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EURODISASTRO – Se avessimo una Banca Centrale statale e non avessimo aderito all’euro il nostro debito pubblico sarebbe di soli 192 miliardi anziché 2000 miliardi!


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24 ottobre 2013 |
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Autore Redazione | Stampa articolo
Fonte: http://www.ioamolitalia.it/blogs/vivere-senza-l-euro/eurodisastro—se-avessimo-una-banca-centrale-statale-e-non-avessimo-aderito-all-euro-il-nostro-debito-pubblico-sarebbe-di-soli-192-miliardi-anziche-2000-miliardi.html
di Stefano Di Francesco
19/10/2013 19:04:13


Sarà poi vero che siamo un popolo di ladri, manigoldi, evasori, spendaccioni il cui unico scopo nella vita è rubare al prossimo? Sarà poi vero che solo noi, solo qui in Italia, abbiamo questa morale così incline alle furberie, alla corruzione, al malcostume?
Bèh..in parte è vero, non siamo sicuramente tra i più onesti e virtuosi del mondo, ma esistono popoli e nazioni dove la corruzione è molto maggiore che da noi, dove la tangente è la regola ed il malcostume quotidianità. Pensiamo ai paesi del sud-est asiatico: Cina, Corea, Filippine, Taiwan, … rubano anche lì, però le loro economie vanno a velocità dieci volte la nostra. Forse il problema non è lì.




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Ma che strano!! Il debito pubblico italiano se fosse stato monetizzato attraverso la Banca Centrale piuttosto che attraverso la vendita di titoli sul mercato finanziario sarebbe di soli 192 miliardi di euro, il 12,3% del PIL e non il 132% come oggi!!!
Possiamo quindi affermare che il debito è praticamente oggi composto di soli interessi e che non dipende dalla spesa, dalla mala gestione, dalla corruzione e tanto meno dall’evasione fiscale.
Si tratta di capire che sono state la sciagurata decisione di non consentire più alla Banca d’Italia di sottoscrivere il debito nazionale, l’emissione di BTP a tassi ben superiori all’inflazione, la necessità di innalzare detti interessi per collocare il debito sul mercato, l’adesione all’Euro ed alle tante troppe sovrastrutture che ci sono state imposte con la sua adozione, le cause del debito pubblico e non la mala gestione della cosa pubblica.
Sprechi ci sono stati, ci sono e probabilmente ci saranno anche in futuro. Ma è un dato di fatto che l’Italia da vent’anni a questa parte ha prodotto avanzi primari di bilancio per una cifra superiore a 730 miliardi di euro!!
Sono gli interessi passivi che lo Stato paga ogni anno ad aver trasformato questo avanzo in un deficit dopo l’altro, consentendo al debito pubblico di arrivare a quasi 2100 miliardi di euro!
Inoltre questi interessi fluiscono per circa il 90% nelle casse del sistema bancario globale (italiano ed estero). Trattasi di 70/80 miliardi che le banche incassano senza rischio e che si guardano bene dal reimmettere nel sistema economico, tant’è che riducono il credito di 50 miliardi l’anno al sistema Imprese -Famiglie! Che bel risultato !come sono efficienti i mercati finanziari!!
Dobbiamo tornare padroni del nostro destino, gli italiani decidano per l’Italia.


