Chi è Varoufakis (1 Viewer)

tontolina

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Un'analisi di Yanis Varoufakis molto utile a una riflessione interna per MR

L'articolo di Yanis Varoufakis, che qui si recensisce per i Lettori Rooseveltiani, è una lucida analisi della cattiva coscienza della tecnocrazia europea, la cui deriva ne fa, ormai apertamente, un sistema pubblico orientato dagli interessi privati di alcune ristrette oligarchie. Lascio all'articolo medesimo entrare nei contenuti, non senza avvertire però che questo sistema è la grande malattia del nostro tempo, che affligge l'etica sociale organica di tutti i pretesi sistemi democratici, dilaniati da una propaganda che propone come modelli di successo esclusivamente il culto della persona, il possedere beni materiali, il potere come possibilità di disporre di altre persone. Se, come Movimento Roosevelt, vogliamo veramente incidere sul cambiamento sociale, dobbiamo stare attenti ed espellere queste attitudini dai nostri comportamenti quotidiani, sia a livello individuale, sia a livello di scelte del Movimento.

L'EUROGRUPPO, ANTITESI DELLA DEMOCRAZIA


di Yanis Varoufakis*

Così come Macbeth, i politici tendono a commettere nuovi peccati per coprire i propri vecchi misfatti. E i sistemi politici dimostrano il loro valore a seconda della rapidità con cui pongono fine agli errori politici seriali, che si rafforzano a vicenda, dei loro funzionari. Giudicata secondo questo standard, l’eurozona, comprendente 19 democrazie consolidate, non riesce a stare al passo con la più grande economia non democratica del mondo.
Rispetto all’Unione Europea, comunque, gli sforzi fatti dal governo cinese per correggere i suoi errori – permettendo eventualmente ai tassi di interesse e ai valori borsistici di oscillare – sembra un esempio di rapidità ed efficienza. In effetti, il fallimentare “programma di risanamento del bilancio e di riforma” greco, e il modo in cui i leader dell’Unione Europea si sono avvinghiati ad esso, nonostante gli ultimi cinque anni dimostrino che il programma non può avere successo, è sintomatico del fallimento più ampio di una governance europea, con profonde radici storiche.
Gli ultimi cinque anni di politica economica nell’eurozona si sono rivelati in una notevole commedia degli errori. L’elenco degli errori nelle politiche è quasi infinito:
l’aumento del tasso di interesse da parte della Banca centrale europea nel luglio del 2008 e di nuovo ad aprile del 2011;
l’istituzione della più dura austerità per le economie cadute nella peggiore recessione;
trattati perentori che chiedono svalutazioni competitive interne per peggiorare le condizioni degli Stati vicini;
e un sistema bancario che manca di un adeguato modello di deposito di assicurazione.

Come possono i politici europei farla franca?
Dopo tutto, la loro impunità politica risulta in netto contrasto non solo con gli Stati Uniti, dove i funzionari devono almeno rispondere al Congresso, ma anche con la Cina, dove è comprensibile pensare che i ministri sono meno controllabili rispetto alle controparti europee.
La risposta giace nella natura frammentata e volutamente informale dell’unione monetaria europea.

*Articolo apparso su "Project-Sindycate" e ripubblicato da "Il marxismo libertario". Leggi l'intero articolo
 

tontolina

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Yanis Varoufakis (ancora) contro il Corriere della Sera: «distorta una mia intervista» | Giornalettismo

Yanis Varoufakis
all’attacco, ancora, del Corriere della Sera. Dopo l’incidente dello scorso 8 marzo con il quotidiano di via Solferino che titola sull’idea di un referendum sull’Euro da parte dell’ex ministro delle finanze di Atene, stavolta l’ex ministro delle Finanze di Atene attacca il quotidiano di via Solferino ritenendolo colpevole di aver distorto una sua intervista e di aver usato un titolo che svia dal contenuto della stessa.
 

