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attualita' gennaio 9, 2016 posted by Ulrich Anders
Clamorosa intercettazione: la guerra di Sarkozy a Gheddafi e all’Italia


Sono oramai note – ai più avveduti – le vere ragioni dell’attacco a Gheddafi del 2011 da parte di Sarkozy e Blair e della NATO, al fianco di una titubante ma obbediente Italia, attacco militare che portò alla morte del dittatore libico e all’attuale caos di tipo ‘irakeno’ alle porte di casa nostra. Ragioni che non vengono certo spiegate sui TG e sulla stampa mainstream, in questo vergognoso regime europeo che sacrifica le nostre libertà e i nostri interessi nazionali in nome dell’ideologia e degli interessi di un’élite transnazionale.
Elite che non esitano a scatenare guerre con centinaia di migliaia di morti, a fabbricare prove e creare pretesti per abbattere governi stranieri, a bombardare per lustri popolazioni civili in plaghe remote, a creare imperi del male per procura come Daesh e poi ritirarsi magari a vita privata senza rendere conto a nessun tribunale. Nuove potenze coloniali, ancora peggiori se possibile di quelle ottocentesche.
Le vere ragioni dell’ennesimo disastro geopolitico in terre di petrolio – in sintesi, un attacco all’Italia e ai nostri interessi per mano degli ‘alleati’ francesi e inglesi – sono però note oggi in maniera completa attraverso alcune delle 3.000 email di Hillary Clinton pubblicate dal Dipartimento di Stato il 31 dicembre scorso su ordine di un tribunale.
Email che delineano con chiarezza il quadro geopolitico ed economico che portò la Francia e il Regno Unito alla decisione di rovesciare un regime stabile e tutto sommato amico dell’Italia: due terzi delle concessioni petrolifere nel 2011 erano dell’ENI, che aveva investito somme considerevoli in infrastrutture e impianti di estrazione trattamento e stoccaggio. Ricordiamo che la Libia è il maggior paese produttore africano, e che l’Italia era la principale destinazione del gas e del petrolio libici.
Non troverete traccia di queste mail, come detto, nella stampa di regime eurocolonizzatrice né in quella eurosottomessa di casa nostra. E nemmeno delle telefonate di Blair, nelle quali Gheddafi aveva messo in guardia del rischio di un nuovo Iraq alle porte dell’Europa in caso di sua caduta. Profezia puntualmente avverata.
Scenari Economici ve ne dà notizia in anteprima italiana.
La email UNCLASSIFIED U.S. Department of State Case No. F-2014-20439 Doc No. C05779612 Date: 12/31/2015 inviata il 2 aprile 2011 dal funzionario Sidney Blumenthal (stretto collaboratore prima di Bill e poi di Hillary) alla allora segretaria di stato USA Hillary Clinton, dall’eloquente titolo “France’s client & Qaddafi’s gold”, racconta i retroscena dell’intervento franco-inglese.
Li sintetizziamo qui.
La Francia ha chiari interessi economici per l’attacco alla Libia.
Il governo francese ha organizzato le fazioni anti-Gheddafi alimentando inizialmente i capi golpisti con armi, denaro, addestratori delle milizie (anche quelle sospette di legami con Al-Qaeda), intelligence e forze speciali al suolo.
Le motivazioni dell’azione di Sarkozy sono soprattutto economiche e geopolitiche, e il funzionario USA le riassume in 5 punti:
1. Il desiderio di Sarkozy di ottenere una quota maggiore della produzione di petrolio della Libia (a danno dell’Italia, NdR),
2. Aumentare l’influenza della Francia in Nord Africa
3. Migliorare la posizione politica interna di Sarkozy
4. Dare ai militari un’opportunità per riasserire la posizione di potenza mondiale della Francia
5. Rispondere alla preoccupazione dei suoi consiglieri circa i piani di Gheddafi per soppiantare la Francia come potenza dominante nell’Africa Francofona.
Ma la stessa mail illustra un altro pezzo dello scenario dietro all’attacco franco-inglese, se possibile ancora più stupefacente, anche se alcune notizie in merito circolarono già all’epoca.
La motivazione principale dell’attacco militare francese fu il progetto di Gheddafi di soppiantare il Franco francese africano (CFA) con una nuova valuta pan-africana.
In sintesi Blumenthal dice:
Le grosse riserve d’oro e argento di Gheddafi, stimate in “143 tonnellate d’oro e una quantità simile di argento”, pongono una seria minaccia al Franco francese CFA, la principale valuta africana.
L’oro accumulato dalla Libia doveva essere usato per stabilire una valuta pan-africana basata sul dinaro d’oro libico
Questo piano doveva dare ai paesi dell’Africa Francofona un’alternativa al franco francese CFA
La preoccupazione principale da parte francese è che la Libia porti il Nord Africa all’indipendenza economica con la nuova valuta pan-africana.
L’intelligence francese scoprì un piano libico per competere col franco CFA subito dopo l’inizio della ribellione, spingendo Sarkozy a entrare in guerra direttamente e bloccare Gheddafi con l’azione militare.



La nobile dottrina del “Responsibility to Protect” (R2P) diffusa a beneficio del pubblico europeo fu quindi – secondo Blumenthal – solo uno schermo per coprire la vera motivazione dell’attacco a Gheddafi: l’oro delle sue riserve e gli interessi economici francesi in Africa. Si noti infatti che la “protezione di vite civili” è totalmente assente dai rapporti diplomatici. Altra mail rilevante qui soprattutto sugli aspetti militari.
Sarebbe interessante capire dove sono le riserve auree di Gheddafi, insieme a valuta e diamanti.
Per finire con un dettaglio minimo ma significativo notiamo l’accenno di Sid Blumenthal a “l’occasionale emissario di Sarkozy, intellettuale e auto-promotore Bernard Henri-Levy, considerato dagli esponenti della NLC (National Libyan Council, fazione libica anti-Gheddafi finanziata e addestrata dalla Francia, NdR) un personaggio a metà utile e a metà ridicolo”. La triste vicenda del fondatore della Nouvelle Philosophie, auto-proclamato difensore dei diritti umani, come parabola dell’estinzione dell’intellighenzia progressista europea sostituita dagli ideologi del mercato e dell’iperfinanza e degli interessi delle élite.
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attualita' gennaio 9, 2016 posted by Ulrich Anders
Clamorosa intercettazione: la guerra di Sarkozy a Gheddafi e all’Italia