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PICCOLA CRONOLOGIA DELLA DECADENZA INDUSTRIALE ITALIANA, CON NOMI E COGNOMI:
Il sistema industriale italiano è stato molto forte. Era basato sulla cosiddetta ECONOMIA MISTA, cioè grandi aziende pubbliche, qualche grande azienda privata, tantissime piccome medie imprese.
Il sistema misto ha fatto la fortuna dell’Italia, portandoci al 5° posto tra le economie più industrializzate a fine anni ’80.
Mattei, fondatore dell’ENI, ha evitato che l’Italia dipendesse dalle forniture di energia della British Petroleum, della Exxon o della Total, con grandi drenaggi di soldi dall’economia italiana. E ormai si è capito che gli hanno presentato il conto…
Cosa ci ha fatto arretrare dai nostri interessi nazionali?
Le cause sono economiche, politiche, culturali ed esogene.
Innanzitutto prevalsero negli anni ’70 le idee “monetariste” di Milton Friedman secondo il quale l’inflazione dipende dalla quantità di moneta stampata, per cui occorre rendere indipendenti le banche centrali dalla politica (che chiede di stamparne troppa) e far si che gli Stati si finanzino a debito sui mercati (che poi sono le grandi holding finanziarie anglosassoni) anziché, almeno in parte, con le proprie banche centrali.
Kissinger diceva: “controlla il petrolio e controllerai gli stati; controlla il cibo e controllerai il popolo”. Potremo anche aggiungere: “controlla l’indebitamento degli stati e controlli tutto”.
In secondo luogo vennero accantonate le teorie Keynesiane, vincenti sin dagli anni ’30, della spesa pubblica in fase di recessione, in quanto l’inflazione galoppante degli anni ’70 la si attribuì alle spese pubbliche sul welfare degli stati avanzati e non, più correttamente, alla decuplicazione in 6 anni del prezzo del petrolio, risorsa alla base del costo di ogni bene-prodotto.
L’errore fu fatto in mala fede, perché la spesa pubblica non può generare inflazione non controllabile, finche ci sono fattori della produzione non occupati. Detto in altro modo, finchè ci sono disoccupati e imprese in crisi.
La saga si concluse negli anni ’90 con l’inizio di importanti “RIFORME” planetarie suggerite da FMI e Banca Mondiale, prime fra tutte quelle legate all’eliminazione dei divieti per le banche di occuparsi contemporaneamente della raccolta commerciale dei risparmi (intermediazione finanziaria) e di attività speculativa con prodotti innovativi a danno delle casse pubbliche e dei risparmiatori.
Vediamo allora di fare una breve cronistoria di quello che è stato il suicidio nazionale.
1 – 1981 – il divorzio tra Banca d’Italia (C.A. Ciampi) e Ministero del Tesoro (Beniamino Andreatta), ha fatto esplodere i tassi degli interessi sul debito pubblico in quanto la sovranità monetaria è rimasta solo formalmente, in quanto sostanzialmente lo Stato si poteva, da allora, finanziare solo a debito sui “mercati”. La conseguenza è stata il raddoppio del debito pubblico in 10 anni (dal 60% del 1981 al 120% del PIL nel 1991, proprio a causa della capitalizzazione degli interessi passivi). L’intento di Andreatta era di indebolire la politica, togliendogli il controllo della moneta. C’è riuscito ma siamo finiti in balia dei mercati.
2 – l’allievo di Andreatta, Romano Prodi, presidente dell’IRI, già nel 1984 stipula a trattativa privata, in compagnia di Cuccia, un pre contratto di vendita della SME (Cirio, Bertolli, De Rica, Motta, Alemagna, Autogrill, GS supermercati, Italgel) a Carlo De Benedetti per poco meno di 500 miliardi di lire. Nonostante l’appoggio di de Mita a De Benedetti, Craxi riesce a bloccare tutto con contro cordate (ad es. Barilla-Ferrero-Fininvest). Andrà a finire, dopo innumerevoli controversie giudiziarie, che Franco Nobili, nuovo presidente IRI, nel 1993 decide di privatizzare la SME spacchettandola in tre tronconi. Viene colpito e affondato da mani pulite e Prodi che subentra a Nobili tratta la vendita. Alla fine della giostra, l’Italia incasserà 2000 miliardi lordi (bisognava pagare le consulenze delle varie Goldman Sacks, JP Morgan ecc.) dalla cessione della SME. A chi? Bertolli va alla Unilever. La Italgel alla Nestlè. Benetton prende per 700 mld di lire GS e Autogrill. Dopo pochi anni vende i soli supermercati GS alla Carrefour per 5000 mld. Tiene immobili per 1500 mld.
3 – negli anni ’90, essendo riusciti (con il punto 1) a creare forti vincoli alla finanza pubblica, con la prospettiva dell’euro, si avvia la più imponente campagna di privatizzazione planetaria: si vende la Telecom (che nel 2013 passerrà agli spagnoli); si vendono le banche nazionali favorendo grandi gruppi in regime di oligopolio a danno dei risparmiatori; si smantella l’IRI; si vende la rete telefonica delle ferrovie (Infostrada) a Carlo De Benedetti per 740 mld di lire pagabili in 14 anni (!!!). De Benedetti cede poi Infostrada ai tedeschi di Mannesman per 14.000 mld (non a rate!!!).
Il risultato è quello che scrisse il politico francese Edouard Balladour: “gli italiani, nella loro follia moralizzatrice, stanno abbattendo tutte le loro querce più grandi”.
Il tutto condito allora da Manipulite, che decapitò i vertici di ENI, Ferrovie, ecc. e dall’uso suicida delle norme antitrust che parevano valere solo per impedire lo sviluppo di compagnie italiane come STET, Telecom, ENEL o dell’ENI, mentre non valevano per la svendita ai nostri grandi competitor internazionali.
Altro fattore di contesto era la prospettiva dell’euro (identificata erroneamente con l’Europa). Tutti volevamo sentirci “europei” e suicidammo con senso di inferiorità gli interessi (e le prospettive) nazionali, pur di entrare in un circolo, che alla luce dei fatti ha dato solo il grande vantaggio di non dover più andare a Parigi e cambiare lire con franchi.
Gli inglesi sono stati più fessi di noi. Si sono tenuti la “sterlinetta” ed hanno rifiutato, in tal modo, ingenti flussi finanziari nella loro borsa, o grandi flussi turistici o i tanti italiani che avrebbero acquistato case a 15.000 sterline a mq a Londra. Che fessi, si sono tenuti le loro leve sovrane e politiche, anziché accettare burocrati europei che arrivano a spiegargli il bene e il male.
Talmente fessi che nel 2012, anziché massacrare la propria economia con più tasse per 70 mld di sterline, hanno fatto riacquistare (riducendolo) debito pubblico alla Banca D’Inghilterra, per lo stesso importo. Che fessi…
 