tontolina

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Yanis Varoufakis (ancora) contro il Corriere della Sera: «distorta una mia intervista» | Giornalettismo

Yanis Varoufakis
all’attacco, ancora, del Corriere della Sera. Dopo l’incidente dello scorso 8 marzo con il quotidiano di via Solferino che titola sull’idea di un referendum sull’Euro da parte dell’ex ministro delle finanze di Atene, stavolta l’ex ministro delle Finanze di Atene attacca il quotidiano di via Solferino ritenendolo colpevole di aver distorto una sua intervista e di aver usato un titolo che svia dal contenuto della stessa.


Interview in Corriere Della Sera ? 16 SEP 2015 | Yanis Varoufakis
 

tontolina

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In Cina chi sbaglia paga, l’Ue invece premia i suoi mostri

Scritto il 19/9/15 • nella Categoria: idee • (2)
Così come Macbeth, i politici tendono a commettere nuovi peccati per coprire i propri vecchi misfatti. E i sistemi politici dimostrano il loro valore a seconda della rapidità con cui pongono fine agli errori politici seriali, che si rafforzano a vicenda, dei loro funzionari. Giudicata secondo questo standard, l’Eurozona, comprendente 19 democrazie consolidate, non riesce a stare al passo con la più grande economia non democratica del mondo. Dopo l’inizio della recessione che seguì la crisi finanziaria globale del 2008, i responsabili politici della Cina hanno speso sette anni per sostenere la domanda calante delle esportazioni nette del proprio paese mediante una bolla di investimenti interni, gonfiata dall’aggressiva vendita di terreni dei governi locali. E, quando quest’estate si è arrivati alla resa dei conti, i leader cinesi hanno speso 200 milioni di dollari di riserve in valuta estera permettere al Vecchio re [in riferimento a Macbeth] di contenere il declino dei titoli di Borsa.
Rispetto all’Unione Europea, comunque, gli sforzi fatti dal governo cinese per correggere i suoi errori – permettendo eventualmente ai tassi di interesse e ai valori borsistici di oscillare – sembra un esempio di rapidità ed efficienza. In effetti, il fallimentare “programma di risanamento del bilancio e di riforma” greco, e il modo in cui i leader dell’Unione Europea si sono avvinghiati ad esso, nonostante gli ultimi cinque anni dimostrino che il programma non può avere successo, è sintomatico del fallimento più ampio di una governance europea, con profonde radici storiche. All’inizio degli anni ‘90, la traumatica rottura del meccanismo europeo di cambio ha solo rafforzato la determinazione dei leader dell’Unione Europea di mantenerlo in piedi. Quanto più il regime si è rivelato insostenibile, più i funzionari gli si sono tenacemente aggrappati e più ottimiste si sono fatte le loro narrazioni. Il “programma” greco è solo un’altra incarnazione della rosea inerzia politica dell’Europa.
Gli ultimi cinque anni di politica economica nell’Eurozona si sono rivelati in una notevole commedia degli errori. L’elenco degli errori nelle politiche è quasi infinito: l’aumento del tasso di interesse da parte della Banca centrale europea nel luglio del 2008 e di nuovo ad aprile del 2011; l’istituzione della più dura austerità per le economie cadute nella peggiore recessione; trattati perentori che chiedono svalutazioni competitive interne per peggiorare le condizioni degli Stati vicini; e un sistema bancario che manca di un adeguato modello di deposito di assicurazione. Come possono i politici europei farla franca? Dopo tutto, la loro impunità politica risulta in netto contrasto non solo con gli Stati Uniti, dove i funzionari devono almeno rispondere al Congresso, ma anche con la Cina, dove è comprensibile pensare che i ministri sono meno controllabili rispetto alle controparti europee. La risposta giace nella natura frammentata e volutamente informale dell’unione monetaria europea.
