuo avversario. Inutile spenderci parole.

AFFERMAZIONE NUMERO 2- «Questo comporterebbe l’abbassamento del 30% del pil in poco tempo».
Commento: l’affermazione e’ interessante e precisissima. Non c’e’ persona al mondo che non sappia che se tornasse la LIRA questa svaluterebbe. Essendo:
PIL = DOMANDA INTERNA + ESPORTAZIONI - IMPORTAZIONI​
Se un ipotetica LIRA svalutasse per esempio del 10%, avrebbe un impulso sulle esportazioni ed un calo sulle importazioni. Per cui la componente estera del PIL aumenterebbe. Per cui, se fosse vera l’affermazione di Squinzi, per avere un calo del 30% del PIL ci dovrebbe essere un tracollo della domanda interna dell’ordine del 45-50%. I conti sono semplici:
- Per ogni 10% di svalutazione, si ha un impatto sul PIL pari a circa il 3% (considerando che tanto Import, quanto Export pesano per circa il 30% del PIL)
- Per ogni 10% di caduta della domanda interna, l’impatto sul PIL e’ al massimo del 7% (infatti la domanda interna e’ coperta al 30% da importazioni)
- Se la Domanda interna calasse del 45-50%, crollerebbe anche il Costo del Lavoro, e cio’ implicherebbe un ulteriore impulso alla componente estera del PIL
In sintesi Squinzi afferma che Consumi ed Investimenti si dimezzerebbero in poco tempo. L’affermazione appare quanto meno azzardata e non si comprende la ragione di tale collasso.
Tra l’altro nelle nazioni che sono uscite storicamente da cambi fissi e’ SEMPRE accaduto esattamente l’opposto, ed il PIL e’ aumentato, perfino nella disastrata Argentina.


AFFERMAZIONE NUMERO 3- «Sarebbe come fare un passo indietro di 20 o 30 anni».
L’affermazione e’ interessantissima: il passo indietro del Paese c’e’ gia’ stato, ma Squinzi sembra ignorarlo.
Squinzi ignora che l’Italia ha perso negli ultimi 5 anni quasi il 10% di PIL, e che il PIL del 2013 in termini reali e’ identico a quello di 15 anni fa. Il passo indietro e’ in corso, in piena era EURO. I consumi petroliferi gia’ oggi sono identici a quelli di 40 anni fa e le vendite di auto a 30 anni fa.
Giusto per restare nel mondo che Squinzi rappresenta, diamo uno sguardo alla Produzione industriale, che guarda caso e’ in era EURO tornata indietro esattamente di 25 anni.

AFFERMAZIONE NUMERO 4- «Questo é una elaborazione del centro studi Confindustria».
Ottimo, e’ un elaborazione del CSC. Verifichiamo: qui il LINK del Centro Studi Confindustria
Ovviamente non c’e’ nessuno studio pubblicato da CSC, e fanno bene a non pubblicarlo, se no verrebbe demolito in 2 nano-secondi.
Ovviamente di studi ne circolano molti in RETE, specie condotti all’estero, e praticamente tutti sostengono esattamente l’opposto di quanto sostiene Squinzi. Qui alcuni Studi, corredati da ipotesi, grafici e quant’altro:
- Esclusiva Analisi: simulazione di cosa accadrebbe con e senza EURO. (Scenarieconomici.it)
- Studio “Bertelsmann Stiftung”: in caso di rottura dell’EURO grossi guai per la Germania (Bertelsmann Stiftung)
- Game theory and euro breakup risk premium – Cause and Effect (Bank of America e Merrill Lynch)
- L’impact d’une sortie de l’Euro sur l’économie française (Jacques Sapir)