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Il Procuratore Generale Tarquini spiega la truffa di Bankitalia
Visto su http://sebastianoscrofina.blogspot.com/2004/12/il-procuratore-generale-tarquini.html
Tratto da “La banca, la moneta e l’usura – La Costituzione tradita”, di Bruno Tarquini
[*], già Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello dell'Aquila (ed. Controcorrente, Napoli 2001)

"Le anomalie di un bilancio […] la Banca d’Italia, nei propri bilanci, iscrive tra le poste passive la moneta che immette in circolazione. Questo ritiene di poter fare in virtù di un mero gioco di parole, che si risolve in definitiva in una presa in giro del popolo, sfruttando in modo truffaldino la formula che ancora si trova scritta sulle banconote (“Lire centomila – pagabili a vista al portatore” – firmato “Il Governatore”) e che, oggi, non avrebbe più alcuna ragione di essere, perché non significa nulla [1].
Infatti si tratta di un’obbligazione che l’istituto bancario si assumeva nel passato (nel tempo, cioè, in cui vigeva la convertibilità del biglietto di banca in oro) di convertire appunto la carta moneta nel metallo prezioso che ne costituiva la garanzia (base aurea).
Nei tempi attuali, in cui quella convertibilità è stata abolita ed è stato imposto il corso forzoso della moneta cartacea, quella “promessa di pagamento a vista” ha perduto ogni contenuto e non può, quindi, avere alcun valore. Tuttavia la Banca d’Italia ritiene ancora di potersene avvalere, confidando che la mera apparenza, che ancor oggi conservano i biglietti di banca, di cambiali a vista, e quindi formalmente di debito, le possa consentire legittimamente di considerare la moneta immessa in circolazione come una propria passività da iscrivere in bilancio tra le poste passive. Ed è noto come l’aumento artificioso del passivo, in un bilancio societario, determini un illecito annullamento dell’attivo [2].