I funzionari cinesi possono non essere tenuti a rispondere ad un Parlamento democraticamente eletto o ad un Congresso, ma i funzionari del governo hanno un corpo unitario – i sette membri del comitato permanente del Politburo – a cui devono tenere conto dei loro errori. L’Eurozona, invece, è governata dall’ufficialmente non ufficiale Eurogruppo, che comprende i ministri delle finanze degli Stati membri, insieme ai rappresentanti della Bce, e quando discutono “programmi economici nei quali è coinvolto”, anche il Fondo Monetario Internazionale. Solo recententemente, come risultato degli intensi negoziati del governo greco con i creditori, i cittadini europei hanno realizzato che l’economia più ampia del mondo, l’Eurozona, è guidata da una struttura priva di norme procedurale scritte, che tratta questioni cruciali in maniera “confidenziale” (e senza che vengano redatti verbali) e non è obbligata a rispondere a nessun organo eletto, neppure al Parlamento Europeo.
Sarebbe un errore considerare la frattura tra il governo greco e l’Eurogruppo come uno scontro tra la sinistra greca e il tradizionale conservatorismo europeo. La nostra “Primavera di Atene” è stata qualcosa di più profondo: il diritto di un piccolo Stato europeo di sfidare una politica fallimentare che stava devastando le prospettive di una generazione (o due), non solo in Grecia, ma in tutta Europa. La Primavera di Atene è stata schiacciata per motivi che non avevano nulla a che fare con le politiche di sinistra del governo greco. L’Unione Europea ha ripetutamente rifiutato e denigrato politiche basate sul buon senso. Un esempio è dato dalle posizioni contrapposte sulla politica fiscale. Come ministro delle finanze greco, proposi una riduzione dell’aliquota di imposta sulle vendite, sulle imposte sul reddito e sulle società, con lo scopo di ampliare la base imponibile e dare una spinta alla danneggiata economia greca. Nessun ammiratore di Ronald Regan si sarebbe opposto al mio piano. L’Unione Europea, al contrario, chiese – ed impose – un incremento su tutte e tre le aliquote fiscali.
Così, se la bagarre con i creditori europei non è stata una contrapposizione destra-sinistra, di cosa si trattava? L’economista americana Clarence Ayres una volta scrisse, come a descrivere i funzionari europei: «Si adoperano sulle politiche modo cerimoniale, come se quella fosse la realtà, ma lo fanno solo per convalidare uno status, non per raggiungere un’efficienza tecnologica». E così la fanno franca, perchè chi prende le decisioni nell’eurozona non è obbligato a rispondere ad alcun organo sovrano. Spetta a quelli che tra noi desiderano migliorare l’efficienza dell’Europa, e diminuire le sue evidenti ingiustizie, di lavorare per ri-politicizzare l’eurozona come un primo passo verso la democratizzazione. Dopo tutto, l’Europa non merita un governo responsabile delle proprie azioni più di quanto lo sia quello della Cina comunista?
(Yanis Varoufakis, “L’Eurogruppo è l’antitesi della democrazia”, da “Project-Sindycate” il 2 settembre 2015, ripreso dal blog di Stefano Santarelli).
Così come Macbeth, i politici tendono a commettere nuovi peccati per coprire i propri vecchi misfatti. E i sistemi politici dimostrano il loro valore a seconda della rapidità con cui pongono fine agli errori politici seriali, che si rafforzano a vicenda, dei loro funzionari. Giudicata secondo questo standard, l’Eurozona, comprendente 19 democrazie consolidate, non riesce a stare al passo con la più grande economia non democratica del mondo. Dopo l’inizio della recessione che seguì la crisi finanziaria globale del 2008, i responsabili politici della Cina hanno speso sette anni per sostenere la domanda calante delle esportazioni nette del proprio paese mediante una bolla di investimenti interni, gonfiata dall’aggressiva vendita di terreni dei governi locali. E, quando quest’estate si è arrivati alla resa dei conti, i leader cinesi hanno speso 200 milioni di dollari di riserve in valuta estera permettere al Vecchio re [in riferimento a Macbeth] di contenere il declino dei titoli di Borsa.
 