Sono oramai note – ai più avveduti – le vere ragioni dell’attacco a Gheddafi del 2011 da parte di Sarkozy e Blair e della NATO, al fianco di una titubante ma obbediente Italia, attacco militare che portò alla morte del dittatore libico e all’attuale caos di tipo ‘irakeno’ alle porte di casa nostra. Ragioni che non vengono certo spiegate sui TG e sulla stampa mainstream, in questo vergognoso regime europeo che sacrifica le nostre libertà e i nostri interessi nazionali in nome dell’ideologia e degli interessi di un’élite transnazionale.
Elite che non esitano a scatenare guerre con centinaia di migliaia di morti, a fabbricare prove e creare pretesti per abbattere governi stranieri, a bombardare per lustri popolazioni civili in plaghe remote, a creare imperi del male per procura come Daesh e poi ritirarsi magari a vita privata senza rendere conto a nessun tribunale. Nuove potenze coloniali, ancora peggiori se possibile di quelle ottocentesche.
Le vere ragioni dell’ennesimo disastro geopolitico in terre di petrolio – in sintesi, un attacco all’Italia e ai nostri interessi per mano degli ‘alleati’ francesi e inglesi – sono però note oggi in maniera completa attraverso alcune delle 3.000 email di Hillary Clinton pubblicate dal Dipartimento di Stato il 31 dicembre scorso su ordine di un tribunale.
Email che delineano con chiarezza il quadro geopolitico ed economico che portò la Francia e il Regno Unito alla decisione di rovesciare un regime stabile e tutto sommato amico dell’Italia: due terzi delle concessioni petrolifere nel 2011 erano dell’ENI, che aveva investito somme considerevoli in infrastrutture e impianti di estrazione trattamento e stoccaggio. Ricordiamo che la Libia è il maggior paese produttore africano, e che l’Italia era la principale destinazione del gas e del petrolio libici.
Non troverete traccia di queste mail, come detto, nella stampa di regime eurocolonizzatrice né in quella eurosottomessa di casa nostra. E nemmeno delle telefonate di Blair, nelle quali Gheddafi aveva messo in guardia del rischio di un nuovo Iraq alle porte dell’Europa in caso di sua caduta. Profezia puntualmente avverata.
Scenari Economici ve ne dà notizia in anteprima italiana.
La email UNCLASSIFIED U.S. Department of State Case No. F-2014-20439 Doc No. C05779612 Date: 12/31/2015 inviata il 2 aprile 2011 dal funzionario Sidney Blumenthal (stretto collaboratore prima di Bill e poi di Hillary) alla allora segretaria di stato USA Hillary Clinton, dall’eloquente titolo “France’s client & Qaddafi’s gold”, racconta i retroscena dell’intervento franco-inglese.
Li sintetizziamo qui.
La Francia ha chiari interessi economici per l’attacco alla Libia.
Il governo francese ha organizzato le fazioni anti-Gheddafi alimentando inizialmente i capi golpisti con armi, denaro, addestratori delle milizie (anche quelle sospette di legami con Al-Qaeda), intelligence e forze speciali al suolo.
Le motivazioni dell’azione di Sarkozy sono soprattutto economiche e geopolitiche, e il funzionario USA le riassume in 5 punti:
1. Il desiderio di Sarkozy di ottenere una quota maggiore della produzione di petrolio della Libia (a danno dell’Italia, NdR),
2. Aumentare l’influenza della Francia in Nord Africa
3. Migliorare la posizione politica interna di Sarkozy
4. Dare ai militari un’opportunità per riasserire la posizione di potenza mondiale della Francia
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Ma la stessa mail illustra un altro pezzo dello scenario dietro all’attacco franco-inglese, se possibile ancora più stupefacente, anche se alcune notizie in merito circolarono già all’epoca.
La motivazione principale dell’attacco militare francese fu il progetto di Gheddafi di soppiantare il Franco francese africano (CFA) con una nuova valuta pan-africana.
In sintesi Blumenthal dice:
Le grosse riserve d’oro e argento di Gheddafi, stimate in “143 tonnellate d’oro e una quantità simile di argento”, pongono una seria minaccia al Franco francese CFA, la principale valuta africana.
L’oro accumulato dalla Libia doveva essere usato per stabilire una valuta pan-africana basata sul dinaro d’oro libico
Questo piano doveva dare ai paesi dell’Africa Francofona un’alternativa al franco francese CFA
La preoccupazione principale da parte francese è che la Libia porti il Nord Africa all’indipendenza economica con la nuova valuta pan-africana.
L’intelligence francese scoprì un piano libico per competere col franco CFA subito dopo l’inizio della ribellione, spingendo Sarkozy a entrare in guerra direttamente e bloccare Gheddafi con l’azione militare.



La nobile dottrina del “Responsibility to Protect” (R2P) diffusa a beneficio del pubblico europeo fu quindi – secondo Blumenthal – solo uno schermo per coprire la vera motivazione dell’attacco a Gheddafi: l’oro delle sue riserve e gli interessi economici francesi in Africa. Si noti infatti che la “protezione di vite civili” è totalmente assente dai rapporti diplomatici. Altra mail rilevante qui soprattutto sugli aspetti militari.
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SPAGHETTI TEA-PARTY: AUTO-SOTTOMISSIONE TECNO-POP E LA RANA BOLLITA



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1. Nell'ultimo post avevamo appena finito di mostrare la fallacia e la miopia che sono alla base della fondamentale collaborazione che larghi strati della popolazione in posizione dominante forniscono alle potenze colonizzatrici, che subito ci arriva la conferma spaghetti tea-party:


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Insomma apprendiamo, ma ormai senza stupore, che tagliare...il PIL (cioè la spesa pubblica) consentirebbe di abbassare il gettito tributario (che si abbasserebbe certamente in questo caso, ma perchè diminuiscono redditi e basi imponibili, aumentandosi così i buchi nel bilancio dello Stato, e quindi il deficit: cioè si verifica esattamente quello che l'€uropa proibisce e sanziona imponendo di riaumentare le tasse).
Non sarà che è il contrario, e che tutto il busillis della mancata crescita e dell'aumento connesso (sì, lo è: e pure molto) del rapporto debito/PIL, deriva proprio dalla limitazione del deficit (tendente al pareggio di bilancio), che è poi come dire dall'euro?


2. Il fondamento della collaborazione di cui sopra era stato sintetizzato così (p.2):
"...va chiarito, anche all'interno di quest'ultima (cioè dell'area politico-geografica dominata), o meglio del gruppo etnico-linguistico "dominato", esiste una riproduzione del conflitto sociale, sebbene, appunto e proprioa seguito dell'assetto (neo)coloniale, trasposta all'interno di una gerarchia (sostanzialmente simile a quella feudale).
L'elite del paese dominante, infatti, si serve efficacemente di una elite designata, ma pur sempre subordinata, del paese dominato, per imporre la effettività del sistema.

La elite dei "colonizzati" collabora per un proprio vantaggio e ottiene, almeno nelle intenzioni, di risolvere il proprio problema di controllo sociale, all'interno del conflitto sociale che avrebbe comunque dovuto fronteggiare, pur rinunciando alla piena potenzialità dei propri profitti economici."