Quindi l’Istituto di Emissione immette in circolazione banconote che sono non solo prive di alcuna copertura (neanche parziale) o garanzia, ma anche strutturate come false cambiali, che da un lato offrono una parvenza di legalità alla loro iscrizione nel passivo dell’azienda, dall’altro costituiscono un “debito inesigibile”, come affermano le stesse autorità monetarie, inventando una fattispecie giuridica di cui facilmente si può misurare l’assurdità. A parte, infatti, che la inesigibilità non può che riguardare il credito (perché è questo che, caso mai, non può essere esatto), con la formula del “debitore inesigibile” si fa decidere allo stesso debitore di non pagare il debito.
Una cosa è dire che “il credito” è inesigibile perché il debitore non può pagare, altra cosa è invece dire che esso è inesigibile perché il debitore (la Banca Centrale) per legge ha la garanzia di non dover pagare.
Riassumendo, delle due l’una: o la Banca d’Italia non è proprietaria della moneta al momento dell’emissione (come hanno affermato i rappresentanti del governo rispondendo alle interrogazioni parlamentari) ed allora appare del tutto ingiustificato che ne tragga un utile, tanto più che la banca stessa assume di essere debitrice dei simboli monetari emessi, così da iscriverli come posta passiva nel proprio bilancio; oppure la Banca Centrale (contrariamente a quanto dichiarato dai due Sottosegretari di Stato) è proprietaria di quella moneta e con giustificazione (solo apparente) ne ritrae un utile dal suo prestito al sistema economico nazionale, ma allora assume i contorni di un fatto illecito far figurare come poste passive operazioni che sono invece indubbiamente attive."


Note:
[*] Bruno Tarquini è nato ad Avezzano (L’Aquila) nel 1927. Laureatosi in giurisprudenza nel 1948 presso l’Università di Roma, è entrato giovanissimo in magistratura, percorrendone tutti i gradi. E’ stato pretore a Roma e, dal 1955, al Tribunale di Teramo, prima come giudice, poi come presidente; nel 1986 è stato trasferito alla Corte d’Appello dell’Aquila, dove ha svolto le funzioni di presidente della sezione penale e della Corte d’Assise di secondo grado, infine, nel 1994, è stato nominato Procuratore Generale della Repubblica presso la stessa Corte d’Appello. Gli studi giuridici e l’attività professionale non gli hanno impedito di alimentare le sue curiosità intellettuali, con particolare riguardo alla storia.
[1] Provi il cittadino a presentarsi ad uno sportello qualsiasi della Banca d’Italia, esibisca una banconota contenente quella (ormai inutile) promessa di pagamento e chieda di essere “pagato a vista”. E’ probabile che venga preso per matto!
[2] Sarebbe di certo giuridicamente infondato sostenere la legittimità della indicazione nel passivo della moneta al momento della emissione (ed a maggior ragione durante la sua circolazione), facendo ricorso a quanto stabilisce l’art.2424 del codice civile, secondo il quale il bilancio delle società per azioni deve indicare nel passivo (tra l’altro) anche “il capitale sociale al suo valore nominale…”, poiché non vi è alcun dubbio che nella massa di moneta creata e messa in circolazione dalla Banca Centrale non può sicuramente identificarsi il capitale sottoscritto e depositato dagli azionisti (“partecipanti”), dei quali costituisce un credito e, quindi, per la società un debito. Quella moneta la stessa Banca d’Italia – come si dirà più oltre – la definisce “merce”.


www.disinformazione.it
 

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venerdì 25 ottobre 2013

LEHMAN BROTHERS, GOLDMAN SACHS, JP MORGAN: BANCHE CHE HANNO FRODATO ALL'ITALIA 4,4 MILIARDI DI EURO







DRAGHI MARIO, PRESIUDENTE BCE


di Gianni Lannes


L’evasione fiscale, una piaga da cento miliardi di euro l’anno, dovrebbe essere combattuta senza sconti da parte dello Stato: sette punti di prodotto interno lordo (Pil) di mancate entrate per l’erario, oltre 100 miliardi di euro, cioè il 15-20 per cento di tutte le entrate fiscali raccolte. Se venissero pagati regolarmente potrebbero sventare le crisi speculative pilotate dall’estero per spappolare l’Italia.


Lo Stato, ovvero il governo non adotta lo stesso comportamento sanzionatorio nei confronti di tutti gli evasori. Per esempio i concessionari del gioco d’azzardo devono 100 miliardi di euro, ma il governo Letta non entra in azione per recuperare l’ingente somma di denaro. E invece aumenta a dismisura le tasse più elevate del mondo. Perché? Semplice: le stesse concessionarie debitrici finanziano la fondazione Vedrò a cui fanno capo proprio Letta & Alfano.