CONCLUSIONI: PERCHE’ SQUINZI HA FATTO QUESTE AFFERMAZIONI E SOSTIENE L’EURO A SPADA TRATTA?
La vera domanda da porsi e’ proprio questa. Squinzi, nei primi mesi di reggenza alla Confindustria aveva anche fatto affermazioni interessanti. Di certo, inoltre, non e’ l’ultimo arrivato, e se fa una qualche affermazione, di certo avra’ le sue ragioni.
Fatto sta, che in termini macro-economici, l’ingresso nell’EURO ha prodotto un tracollo tanto in termini di produzione, quanto di utili aziendati, al tessuto industriale italiano, ed una persona come Squinzi non puo’ non essere a conoscenza di cio’.
L’uscita dall’EURO avrebbe come maggior beneficiario proprio l’economia industriale manifatturiera che Squinzi rappresenta.
Ma allora, perche’ Squinzi difende l’EURO? Perche’ si spinge in affermazioni che parlano di “follia” e che oltrepassano in terrorismo quelle dei banchieri e degli Eurocrati? Perche’ snocciola cifre e non mostra gli studi a supporto delle stesse?
In sintesi Squinzi s’e’ pesantemente “esposto”. Probabilmente perche’ e’ alla ricerca di una qualche contropartita. Vediamo le affermazioni degli ultimi giorni di Squinzi:
“L’Ue deve fare una riflessione e abbandonare una politica di rigore così stringente sui parametri di bilancio, e fare investimenti per la crescita…. di solo consolidamento si puo’ anche morire”.
“Alcune risorse nel paese ancora ci sono. Da imprenditore produco in 32 paesi, e so bene che nonostante tutto nelle nostre università la qualità delle risorse umane è altissima”
“La prima priorita’, quella assoluta, è il pagamento dei debiti della Pa ; la seconda è l’intervento sul costo del lavoro; la terza è l’armonizzazione degli interventi sull’Imu, specialmente quelli che impattano sull’attività produttiva, cioè i capannoni».
In estrema sintesi Squinzi e’ impegnato in questa fase nel chiedere (a Governo ed UE) in ordine:​
A) Piu’ spesa Pubblica attraverso Investimenti (da fare ovviamente a Deficit)​
B) Detassazioni su Costo del Lavoro e su IMU dei Capannoni (da fare ovviamente a Deficit)​
C) Il Pagamento dei Debiti della PA verso le Imprese (da fare ovviamente a Debito)​
IN ESTREMA SINTESI SQUINZI E’ IMPEGNATO NELLA SOLITA POLITICA CORPORATIVA DI RICHESTA DI “GRANA PUBBLICA” A BREVISSIMO TERMINE, DA ATTUARSI A SPESE NON SI SA BENE DI CHI (CERTAMENTE DEI NOSTRI FIGLI): LO STESSO GIOCHETTO CHE VEDIAMO DA PARTE DI OGNI CORPORAZIONE IN ITALIA DA DIVERSI DECENNI.
Il bello e’ che Squinzi e Confindustria otterranno ben poco, ed anche se ottenessero qualcosa, di certo questo qualcosa non risolverebbe i problemi di fondo dell’Industria Italiana che Squinzi rappresenta.​
PERCHE’ NON TUTTE LE IMPRESE AVREBBERO INTERESSE AD USCIRE DALL’EURO
E’ evidente che da un uscita dall’EURO si avvantaggerebbero la quasi totalita’ delle Imprese Italiane. Ogni affermazione generale, comunque, ha delle eccezioni ben precise. Un’uscita dall’EURO dell’Italia creerebbe problemi ad alcune specifiche imprese:​
a) Alle imprese Italiane fortemente indebitate con Banche Estere, che quindi dovrebbero pagare i debiti in Euro e non nelle svalutate neo-Lire​
b) Alle imprese Italiane che hanno massive produzioni all’estero, e che usano tali stabilimenti de-localizzati, per importare massicciamente in Italia.​
In sintesi il 95% delle Imprese Italiane avrebbe vantaggi enormi da un uscita dell’Italia dall’EURO. Ma un 5% di Imprese (che ricadono nelle casistiche a. e b. citate), essenzialmente grandi gruppi che hanno fortemente delocalizzato o investito all’estero, ma che hanno ancora nell’Italia un grande mercato di sbocco, avrebbero da perderci.
Faccio presente che la FIAT (Marchionne s’e’ espresso con toni analoghi sulla questione Euro di Squinzi), produce in Italia appena 400.000 automobili su 4 milioni del Gruppo, e che la MAPEI (di cui Squinzi e’ amministratore) ha solo 7 stabilimenti in Italia e ben 39 all’estero. Forse forse ricadono nelle categorie di cui sopra. Ovviamente Marchionne fa bene a difendere gli interessi dell’impresa che dirige, mentre un po’ meno comprensibile e’ Squinzi (visto che dovrebbe rappresentare l’interesse della globalita’ delle Imprese industriali Italiane, e non una minoranza delle stesse).​
Attendiamo con interesse lo Studio della CSC, se mai verra’ pubblicato ….. (sempre pronti a cambiare idea)​
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By GPG Imperatrice
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tontolina