3. Intendiamoci.
Il fenomeno spaghetti tea-party è una specificazione contemporanea del fenomeno di auto-sottomissione al paradigma colonizzatore, che è sì globalizzato, ma anche incarnato da paesi-chiave che agiscono da concreti mandatari del nuovo ordine internazionale dei mercati.
In pratica, comunque, in questa fase storica, le due cose (spaghetti tea-party e collaborazionismo pro-colonizzatori) coincidono.

3. In fondo, l'intero processo di auto-sottomissione funziona come un sillogismo.
La premessa "maggiore" è sempre la medesima: sia per i nuovi dominatori (razza "superiore" e che, preferibilmente, nelle giaculatorie, a vantaggio dei dominatori, di chi "collabora", non devono neppure essere nominati), sia per gli "autoctoni" che collaborano (questi ultimi ne però sono per lo più ignari...per mancanza di "studi"):
«Il controllo economico non è il semplice controllo di un settore della vita umana che possa essere separato dal resto; è il controllo dei mezzi per tutti i nostri fini. E chiunque abbia il controllo dei mezzi deve anche determinare quali fini debbano essere alimentati, quali valori vadano stimati […] in breve, ciò che gli uomini debbano credere e ciò per cui debbano affannarsi».
(F. von Hayek da "Verso la schiavitù", 1944).

Passaggio sempre tratto da GLI OSCURI FRAMMENTI DI UN DISCORSO SCONOSCIUTO (che ha effetti molto conosciuti e "programmati").



4. La premessa minore è uno schema "economicistico", che si basa su verità assunte come inoppugnabili e che vengono implicitamente diffuse dagli spinners mediatici. Questi ultimi lo schema non sono tenuti a conoscerlo in senso "scientifico": essi lo "padroneggiano" in base alla vulgata tecno-pop (prevalentemente pop):

"...gli "Spaghetti tea-party" possiedono almeno queste caratteristiche, con l'avvertenza che ciò che diremo è l'espansione in corollari di teorie economiche che buona parte degli esponenti di tale componente politica non conoscono e padroneggiano, se non per slogan-pop:
a) appartengono alla categoria più ampia degli ordoliberisti, quindi tendono ad occupare le istituzioni, utilizzando il sostegno decisivo di una parte consistente della complessiva propaganda mediatica, vedendo le Costituzioni sociali democratiche "sovrane" (in senso contemporaneo) come un ostacolo ai loro obiettivi;
b) credono nella neutralità del deficit pubblico in base alla fede incrollabile nel crowding-out, nella proiezione della equivalenza ricardiana per cui, non potendo lo Stato utilmente influire sulla efficiente allocazione delle risorse del sistema economico, il debito pubblico "equivale" alla capitalizzazione delle future tasse aggiuntive necessarie per ripagarlo;
c) come conseguenza di tale assunto, ignorano due fenomeni di correlazione tra i fattori che danno luogo alla formazione ed alla crescita del PIL:
c1) il moltiplicatore fiscale della spesa pubblica (tanto più alto quanto più la crescita sia stagnante o negativa, cioè in recessione, specie in un'economia aperta);
c2) i c.d. saldi settoriali della contabilità nazionale, per cui, assumendo la neutralità ("spiazzante") del deficit pubblico, vedono come praticabile e auspicabile il pareggio di bilancio, situazione in cui il risparmio privato diviene tendenzialmente pari al saldo (positivo o negativo) delle partite correnti della bilancia dei pagamenti;
d) credono nel concetto neo-classico di piena occupazione, fondato sull'idea dell'inesistenza di disoccupazione involontaria, se non per patologica rigidità del prezzo-salario, e identificato come qualunque livello di occupazione compatibile col livello di inflazione auspicato. "


5. Il risultato delle due premesse è quello di costruire una "gabbia" in cui viene imprigionata ogni possibilità di comprensione del "pubblico" (dei colonizzati).
Inducendo l'inevitabile effetto "rana bollita".
E anche inducendo (sempre nei colonizzati), la impossibilità di trarre conclusioni razionali, nel proprio stesso interesse, quando anche avessero di fronte la rivelazione più clamorosa dei fatti e dei dati che smentiscono la vulgata tecno-pop di coloro che "collaborano":
LA SPESA PUBBLICA, IL WELFARE ITALIANO E IL TRIANGOLO DELLE BERMUDA MEDIATICO: DATI SCOMPARSI DAI "RADAR"

GLI INDICATORI MACROECONOMICI ITALIANI "UFFICIALI": "UN'ALTRA STORIA"




Pubblicato da Quarantotto a 11
 

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Sono oramai note – ai più avveduti – le vere ragioni dell’attacco a Gheddafi del 2011 da parte di Sarkozy e Blair e della NATO, al fianco di una titubante ma obbediente Italia, attacco militare che portò alla morte del dittatore libico e all’attuale caos di tipo ‘irakeno’ alle porte di casa nostra. Ragioni che non vengono certo spiegate sui TG e sulla stampa mainstream, in questo vergognoso regime europeo che sacrifica le nostre libertà e i nostri interessi nazionali in nome dell’ideologia e degli interessi di un’élite transnazionale.
Elite che non esitano a scatenare guerre con centinaia di migliaia di morti, a fabbricare prove e creare pretesti per abbattere governi stranieri, a bombardare per lustri popolazioni civili in plaghe remote, a creare imperi del male per procura come Daesh e poi ritirarsi magari a vita privata senza rendere conto a nessun tribunale. Nuove potenze coloniali, ancora peggiori se possibile di quelle ottocentesche.
Le vere ragioni dell’ennesimo disastro geopolitico in terre di petrolio – in sintesi, un attacco all’Italia e ai nostri interessi per mano degli ‘alleati’ francesi e inglesi – sono però note oggi in maniera completa attraverso alcune delle 3.000 email di Hillary Clinton pubblicate dal Dipartimento di Stato il 31 dicembre scorso su ordine di un tribunale.
Email che delineano con chiarezza il quadro geopolitico ed economico che portò la Francia e il Regno Unito alla decisione di rovesciare un regime stabile e tutto sommato amico dell’Italia: due terzi delle concessioni petrolifere nel 2011 erano dell’ENI, che aveva investito somme considerevoli in infrastrutture e impianti di estrazione trattamento e stoccaggio. Ricordiamo che la Libia è il maggior paese produttore africano, e che l’Italia era la principale destinazione del gas e del petrolio libici.
Non troverete traccia di queste mail, come detto, nella stampa di regime eurocolonizzatrice né in quella eurosottomessa di casa nostra. E nemmeno delle telefonate di Blair, nelle quali Gheddafi aveva messo in guardia del rischio di un nuovo Iraq alle porte dell’Europa in caso di sua caduta. Profezia puntualmente avverata.
Scenari Economici ve ne dà notizia in anteprima italiana.
La email UNCLASSIFIED U.S. Department of State Case No. F-2014-20439 Doc No. C05779612 Date: 12/31/2015 inviata il 2 aprile 2011 dal funzionario Sidney Blumenthal (stretto collaboratore prima di Bill e poi di Hillary) alla allora segretaria di stato USA Hillary Clinton, dall’eloquente titolo “France’s client & Qaddafi’s gold”, racconta i retroscena dell’intervento franco-inglese.
Li sintetizziamo qui.
La Francia ha chiari interessi economici per l’attacco alla Libia.
Il governo francese ha organizzato le fazioni anti-Gheddafi alimentando inizialmente i capi golpisti con armi, denaro, addestratori delle milizie (anche quelle sospette di legami con Al-Qaeda), intelligence e forze speciali al suolo.
Le motivazioni dell’azione di Sarkozy sono soprattutto economiche e geopolitiche, e il funzionario USA le riassume in 5 punti:
1. Il desiderio di Sarkozy di ottenere una quota maggiore della produzione di petrolio della Libia (a danno dell’Italia, NdR),
2. Aumentare l’influenza della Francia in Nord Africa
3. Migliorare la posizione politica interna di Sarkozy
4. Dare ai militari un’opportunità per riasserire la posizione di potenza mondiale della Francia
5. Rispondere alla preoccupazione dei suoi consiglieri circa i piani di Gheddafi per soppiantare la Francia come potenza dominante nell’Africa Francofona.
Ma la stessa mail illustra un altro pezzo dello scenario dietro all’attacco franco-inglese, se possibile ancora più stupefacente, anche se alcune notizie in merito circolarono già all’epoca.
La motivazione principale dell’attacco militare francese fu il progetto di Gheddafi di soppiantare il Franco francese africano (CFA) con una nuova valuta pan-africana.
In sintesi Blumenthal dice:
Le grosse riserve d’oro e argento di Gheddafi, stimate in “143 tonnellate d’oro e una quantità simile di argento”, pongono una seria minaccia al Franco francese CFA, la principale valuta africana.
L’oro accumulato dalla Libia doveva essere usato per stabilire una valuta pan-africana basata sul dinaro d’oro libico
Questo piano doveva dare ai paesi dell’Africa Francofona un’alternativa al franco francese CFA
La preoccupazione principale da parte francese è che la Libia porti il Nord Africa all’indipendenza economica con la nuova valuta pan-africana.
L’intelligence francese scoprì un piano libico per competere col franco CFA subito dopo l’inizio della ribellione, spingendo Sarkozy a entrare in guerra direttamente e bloccare Gheddafi con l’azione militare.