Non è tutto: c’è di peggio. Ben 4 governi hanno fatto finta di nulla: Prodi, Berlusconi, Monti & Letta. Oltre 4 miliardi di euro sottratti al fisco tricolore dalle grandi banche internazionali, accusate di aver messo in piedi una gigantesca frode fiscale, per 4,3 miliardi di euro, nei confronti dei quali lo Stato italiano è diventato distratto se non addirittura reticente. Di che si tratta? Delle maggiori banche d’affari che hanno frodato il fisco italiano, quindi la totalità dei cittadini, per un controvalore di 4,3 miliardi di euro, come risulta dall’indagine della Procura della Repubblica di Pescara, nell’operazione denominata “easy credit”.


Lehman Brothers, Goldman Sachs e Jp Morgan, fra le principali banche d'affari mondiali, hanno frodato il fisco italiano per la somma di 4,3 miliardi di euro, una mezza legge finanziaria. Ma quasi nessuno ne parla. Nemmeno la Banca d’Italia (solo nel nome), supremo organo di vigilanza e di controllo del sistema bancario, ormai di proprietà privata. Nessun telegiornale o grande organo di informazione, così solerti nel dare la caccia agli evasori di gelati, ha dato risalto a questa colossale frode ai danni dello Stato. Per alcune di loro hanno lavorato Romano Prodi e Mario Monti, ovvero due primi ministri in evidente conflitto di interessi a danno dell’Italia.


Ci si chiede cosa avevano fatto le banche, per appropriarsi di una montagna di soldi. Avevano messo in piedi una gigantesca truffa ai danni dello Stato, ovvero del popolo italiano, consumata con i pacchetti azionari di investitori di ogni angolo del globo: europei, americani, asiatici, australiani. Per riuscire a spillare denaro è stato sufficiente chiedere il rimborso del credito d'imposta sui dividendi delle società italiane, facendo credere di averne diritto. Secondo la Procura della Repubblica di Pescara, banche americane ed altri istituti di credito erano riusciti a mettere le mani su una torta miliardaria.


Passando al setaccio oltre 40.000 richieste di rimborso del credito d'imposta sui dividendi per gli anni 1999-2003, il Procuratore capo di Pescara, Nicola Trifuoggi, ed i suoi sostituti, Giampiero Di Florio (esperto di reati finanziari) e Giuseppe Bellelli hanno portato alla luce le dimensioni colossali del raggiro. La scoperta della truffa sui rimborsi, nome in codice "easy credit", risale al 2005 quando, dopo un'indagine sulle richieste di rimborso inoltrate da società inglesi, il Gruppo repressione frodi della Guardia di finanza di Roma ha trasmesso un rapporto alla Procura di Pescara, competente per territorio visto che nella città abruzzese ha sede un centro operativo dell'Agenzia delle entrate.


Secondo la legislazione il diritto al credito d'imposta sui dividendi spetta unicamente alle società ed agli enti residenti in Italia. Le tre banche d'affari per mettere le mani sui rimborsi miliardari italiani si sono fatte prestare temporaneamente, da ogni angolo del mondo, da fondi di investimento e istituti di credito delle più svariate nazionalità, pacchetti azionari in maniera che, al momento dello stacco del dividendo delle società italiane, queste azioni risultassero di proprietà delle loro filiali inglesi Lehman Brothers International Europe, Goldman Sachs International e Jp Morgan Securities Limited, tutte e tre con sede a Londra e perciò titolate a chiedere il rimborso. Una volta incassato il dividendo e maturato il credito, tempo qualche settimana, i titoli azionari venivano restituiti agli effettivi proprietari.