tontolina

Forumer storico
Intervista a Yanis Varoufakis
Salviamo il capitalismo o la democrazia muore
Il vecchio sistema si sta sgretolando e la sua crisi rafforza la destra e gli xenofobi
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18 MARZO 2016 – La sfida principale che l’Europa si trova a dover affrontare in questo momento storico consiste nel «fermare la prossima ondata di fascismo». Ne è sicuro l’ex ministro greco delle Finanze, Yanis Varoufakis, che il 23 marzo sarà a Roma per la prima assemblea di DiEM25, un movimento transnazionale il cui intento è di «trasformare l’Europa in un continente pienamente democratico entro i prossimi dieci anni». Siamo nella tempesta perfetta: «le banche centrali hanno fallito il loro scopo e il deficit Usa è salito a livelli pre-2008». Il leader della primavera ateniese propone la sua ricetta per superare il guado, cita Antonio Gramsci e fa propria l’esigenza di stabilire una nuova egemonia culturale: «invece di parlare di giustizia e uguaglianza, dovremmo parlare di libertà».

Si definisce un marxista erratico e dice di voler salvare il capitalismo da se stesso. Qual è lo stato dell’arte del capitalismo europeo dopo l’estate greca? E quali sono i propositi del suo partito pan-europeo? Caro, vecchio, riformismo o qualcosa di diverso?

Come ha detto una volta Gramsci, nella nostra attuale situazione il vecchio è morto ma il nuovo stenta a nascere. Perché la sinistra dovrebbe avere cura di salvare il capitalismo da se stesso? Perché la sua profonda crisi, la sua esperienza di pre morte, servirà solo a rafforzare l’ala dell’estrema destra, gli xenofobi, coloro che disprezzando la democrazia, il lavoro organizzato, i diritti umani e così via. Il capitalismo europeo è in una fase avanzata di disintegrazione e la frantumazione della Primavera Ateniese, la scorsa estate, illustra e rafforza questo dato. DiEM25, il nostro movimento Pan-Europeo (non è un partito!) si occupa delle quattro crisi parallele del capitalismo europeo: il debito (pubblico e privato), l’investimento ultra basso, banche e povertà. Senza una stabilizzazione, gli unici a beneficiarne saranno Le Pen, Alba Dorata, AfD in Germania etc. E questa stabilizzazione potrà avvenire solo in combinazione con la democratizzazione delle istituzioni europee. Questi sono i presupposti per un futuro in cui sia possibile, ancora una volta, avere un dibattito significativo su come riformare i rapporti sociali capitalistici.

Considera la morte del Minotauro globale come una conseguenza della crisi dei mutui subprime del 2008 e dice che vivremo in una sorta di aporia fino a quando una nuova era non avrà mostrato il proprio volto. La nostra impressione è che disistimi l’abilità di questo organismo diabolico di creare anticorpi e ri-territorializzarsi attraverso l’ecosistema creato dalle Banche Centrali. Riesce a intravedere la nascita di una nuova era o siamo ancora immersi nell’aporia?

Questa non è la mia interpretazione dei fatti. Le Banche Centrali semplicemente stabilizzano la finanza. Tuttavia, esse hanno miseramente fallito lo scopo di ripristinare la capacità di Wall Street, della City o di Francoforte di riciclare le eccedenze a livello globale e nella scala necessaria per rivitalizzare il Minotauro. Mentre il deficit delle partite correnti degli Stati Uniti è salito di nuovo a livelli comparabili a quelli del periodo pre-2008 e mentre la finanza sta rastrellando i suoi profitti di carta (per gentile concessione del Quantitaive Easing) non sono riusciti a compensare la domanda aggregata globale. E, come i mercati emergenti, in cui la baldoria degli investimenti finanziati dal QE si sta sgonfiando, vengono catturati in una tempesta perfetta fatta di una diminuzione del prezzo delle materie prime e di un aumento del dollaro, il capitalismo USA e dell’Unione Europea sta affrontando nuove turbolenze in un’epoca in cui non è riuscito a gestire e affrontare l’eredità della crisi del 2008. Il Minotauro, in altre parole, rimane ferito a morte anche se l’aporia causata dal suo ferimento è stata rimpiazzata da un falso senso di guarigione.