La nobile dottrina del “Responsibility to Protect” (R2P) diffusa a beneficio del pubblico europeo fu quindi – secondo Blumenthal – solo uno schermo per coprire la vera motivazione dell’attacco a Gheddafi: l’oro delle sue riserve e gli interessi economici francesi in Africa. Si noti infatti che la “protezione di vite civili” è totalmente assente dai rapporti diplomatici. Altra mail rilevante qui soprattutto sugli aspetti militari.
Sarebbe interessante capire dove sono le riserve auree di Gheddafi, insieme a valuta e diamanti.
Per finire con un dettaglio minimo ma significativo notiamo l’accenno di Sid Blumenthal a “l’occasionale emissario di Sarkozy, intellettuale e auto-promotore Bernard Henri-Levy, considerato dagli esponenti della NLC (National Libyan Council, fazione libica anti-Gheddafi finanziata e addestrata dalla Francia, NdR) un personaggio a metà utile e a metà ridicolo”. La triste vicenda del fondatore della Nouvelle Philosophie, auto-proclamato difensore dei diritti umani, come parabola dell’estinzione dell’intellighenzia progressista europea sostituita dagli ideologi del mercato e dell’iperfinanza e degli interessi delle élite.
?

per la mia esperienza ventennale in Francia è assolutamente plausibile
 

mototopo

Forumer storico
posted by Mitt Dolcino
Dopo le mail di H. Clinton desecretate possiamo dire che la crisi del 2011 fu un complotto contro l’Italia: volevano eliminare Gheddafi e l’Italia si mise di traverso?


A leggere le mail desecretate di di H. Clinton c’è da rimanere allibiti*, gettano una luce oscura sugli eventi del 2011/12: si rileva che Sarkozy voleva abbattere Gheddafi e per fare questo dovette necessariamente abbattere anche Berlusconi, amico dei Rais. Per estensione si può ricavare che, forse anche contro le intemperanze francesi, il Cavaliere minacciò ritorsioni in Europa e facendo questo mise in pericolo la stabilità economica mondiale in un periodo di grande incertezza – almeno fu così che la storia fu venduta dal duo Merkel—Sarkozy ad Obama, che già aveva in antipatia il nostro primo ministro dopo le sue sgarbate battute nei suoi confronti -. Da lì iniziò la sua caduta, via presidente G. Napolitano che avallò l’inavallabile.

E si noti che la visione proposta non può prescindere dal fatto che l’Italia ai tempi della Lehman Brothers stava uscendo da vincitrice dalla crisi sub prime, le nostre banche erano solidissime e ben capitalizzate anche grazie ad una loro generale arretratezza/ eccessiva cautela rispetto agli omologhi europei. In più l’Italia non aveva dovuto salvare nessuna delle proprie banche sistemiche, l’unica che a causa delle sue partecipate austriache e tedesche era entrata in crisi – Unicredit – fu salvata, udite bene, dal Fondo Sovrano libico che ne divenne il primo azionista!

Chiaramente il piano era che l’asse franco-tedesco doveva diventare dominante in EU, quale miglior modo per esorcizzare gli effetti della crisi economica post subprime in Francia e Germania? I sorrisini di Sarkozy e Merkel simboleggiavano bene il patto, che dite?

Ossia, Gheddafi andava eliminato in quanto oltre ad essere un problema per le politiche neocoloniali francesi nell’area sub-sahariana – Gheddafi già combatteva i francesi in Niger ai tempi dell’abbattimento dell’aero Itavia su Ustica – aveva anche permesso all’Italia di superare economicamente in prospettiva i nostri invadenti e spesso odiosi vicini (chiedere a Pietro Micca).
Chiaramente la Germania fece causa comune e dunque ecco servita la crisi dello spread innescata proprio da Deutsche Bank, ecco due primi ministri asserviti non agli interessi italiani ma a quelli pseudo-europei (Monti e Letta, quest’ultimo oggi lavora/insegna per/alla la scuola dei servizi segreti francesi a Parigi, Science Po), ecco l’abbattimento dell’economia italiana con l’austerità con la prospettiva di comprarsela per due soldi più avanti.
La magistratura fece il resto, per altro con uno “stile” molto approssimabile a quanto perpetrato durante Tangentopoli, ossia una giustizia che in sostanza ha fatto politica (sospetto abuso della custodia preventiva in carcere per ottenere confessioni/informazioni [ci fosse stato il reato nel nostro ordinamento – come previsto da una legge pendente al Senato – molto probabilmente sarebbe stata applicabile l’incriminazione per tortura, forse si capisce perchè è forse anche chi sia massimamente contrario ad introdurlo nel nostro ordinamento, ndr]; la storia dell’ascesa del Pool Mani Pulite andrà riscritta prima o poi…).