Un caso tra i tanti. Il 23 marzo 2001, Banca Intesa riceve dalla Deutsche Bank di Londra l'ordine di prelevare 3 milioni di azioni Eni da un proprio conto per girarle a quello della Lehman Brothers International acceso presso la Citibank di Milano. Il 5 maggio, puntualmente, le azioni entrano sul conto milanese della Lehman. Il 18 giugno avviene lo stacco del dividendo Eni e meno di un mese dopo, maturato il diritto al rimborso, le azioni fanno il percorso inverso rientrando sul conto londinese di Deutsche Bank. In quei giorni sono state fatte migliaia di operazioni di questo genere. Lehman Brothers international Europe, per esempio, rispetto a una giacenza media nell'intero arco del 2001 di 5.400.000 azioni Eni, nel mese di giugno vedeva il numero dei titoli petroliferi registrati sul proprio conto milanese superare i 155 milioni. Una grande performance, ma non la sola. Anche Goldman Sachs e Jp Morgan sono state attivissime. La prima, rispetto a una giacenza media annuale di meno di 50.000 titoli Eni, sempre nel giugno 2001 arrivava a possederne 355 milioni. La lista degli accusati potrebbe essere molto lunga con un totale di circa 4.500 soggetti finanziari, quali Merrill Lynch, Nomura International, Citigroup Global Markets Limited e la svizzeraUbs.


Nella rapina “legalizzata” dallo Stato tricolore (si fa per dire) ci sono le case madri e le filiali europee di Lehman, Goldman e Jp Morgan, che avevano richiesto al fisco 709 milioni di euro di rimborsi, oltre 600 dei quali non dovuti. Accuse pesantissime: dalla truffa ai danni dello Stato (tentata e consumata) alla responsabilità penale e amministrativa per non avere adottato misure idonee tendenti ad evitare che dirigenti e dipendenti commettessero i reati. Un aspetto molto delicato della vicenda, riguarda proprio Goldman Sachs International di Londra.


Negli anni incriminati il vicepresidente e managing director (amministratore delegato) della Goldman Sachs era Mario Draghi, divenuto governatore della Banca d'Italia a fine dicembre 2005, e infine a capo della Bce. Il conto della Deutsche Bank di Londra dal quale Lehman Brothers prende in prestito il pacchetto di azioni Eni nel giugno del 2001, appartiene al fondo Franklin Mutual Series di Short Hills, New Jersey. Un investitore americano: e dunque non titolato a chiedere il rimborso del credito d'imposta. Come non ne avevano diritto gli altri soggetti finanziari dai quali Lehman, Goldman e Jp Morgan che hanno preso in prestito quasi tutti gli altri pacchetti azionari.


La Guardia di finanza scrive in un dettagliato rapporto, che si può «ragionevolmente ipotizzare che le maggiori istituzioni finanziarie estere abbiano costituito un vero e proprio cartello finalizzato ad effettuare in Italia operazioni di “lavaggio dei dividendi"», dividend washing in inglese. Un'operazione truffaldina che non si limita alla Gran Bretagna. Se da Londra sono infatti partite richieste sospette di rimborso per 2.200.000.000 euro, anche dalla Francia (l'altro paese con il quale l'Italia ha stipulato un trattato per i crediti d'imposta sui dividendi) sono arrivate istanze per 2 miliardi, molte inoltrate da Bnp Paribas e Credit Lyonnais.


Il meccanismo del dividend washing era quello di monetizzare il credito d'imposta assegnato a soggetti italiani percettori di dividendi attraverso il temporaneo trasferimento dei titoli azionari alla vigilia dello stacco dei dividendi. Il non residente non fruitore del credito di imposta vende le partecipazioni con realizzo di plusvalenze a un soggetto italiano legittimato a ottenere il credito di imposta, incassa il dividendo, rivende le partecipazioni a un valore più basso, realizza una minusvalenza deducibile da contrapporre al credito d'imposta e al dividendo per abbattere l'imponibile. Ma una circolare dell’Agenzia delle entrate, che tiene conto delle ultime sentenze della Corte di cassazione, emanata a fine giugno 2007, stronca definitivamente il meccanismo truffaldino denominato credit washing, sbaraglia le difese dei fiscalisti, riconducendo nella giusta sede i tentativi dei legali rappresentanti e dei “furbetti delle cedoline”, di non pagare le tasse, come tutti i cittadini.