Forumer storico
e intanto qualcuno se ne và per il TROPPO FISCO ... troppa corruzione ... troppa burocrazia....
Marchionne, cittadinanza (e fisco) inglese per i trattori



Fiat Industrial prepara lo sbarco a Wall Street della nuova società olandese che nascerà dalla fusione con Cnh, la Fi Cbm Holdings Nv. E trasloca dove il fisco è più clemente con le imprese


Torino, 22-05-2013
"Ho fatto una telefonata a Marchionne e lo vedrò, probabilmente nella prossima
settimana per una chiacchierata che mi faccia capire cosa ha intenzione di fare per l'azienda nel nostro Paese". Il ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato in un'intervista a Il Sole 24 Ore annuncia un contatto Governo-Fiat dopo il nuovo passo del Gruppo fuori dall'Italia: Fiat Industrial prepara lo sbarco a Wall Street della nuova società olandese che nascerà dalla fusione con Cnh, la Fi Cbm Holdings Nv. E trasloca dove il fisco è più clemente con le imprese.

Zanonato: Fiat resta strategica
"Sono figlio di un operaio Fiat e ho frequentato le colonie estive dell'azienda. Detto questo, dobbiamo tener presente che il mercato nazionale è passato in tre anni da 2
milioni di nuove immatricolazioni a una previsione di poco oltre 1,3 milioni a fine anno. L'automotive è in forte difficoltà, ma resta fortemente strategica per il nostro Paese".

Fassina contrariato
"Ovviamente il Governo non è favorevole a che ci si scelga la sede fiscale in base alla convenienza", dice il vice ministro all'Economia Stefano Fassina, convinto che
"servono regole che limitino la possibilità di lasciare sui poveri cristi, piccoli imprenditori e lavoratori dipendenti, il peso della pressione fiscale".
Lupi: dobbiamo fare di più per trattenere investitori e imprese
Diversa la reazione del ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Maurizio Lupi, a margine di un'audizione alla Camera: "E' una decisione che deve farci pensare - ha detto Lupi- non solo un po' deve preoccuparci ma stimolarci a creare le
condizioni per far restare le imprese nel nostro Paese. Sono certo - ha proseguito - che il ministero dello Sviluppo economico, nel dialogo con Fiat, saprà non solo dialogare ma far riflettere Fiat ricordandogli che è ed è stata, con oneri e onori, l'impresa italiana per eccellenza".
Fiat Industrial trasloca
Il prospetto preliminare per la quotazione a Wall Street è stato presentato alla Sec, l'autorità americana di controllo sui mercati e al suo interno c'è anche l'ipotesi di trasferimento della sede fiscale in Gran Bretagna.

Fiom: il governo si muova
"Noi chiediamo che il nuovo governo convochi immediatamente un tavolo per fermare il processo che sta portando le attività e la testa della Fiat fuori dall'Italia", afferma il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, mentre per il ministro delle Infrastrutture e trasporti, Maurizio Lupi, l'ipotesi di trasferimento della sede fiscale "deve non solo preoccupare, ma deve anche stimolarci a pensare a creare le condizioni perché le imprese restino in questo Paese".

La quotazione a Wall Street della società olandese era già prevista nel progetto di fusione, approvato a febbraio dai consigli di amministrazione di Industriale Cnh e Sergio Marchionne aveva indicato come termine la fine del terzo trimestre 2013. Mancano ancora le date delle assemblee straordinarie, che dovrebbero essere convocate entro giugno. La novità è l'ipotesi di trasferimento della sede fiscale
in Gran Bretagna, per favorire gli azionisti con un regime fiscale analogo a quello dei competitor della società.

Numeri
Lo scorso anno su un reddito di 1,485 milioni di euro Fiat Industrial, che fattura oltre 5 miliardi, ha versato al fisco italiano 564 milioni di euro, pari al 37,9% di quanto guadagnato. La sede delle attività ora sarà nel Regno Unito: a Basildon, nell'Essex, in Cranes Farm Road. I trattori risulteranno così posseduti da una holding olandese con le attività operative in Gran Bretagna, dove il governo ha tagliato le tasse sulle imprese in modo deciso negli ultimi anni, dal 30% del 2007 all'attuale 23,25% per arrivare al 20% di aliquota prevista per il 2015.


che dire... quando la Nave affonda i Topi scappano....
 

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