Ecco, la verità sui fatti del 2011-12 potrebbe essere questa, più semplice di quello che si possa pensare. Con la visione proposta si giustificherebbe per altro anche l’altrimenti insulsa crisi dello spread, di fatto uno spauracchio messo in piedi per far cadere un primo ministro che non aveva bisogno di soldi e che non cedeva, di Berlusconi almeno possiamo dire che non si poteva comprare coi soldi….
E l’austerità imposta dall’Europa: inutile se non per affossarci! Ora lo sappiamo bene, dopo 4 anni di cura per annientarci sì che le nostre banche sono in crisi e tutti ne paghiamo le conseguenze!

In tutto questo nessun media mainstream italiano ha citato in questi giorni i contenuti delle mail desecretate di H. Clinton, nessuno! Incredibile.

Ma ciò implica che ci deve essere qualcuno nelle nostre fila che impedisce che tali informazioni circolino. Ossia c’è un piano. Ossia ci sono dei traditori, forse anche tra i giornalisti.
In tutto questo emerito schifo almeno che mi si conceda questa esternazione: in questo mix di caos ed ignavia italica bisogna ricordare con estremo rispetto il nostro generale Tricarico, ex capo di Stato Maggiore, che restituì la Legion d’Onore dopo i fatti franco-libici. E che dire del generale Calligaris, perito in uno strano (ma provvidenziale) incidente nel 2014, sempre critico con coloro che non tenevano alto l’onore del nostro paese….
Faccio infatti notare che il nostro generale perito avrebbe potuto avere molta voce in capitolo in nordafrica, fu coordinatore delle operazioni alleate in Afghanistan, per poi essere impiegato nell’evacuazione di connazionali in Chad (dove gli interessi francesi sono grandissimi, ndr), negli aiuti umanitari ad Haiti colpita dal terremoto, e di nuovo nell’evacuazione di italiani, stavolta appunto nel nord Africa durante la primavera araba del 2011 (evidentemente, venendo a conoscenza di inedite verità). Inoltre era stato insignito delle medaglie „”Meritorius Service Medal” degli Usa e quella “Military Cooperation Consolidation Medal” della Federazione Russa“

Ovvero, avere fra le scatole un personaggio così per chi era interessato a destabilizzare la Libia e dintorni sarebbe stato un problema serio, soprattutto nel momento in cui l’Italia avesse voluto riprendersi quanto gli era stato tolto.
Io non so cosa deve succedere agli italiani perchè si sveglino. Davvero non lo so.
E al governo dico, attenzione: bisogna agire, andando a testa bassa contro questa idiota ed interessata direzione EU finalizzata ad annichilire il nostro paese con l’austerità, almeno stando a qunto si può implicare come conseguenza delle mail desecretate di H. Clinton. Se le cose si metteranno davvero male – stile depressione epocale, guerre etc. – la storia insegna che di norma i politici tendono a subire anche tragiche conseguenze. Sarebbe un errore pensare che gli italiani sono tutti cretini.