Se un povero pensionato, costretto a fare il secondo lavoro “in nero” per sbarcare il lunario viene scoperto, è subito messo alla gogna e denunciato, e magari Equitalia gli toglie la casa; se un piccolo commerciante, non rilascia la ricevuta fiscale (che deve essere sempre rilasciata) per un modesto importo, viene pesantemente multato rischiando anche la chiusura dell’attività commerciale.


Ma se grandi banche d’affari frodano il fisco, quindi lo Stato ed i cittadini che contribuiscono a far funzionare i servizi pubblici mediante il pagamento delle tasse, per 4,3 miliardi di euro (equivalenti a 8.400 miliardi di lire), non vengono neppure cancellate dall'elenco dalle banche di riferimento del Ministero dell’economia e delle finanze,
Qualche domanda a bruciapelo per chi occupa - pro tempore - Palazzo Chigi.


Presidente Enrico Letta sono stati recuperati i 4,3 miliardi di euro oggetto dell’inchiesta della Procura della Repubblica di Pescara?


Mister Letta risulta compatibile la carica presidente della banca centrale europea di Mario Draghi, chiamato a vigilare proprio sulla correttezza e trasparenza delle banche, con il pregresso status di responsabile legale di una grande banca d’affari, accusata di aver frodato il fisco italiano per una somma ingente?


In un Paese civile, in uno Stato di diritto, la pubblicazione di una notizia documentata come questa provocherebbe le dimissioni immediate, in blocco, di un governo e l’apertura di un’inchiesta giudiziaria nei confronti di chi ai vertici istituzionali per conto terzi sta affossando definitivamente il Belpaese. E poi non c’è neppure una valida opposizione parlamentare. In una nazine seria che lavora per il bene comune, gentaglia simile che succhia linfa vitale a chi lavora realmente, sarebbe cacciata a pedate nel deretano.


Gianni Lannes - Su la testa



 

tontolina

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Ma che strano!! Il debito pubblico italiano se fosse stato monetizzato attraverso la Banca Centrale piuttosto che attraverso la vendita di titoli sul mercato finanziario sarebbe di soli 192 miliardi di euro, il 12,3% del PIL e non il 132% come oggi!!!
Possiamo quindi affermare che il debito è praticamente oggi composto di soli interessi e che non dipende dalla spesa, dalla mala gestione, dalla corruzione e tanto meno dall’evasione fiscale.
Si tratta di capire che sono state la sciagurata decisione di non consentire più alla Banca d’Italia di sottoscrivere il debito nazionale, l’emissione di BTP a tassi ben superiori all’inflazione, la necessità di innalzare detti interessi per collocare il debito sul mercato, l’adesione all’Euro ed alle tante troppe sovrastrutture che ci sono state imposte con la sua adozione, le cause del debito pubblico e non la mala gestione della cosa pubblica.
Sprechi ci sono stati, ci sono e probabilmente ci saranno anche in futuro. Ma è un dato di fatto che l’Italia da vent’anni a questa parte ha prodotto avanzi primari di bilancio per una cifra superiore a 730 miliardi di euro!!
Sono gli interessi passivi che lo Stato paga ogni anno ad aver trasformato questo avanzo in un deficit dopo l’altro, consentendo al debito pubblico di arrivare a quasi 2100 miliardi di euro!
Inoltre questi interessi fluiscono per circa il 90% nelle casse del sistema bancario globale (italiano ed estero). Trattasi di 70/80 miliardi che le banche incassano senza rischio e che si guardano bene dal reimmettere nel sistema economico, tant’è che riducono il credito di 50 miliardi l’anno al sistema Imprese -Famiglie! Che bel risultato !come sono efficienti i mercati finanziari!!
Dobbiamo tornare padroni del nostro destino, gli italiani decidano per l’Italia.


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non a caso c'è il 1980
se ben ricordi il Parlamento italiota formato da tanti avvocati e pochi economisti
approvò il decreto legge Andreatta
sancì il divorzio tra Banca d'Italia e Italia
insomma da allora gli italiani sono senza un Banca nazionale

tanto paga pantalone perche i nostri politioti ignoranti e corrotti, incassano sempre 21mila euro al mese
e fanno le Leggi contra-popolo che loro derogano per se stessi



non così i tedeschi che hanno la buba che compre i loro BUND ad interessi ridicoli
 

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