Lei sostiene che risparmi e debiti si muovano in parallelo. Abbiamo sperimentato una sorte di “debitocrazia” in tempi recenti. Stiamo entrando in una sorta di “risparmiocrazia”, ora?

No. E’ un errore pensare che ci stiamo muovendo da un periodo dominato dal debito verso uno in cui a farla da padrone sono i risparmi. Debito e risparmio aumentano di pari passo. E’ ciò a cui mi piace riferirmi come al problema Twin Peaks. In circostanze “normali”, o di equilibrio, un aumento del risparmio dà luogo a nuovo debito che si trasforma in investimenti in attività produttive, le quali generano un reddito sufficiente per pagare il debito e creare nuovi risparmi. Purtroppo, dopo il 2008, il risparmio è inutilizzato, perché siamo troppo spaventati dal trasformarlo in investimento. In questo modo, risparmi e debiti sono aumentati simultaneamente, diventando le Twin Peaks che simboleggiano l’ultima crisi del capitalismo.

L’eccesso di capitale delle più grandi piattaforme tecnologiche spinge la deflazione, fondi sovrani e fondi speculativi possono salvare o annientare intere nazioni. La gestione del risparmio e dei capitali si sta trasformando essa stessa in un vero e proprio mezzo di produzione?

No, purtroppo non può. Il problema non riguarda la gestione dei risparmi. Nemmeno il fatto di fornire liquidità agli istituti di credito. La BCE ha fatto del suo meglio per motivare le banche a concedere prestiti. Infatti in questo momento sta pagando i banchieri perché prestino denaro alle imprese. Ma il problema è che le imprese non vogliono prendere a prestito per investire perché prevedono una bassa domanda aggregata per i loro beni e servizi. La paura di un basso investimento deprime la domanda, fatto che poi conferma il timore originale. Questa è una tragedia simile a quella di Edipo cui nessun sistema di gestione del risparmio privato può porre rimedio. Ciò di cui abbiamo bisogno, in questo frangente, è un approccio simile al New Deal, dove il settore pubblico delle istituzioni si impegna a convertire il risparmio in un flusso di investimenti capace di affollare i restanti risparmi privati.

Yanis Varoufakis è un economista e politico greco, naturalizzato australiano. Professore di teoria economica all’Università di Atene è stato Ministro delle Finanze nel Primo Governo Tsipras. Nel 2012 ha pubblicato un saggio dal titolo «Il Minotauro Globale. L’America, le vere origini della crisi e il futuro dell’economia globale», edito in Italia da Asterios.
 

tontolina

Forumer storico
Alle radici della crisi
La versione di Varoufakis
Un estratto de "I deboli sono destinati a soffrire?" (La Nave di Teseo), l'ultimo libro di Yanis Varoufakis, ex ministro delle Finanze greco. La cronaca di un fallimento, la crisi europea vista rispetto ai tentativi degli Stati Uniti di controllare il capitalismo globale.
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Un saggio che smonta gli stereotipi, percorre a ritroso la storia d’Europa e va alle radici del collasso economico. L’intenzione è quella di «spiegare la crisi europea nel contesto dei tentativi dell’America di controllare il capitalismo globale» — scrive Varoufakis — perché «la crisi è troppo importante per gli Stati Uniti per lasciarne la regia all’Europa, e men che meno per ignorarla».