Fantomas per Mitt Dolcino
 

mototopo

Forumer storico
lunedì 11 gennaio 2016

FRODI BANCARIE E BANCA D’ITALIA AGLI STRANIERI



FRODI BANCARIE E RIFORME DELLA SINISTRA: BANCA D’ITALIA AGLI STRANIERI

Posted on 04/01/2016
FRODI BANCARIE E RIFORME DELLA “SINISTRA”:
BANCA D’ITALIA AGLI STRANIERI​

Nel mio precedente articolo, ho evidenziato come la classe dei banchieri, o meglio dei capitalisti finanziari (improduttivi) è portatrice di un interesse economico confliggente con quello dei lavoratori e dei risparmiatori (cioè dei produttori di ricchezza reale), e come essa storicamente ha sempre lavorato per arricchirsi mediante frodi e usura a loro danno, nonché per ottenere dalla politica la legittimazione di tali attività e lo scarico su contribuenti, risparmiatori e lavoratori dei danni da esse cagionati (ciò non solo in Italia: v. Mario Margiocco, Il disastro americano, in in Nuova Storia Contemporanea, maggio-giugno 2015).
Quando si vanta delle sue riforme, l’orgogliosa sinistra “democratica” stranamente scorda quelle della Banca d’Italia del dicembre 2006 (Prodi) e del gennaio 2014 (Letta). E fa bene a scordarsene, perché i disastri di MPS di Banca Popolare dell’Etruria, et cetera, successivi al 2006, non sarebbero avvenuti se la Banca d’Italia avesse vigilato sulle frodi e sugli abusi in via di esecuzione da parte del management di quelle banche. E la “sinistra”, con quelle due riforme – riforme peggiorative per gli interessi collettivi, migliorative per quelli della classe finanziaria – aveva donato la Banca d’Italia (il possesso pressoché totale del suo capitale sociale, quindi dei voti assembleari) ai banchieri privati, così rendendo molto improbabile che essi vigilassero su (contro) se stessi (o i propri colleghi) per limitare i loro ingiusti profitti sui risparmi e sugli investimenti dei cittadini.
Scrivevo in Sbankitalia (2014, 2a edizione, pagg. 32 ss)“Secondo lo statuto [attuale di Bankitalia] il potere dei partecipanti riguarda l’approva&shy;zione del bilancio e la nomina del Consiglio Superiore [di Bankitalia]… Il Consiglio Superiore svolge funzio&shy;ni amministrative, e partecipa con ruolo con&shy;sultivo (ma vincolante) al processo di nomina del Governatore, che dirige le attività di vigi&shy;lanza insieme al resto del Direttorio. … La possibilità di conflitti di interesse è ovvia, nei termini suddetti, e comporta l’in&shy;compatibilità dei partecipanti alla posizione di partecipanti-elettori del Consiglio Supe&shy;riore. Pensiamo a tutti i derivati-spazzatura in cui le banche italiane hanno confezionato i loro crediti in sofferenza per sbolognarli a risparmiatori abbindolati da false rassicura&shy;zioni, vere e proprie consulenze in conflit&shy;to di interessi, degli impiegati “promotori finanziari” costretti a ingannarli; e ciò stato possibile anche grazie a carenze ed omissioni della sorveglianza di BdI. Significativo è il fatto che sono state fatte molte riforme dello statuto della BdI, ma mai una per togliere questa contraddizione: evidentemente alle banche private partecipanti fa molto como&shy;do essere giudici di se stesse, e non voglio&shy;no rinunciare a questo aberrante privilegio. Il che dimostra all’atto pratico che i loro interessi sono in contrasto con quelli della generalità, sicché non dovrebbero nemme&shy;no essere autorizzate a partecipare, tanto più che, come si legge nel medesimo pas&shy;saggio, il Consiglio Superiore ha un ruolo vincolante nella nomina del Governatore, che è l’organo a cui competono la vigilan&shy;za e la politica monetaria (ormai integrata nel Sistema Europeo delle Banche Centrali), ossia le funzioni più schiettamente pubblici&shy;stiche e inconciliabili con gli interessi di soci privati. In passato, a mo’ di foglia di fico, le banche avevano delegato stabilmente quasi tutti i poteri al Governatore, col risultato di renderlo inamovibile, come documentato dal grande lavoro e dal grande tempo che è occorso per scacciare Antonio Fazio, a torto o a ragione. Inoltre le quote sono molto concentrate: due sole banche, Banca Intesa e Unicredit, ne detengono più del 50%, il che alimenta il sospetto che possano condi&shy;zionare le scelte di via Nazionale.
Ma la prova più eclatante dell’incompa&shy;tibilità dei partecipanti privati con le finali&shy;tà della BdI come Istituto pubblico, a causa dei loro interessi di parte, divergenti da quelli collettivi, è data dalla relazione riser&shy;vata, qui in appendice, sull’aggiornamento del valore delle quote, fatta evidentemente da un organo centrale della banca ai parte&shy;cipanti, e in cui si istiga a boicottare l’attua&shy;zione di una legge dello Stato – la 262/2005 – in quanto disponente la nazionalizzazione della proprietà della BdI2. In sostanza, sono questi soci, questi imprenditori privati, a farsi e a disfarsi le regole, statutarie e non, e a bloccare la volontà persino del legislato&shy;re. Chissà perché i Radicali non promuovo&shy;no qualche referendum abrogativo contro la riforma privatizzante del 2006…
Banchieri e finanzieri italiani e di tutta l’area occidentale, detentori del pote&shy;re monetario e creditizio, col loro segui&shy;to di economisti in carriera e di istituzioni controllate come l’UE, la BCE, il FMI, si oppongono alla nazionalizzazione delle ban&shy;che centrali di emissione e ad ogni potere pubblico di direzione su di esse, afferman&shy;do che le banche centrali debbano essere indipendenti dalla politica, perché i politici userebbero male il potere monetario, dema&shy;gogicamente. Quindi è meglio che resti in mano ai banchieri e ai finanzieri. Che vedo&shy;no più lontano e che perseguono la stabilità di lungo termine.
Questa tesi, oltre ad essere interessata, è smentita dai fatti, poiché le banche centrali “indipendenti” dalla politica, cioè dai parla&shy;menti e dai governi, come la BdI, la Fed, la BCE, e molte altre, hanno usato il loro pote&shy;re in modo utile a coloro che le gestiscono, ma rovinoso per la collettività. E non hanno perseguito interessi e stabilità di lungo ter&shy;mine, ma interessi di brevissimo termine. Esse sono responsabili per complicità, omer&shy;tà ed omissione delle pratiche bancarie frau&shy;dolente (derivati, cartolarizzazioni, bolle) che hanno prodotto la presente serie di crisi, con tutte le sue devastazioni e sofferenze per l’economia reale e le nazioni, e con tutti gli enormi profitti per i banchieri e i finanzieri. L’assetto della Banca d’Italia – BdI – nel 2013 presentava molti tratti manifestamente inaccettabili dal punto di vista della logica, del conflitto di interessi, della costituziona&shy;lità, del comportamento concreto nel caso MPS-Antonveneta, in cui, giusta o sbagliata, la percezione prevalente, al di là delle giu&shy;stificazioni elargite da Draghi (governatore al tempo dei fatti) e altri, è che essa, come organo di sorveglianza (e così pure il Mini&shy;stro e la Consob) avevano davanti agli occhi tutti gli elementi per accorgersi di ciò che i vertici di MPS stavano facendo (ossia com&shy;perare con anomale e sospette fretta e moda&shy;lità di pagamento congiunte a un’incredibile omissione di controlli contabili (due diligen&shy;ce) una banca che aveva avuto dianzi diversi passaggi di mano più che sospetti con strani rincari.”


04.01.16 Marco Della Luna


P.S. A queste considerazioni va però aggiunta una nuova dimensione: il tornaconto dei finanzieri stranieri, i quali, dopo che dagli ’90, agevolati dalla violazione della vecchia norma statutaria di Bankitalia, che prescriveva che la maggioranza delle sue quote fossero in mano pubblica, nonché dalla privatizzazione delle tre banche dell’Iri (pure opera della “sinistra”), controllano Bankitalia attraverso partecipazioni indirette, approfittandone per operazioni lucrative a danno degli Italiani, e che ora, grazie alle ultime riforme della sinistra, si sono definitivamente impadroniti della nostra banca centrale. Insomma, si conferma la destinazione dell’Italia a fungere da colonia di sfruttamento per il capitalismo finanziario straniero, che si appoggia a collaborazionisti interni, sia nella politica che nell’alta burocrazia. Denuncia il dr Alessandro Govoni nel seguente comunicato del 31.12.15:
Bankitalia Spa controllata al voto dal 1992 da Jp Morgan , State Street, Vanguard , BlackRock, Northern Trust , BNP Paribas ?
Sono stati analizzati gli azionisti rappresentati al voto da Cardarelli Angelo in Unicredit che è il delegato al voto di n. 1,8 miliardi di azioni di Unicredit e non di 1,8 milioni di azioni, come da allegati a comprova.
Sono 1991 azionisti che lo studio legale di Milano Cardarelli Angelo rappresenta al voto, tutti banche o fondi stranieri , ma concentrati in Jp Morgan , State Street, Vanguard , BlackRock, Northern Trust , BNP Paribas. Pertanto 1,8 miliardi di di azioni su 3,5 miliardi di azioni di Unicredit sono in mano a queste entità .
Gli stessi hanno la maggioranza azionaria anche in Intesa , Carisbo , Carige e BNL attraverso delegati che apparirebbero nel Verbale di Approvazione del Bilancio persone fisiche in realtà studi legali . In Intesa il delegato al voto è Trevisan Gilulio, anch’esso uno studio legale di Milano.
Unicredit, Intesa , Carsibo , Carige e BNL detengono la maggioranza azionaria di Bankitalia si presume dal 1992, pertanto se assicurazioni Generali ed Inps fossero state rappresentate al voto, dal 1992 ad oggi, da una tra Unicredit, Intesa , Carisbo , Carige e BNL (lo Statuto di Bankitalia lo consente) 265 voti su 529 di Bankitalia Spa, quindi la maggioranza di voto in Bankitalia Spa sarebbe detenuta indirettamente da Jp Morgan , State Street, Vanguard , BlackRock, Northern Trust , BNP Paribas, si presume dal 1992.
Secondo l’art 47 della Costituzione “la Repubblica controlla il credito” e NON banche , fondi e trust stranieri controllano il credito , potendosi integrare l’ attentato alla Costituzione dello Stato (notizia di ipotizzato reato)..
Ma Jp Morgan , State Street, Vanguard , BlackRock, Northern Trust , BNP Paribas non sono gli stessi azionisti delle agenzie di rating ?
In aggiunta a quanto sopra , in Unicredit , altre banche, i fondi e trust stranieri quali Aabar Luxembourg S.a.r.l., PGFF Luxembourg S.a.r.l, Central Bank of Lybia, Capital Research and Management Company, detengono un altro circa complessivamente 15% (oltre 1 miliardo di azioni) del suo capitale azionario . L’italianissima Unicredit in realtà pertanto è per oltre il 70% di proprietà straniera.
Ma perchè banche e fondi stranieri vollero entrare nel capitale delle nostre banche nel 1992, controllando al contempo Banca d’Italia ?
Per poter partecipare e godere di tre colossali nuovi business che hanno avuto inizio in Italia proprio dal 1992 :
1) dal lato delle quote interessi per poter incassare dalla clientela (famiglie , imprese ed enti locali italiani ) quanto più possibile eludendo le norme sull’usura attraverso la distorsione informativa di Bankitalia sulla formula del tasso da applicare
2)da lato quote capitali in quanto anch’esse per effetto del d.lgs n. 481 del 14 Dicembre 1992 sono diventate guadagno puro per la banca in Italia avendo da tale data le banche operanti in Italia iniziato a creare i prestiti elettronicamente con un semplice clik di accredito sul conto corrente del cliente , senza ossia più prendere i soldi prestati dalle proprie riserve di banca.
3)da lato dei contratti derivati sul tasso del tipo banca vince se tasso cala piazzati a famiglie , imprese , enti locali e Tesoro italiani in uno scenario preordinato di tassi al ribasso, pre-ordinato dallo stesso Governatore di Banca d’Italia e della BCE a partire dall’entrata in vigore della L. n. 82 del 7 Febbraio 1992 che ha conferito appunto al Governatore della Banca Centrale il potere esclusivo di variare di sua autonoma iniziativa il tasso (ufficiale di sconto) ed egli lo ha variato sempre al ribasso, dal 15% di Settembre 1992 ad oggi che è (il TUR) lo 0,05%, cosi’ arrecando centinaia di miliardi di euro di perdite a famiglie, imprese , enti locali e Tesoro italiani (notizia di ipotizzato reato) sui derivati sul tasso del tipo banca vince se tasso cala da essi contratti , perdite che hanno costituito incassi veri e propri per le banche, fondi e trust stranieri sopra menzionati compartecipati tra loro in questo immenso business ai danni dei cittadini italiani .
Il grande business del 1992 non fu pertanto di certo gli appalti, ma la conquista del capitale azionario delle tre banche dell’IRI (Comit, Credito Italiano e Banco Roma , oggi corrispondenti esattamente ad Intesa , Unicredit, Carisbo e Carige) per poi poter godere di questi tre immensi guadagni dal 1992 ai danni dei cittadini italiani .


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mototopo

Forumer storico
filosofia morale, prima di affermarsi come scienza: marginalista e marshalliana, ci spiega Galbraith, punto su cui Bazaar insiste, correttamente, più volte.

Pubblicato da Quarantotto a 12:40 6 commenti: Invia tramite emailPostalo sul blogCondividi su TwitterCondividi su FacebookCondividi su Pinterest






martedì 12 gennaio 2016

L'ERF CI ATTENDE ALLA FINE DEL QE? E SE ARRIVA PRIMA IL BAIL-IN CON L'ESM? O ANCHE ENTRAMBI




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1. Nell'attuale situazione dell'Unione monetaria europea si intrecciano una pluralità di questioni.
Nell'insieme, tutte risultano determinate da una conduzione "sovranazionale" (formalmente della Commissione UE, ma sostanzialmente imposte dai paesi dominanti la stessa UEM) delle polItiche economiche e fiscali.
Questo insieme di politiche economico-fiscali (fondate ormai su trattati "derivati" da quello principale di Maastricht-Lisbona, quali il c.d. fiscal compact, il two-packs, l'Unione bancaria e, in prospettiva, come vedremo, il fondo eropeo di redenzione deldebito sovrano, c.d. ERF) espropria, ormai, i singoli Stati dell'eurozona di qualunque rilevante e utile margine nel porre rimedio al ciclo economico negativo in cui sono bloccati (recessione o stagnazione, comunque essenzialmente dovute alla stessa permanenza nella moneta unica).
Una simile paralisi a livello statale nasce cioè dall'insieme dei vincoli europei che vietano l'esplicazione di qualsiasi politica "anticiclica" nell'interesse dell'economia nazionale, e dunque, degli stessi cittadini e delle loro aspettative di vita.
Queste aspettative consisterebbero (il condizionale è d'obbligo) nell'essere tutelati secondo le prescrizioni delle rispettive Costituzioni: per l'Italia, vengono in rilievo, a titolo esemplificativo di priorità, il diritto al lavoro come aspettativa giuridicamente obbligatoria di politiche di piena occupazione, art.4, 35 e 36 Cost., la tutela del risparmio "diffuso", altrettanto obbligatoriamente posta a carico delle istituzioni di vertice dell'ordinamento repubblicano dall'art.47 Cost., il diritto alla salute, art.32 Cost., e quello a un adeguato trattamento previdenziale, art.38 Cost.
Questo blocco delle politiche economiche anticicliche e delle tutele costituzionalmente vigenti, viene giustificato in nome di un unico valore prevalente che è la conservazione stessa della moneta unica.


2. Quest'ultima, invero, finisce per essere, come dovrebbero rendersi conto a questo punto le Corti costituzionali investite del problema in modo crescente nei vari Stati, non più uno strumento, (in astratto di benessere delle popolazioni coinvolte), ma un fine.
Un fine enunciato come assolutamente prevalente negli artt. 3, par.3, TUE e 127 TFUE, e che si compendia nella priorità e unicità della direttrice politico-economica della "stabilità dei prezzi" e del favor assoluto per la "forte competizione" tra Stati che si vuol incentivare.
Tale competizione, che è commerciale, cioè agisce sui prezzi "relativi" delle rispettive merci esportate o importate, si manifesta proprio sulla base dei rispettivi tassi di inflazione, i quali caratterizzano, nel medio-lungo periodo, i differenziali di competitività dei rispettivi sistemi economici nazionali; e questo senza che tali differenziali abbiano altra possibilità di correzione, - secondo trattati la cui modifica è considerata "fuori questione" dagli Stati dominanti-, che non sia la contrazione dei livelli salariali(e dell'occupazione e della domanda interna): livelli salariari "reali" e, ormai, anche nominali, in intenzionale assenza, di altri strumenti di normale politica economico-fisclae correzione degli squilibri di competitività che si sono, com'era previsto, innescati all'interon del'eurozona).