Eccone un estratto, in anteprima su “I Diavoli”:

Quando mi restituisci i soldi?
Venne il crollo di Wall Street del 2008 e la catastrofe finanziaria globale che ne seguì. Nulla sarebbe stato più come prima.

Quando il sistema finanziario dell’Occidente diventò più grande del pianeta Terra, il collasso delle sue banche e la stretta sul credito misero in ginocchio i paesi dell’Europa, in particolare le economie basate sull’euro. La Northern Rock Bank inglese fu la prima banca europea a crollare, la Grecia fu invece la prima nazione. Tutta l’Europa fu stretta in un abbraccio mortale fra banche insolventi e governi alla bancarotta. C’era però una grossa differenza fra l’Inghilterra e paesi come la Grecia: mentre Gordon Brown (primo ministro del governo inglese dal giugno 2007 al 2010) poteva contare sulla Banca di Inghilterra per pompare nell’economia inglese la liquidità necessaria a salvare la City, i governi dell’eurozona avevano una Banca centrale che per regolamento non poteva fare altrettanto. L’onere di salvare i banchieri incapaci ricadde così sulle spalle dei cittadini più deboli.

Alla fine del 2009 la bancarotta della Grecia e il collasso della Lehman Brothers misero a rischio le banche tedesche e francesi. Nello stesso tempo l’insolvibilità delle banche irlandesi mise in ginocchio il governo dell’Irlanda appesantendo ulteriormente la situazione delle banche francesi e tedesche. Politici in preda al panico intervennero frettolosamente con salvataggi giganteschi, finanziati da tasse imposte ai contribuenti più poveri, mentre Google, Facebook e gli oligarchi greci godevano di immunità fiscale. Incredibilmente i finanziamenti di salvataggio venivano concessi insieme e condizionati da misure di austerità economica che aggredivano ulteriormente i redditi degli stremati contribuenti sui quali si reggeva tutto l’edificio macroeconomico. Nulla si diffonde rapidamente come il panico, specialmente quando è giustificato: il Portogallo, la Spagna, l’Italia e Cipro sarebbero stati i successivi pezzi del domino a cadere. In difetto di una risposta credibile alla inevitabile crisi dell’euro i governi europei, in preda all’atteggiamento evasivo che aveva caratterizzato l’Europa negli anni Trenta, cominciarono a rivoltarsi gli uni contro gli altri accusando tutti di tutto.

Con il 2010 la solidarietà europea era stata distrutta dall’interno, lasciando solo lo scheletro di quella che una volta era stata una solida amicizia.

Qual è stata la causa della crisi dell’euro? I giornali e i politici prediligono spiegazioni semplici e dal 2010 in poi l’interpretazione che circolava in Germania e nei paesi protestanti del Nord era più o meno la seguente.

Le cicale greche non hanno fatto i compiti e la ricca estate basata sui debiti un bel giorno è finita. Si chiamarono allora le formichine calviniste per salvarle, insieme ad altre cicale sparse per l’Europa. Poi, così si raccontava, le cicale greche non vollero pagare il loro debito; volevano un altro giro di vita facile per divertirsi al sole e un altro salvataggio per finanziarlo. Avevano anche eletto una banda di socialisti e radicali sinistrorsi che andassero a mordere la mano di quelli che gli avevano dato da mangiare. Era quindi necessario dare una lezione a queste cicale per evitare che altri europei, meno solidi delle formichine, venissero tentati dai piaceri della vita facile.

Una storia convincente, una storia che giustifica l’atteggiamento duro che molti invocano contro la Grecia e contro il governo del quale facevo parte.

“Quando mi restituisci i miei soldi?” mi chiese con tono giocoso, nelle more di quel primo incontro con il ministro Schäuble, un sottosegretario del governo tedesco, un tono che peraltro non nascondeva una vena di condiscendenza spregiativa. Mi morsi la lingua e sorrisi educatamente.
 

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