E' questo valore-cardine della stabilità dei prezzi unita e della connessa forte competizione tra Stati-sistemi economici, - e a questo punto della vicenda europeista non dovrebbe sfuggire a nessuno-, quello che preserva la moneta unica e che è divenuto istituzionalmente monopolizzatore di ogni direttiva, raccomandazione, e, appunto, trattato derivato, che inasprisce le condizioni economiche degli Stati dell'eurozona.
Il fine ultimo dell'UE, nella sua parte più avanzata (ma non certo più "coesa") che è l'eurozona, è dunque la conservazione della moneta unica a qualsiasi costo che debba essere sopportato dai cittadini, lavoratori, consumatori e risparmiatori dei singoli Stati aderenti.


3. Questa premessa dovrebbe essere stata chiarita in modo eloquente dai fatti (economici e sociali) a cui stiamo assistendo:
- la creazione di una disoccupazione strutturale a due cifre praticamente irrisolvibile, se si sconta l'accrescimento sia della massa dei "non attivi" che la crescita esponenziale di precari e working-poors, cioè di lavoratori apparentemente riducenti il tasso di disoccupazione, ma in condizioni socio-economiche equipollenti a quelli di un disoccupato, in termini di rispetto degli artt. 4 e 36 Cost.;
- la messa ad alto rischio degli stessi conti correnti di ogni livello di risparmiatore, beninteso anche sotto la soglia dei 100.000 euro.
Tuttavia, il gap informativo sulle autentiche finalità e priorità dell'eurozona, è tale da non consentire, ai comuni cittadini, e persino a coloro tra questi che sono dotati di una cultura e di una professionalità di livello superiore, di cogliere razionalmente e in modo esauriente l'intera gamma dei meccanismi che stanno agendo inesorabilmente sulle loro vite.


4. Un chiarimento illuminante e pregiudiziale della situazione descritta, può aversi ove si ponga bene attenzione a quanto è emerso dalla rivelazione delle mails "non protette" dell'ex Segretario di Stato USA Hillary Clinton, divulgate dalla stampa statunitense a seguito dell'inchiesta avviata dal General Attorney (mediante la prassi della nomina di uno "special prosecutor") e riportate da "Scenari economici".
La mail che interessa direttamente l'eurozona, e l'Italia più di tutti, in base a quanto abbiamo sopra tratteggiato, è stata, appunto, recentemente pubblicata dal noto sito economico italiano. Si tratta di una mail sulla crisi dell'eurozona inviata a Mrs. Clinton da una "fonte confidenziale" e contenente due "memos" riassuntivi delle intenzioni della Germania, risalenti al maggio 2012.
Questo il tenore dei suoi passaggi salienti, che traduciamo in italiano:
"La presente informativa è basata su conversazioni col Ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schauble e con persone a lui vicine. FONTE: fonti con un accesso di eccellenza ai più alti livelli delle comunità europee di politica e sicurezza.LA SEGUENTE INFORMAZIONE PROVIENE DA UNA FONTE ESTREMAMENTE SENSIBILE E DEVE ESSERE USATA CON ATTENZIONE. QUESTA INFORMAZIONE NON DEVE ESSERE CONDIVISA CON NESSUNO CHE SIA ASSOCIATO AL GOVERNO TEDESCO”(il documento è identificato come "Case No. F-2014-20439 Doc No. C057", come ci riporta il citato sito che ne è venuto a conoscenza grazie a Ulrich Anders).


5. Particolarmente attuale (o meglio, al tempo, "profetica") è la visione di Schauble sulla Grecia esposta nei "memos":
“In coerenza, Schauble e altri esponenti delle autorità finanziarie a Berlino, Londra a Bruxelles, cominciano a vedere le prossime elezioni greche come un plebiscito sul se la Grecia rimarrà o meno nella euro-zona. Schauble ha affermato in privato che se, nonostante l'impegno da loro professato sull'euro, i greci voteranno per un governo condotto dal partito anti-austerità Syriza, essi devono sopportare le conseguenze delle loro azioni".


Nel 2013, Syriza, com'è noto, non vinse le elezioni, ma la "sopportazione delle conseguenze" si è ampiamente vista a seguito della successiva vittoria elettorale del gennaio 2015, fino alla nuova elezione del successivo settembre, ove l'elettorato greco ha dovuto fronteggiare, e continua a farlo, tali "conseguenze", piegandosi, per il voler rimanere nella moneta unica, a un'ondata intensiva di nuova austerità che ha ripiombato in recessione il paese e che ne aggraverà progressivamente non solo le condizioni economiche strutturali, ma anche la futura possibilità di restituzione dei crediti erogati "a un passo dal default" dalla c.d. Trojka (che vede compartecipe la stessa Italia come fndamentale contribuente al fondo di stabilità-ESM, con prospettive praticamente nulle di rivedere i fondi erogati e prelevati dai contribuenti italiani, più che mai vigendo il principio del pareggio di bilancio).
E questa dunque è l'attuale situazione instauratasi a seguito della "resa" di Tsipras-Varoufakis nel luglio 2015.Come si può vedere confermato da questo grafico (che riporta dati e proiezioni della Commissione UE) sull'andamento del PIL, aggiornato alla seconda parte del 2015 (linea azzurra):

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E tutto ciò senza alcuna seria prospettiva di diminuzione del rapporto debito/PIL: anzi, in base all'attuale tendenza che sconta la inevitabile contrazione del PIL medesimo dovuta alle misure imposte col memorandum del lugliio 2015 (e si tratta di stime prudenziali, cioè moderatamente ottimiste, proprio perché della stessa Commissione UE), si sta verificando che:
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6. Nel 2012, sempre dalla stessa fonte "sensibile", emerge come si ritenesse, e con evidenza tutt'ora si ritiene, di far fronte a una crisi come quella greca e, più in generale, dell'intera eurozona, secondo lo stesso (fondamentale decidente) Schauble (traducendo le parti in inglese tratte da "scenari"):
"Schaeuble pensa di avere due vie, che gli permetterebbero di evitare la soluzione per lui più dolorosa. Le due vie sono:
a) La via suggerita dai 5 saggi tedeschi, lo “European redempion fund”, quello che, con il two pack ed il six pack, avrebbe dovuto riassorbire il debito oltre il 60% del PIL e che, inizialmente Schaeuble aveva osteggiato
b) “Il secondo corso d'azione è più ancora problematico per Schauble, poiché involge la pianificazione di una divisione dell'UE in due noccioli diversi, con un'unione monetaria più ristretta". Cioè la seconda soluzione si riferisce all’ euro a due velocità, o euro sud ed euro nord, soluzione che però viene vista come difficile dopo l’elezione di Hollande.
Quello che Schaeuble vuole evitare a tutti i costi è la terza soluzione:
“In ogni caso Schauble continua a credere che un completo collasso dell'unione monetaria sia inaccettabile per la Germania, perché un ricostituito marco tedesco risulterebbe considerevolmente rivalutato rispetto all'euro (ndr; attenzione, proprio rispetto all'euro, non rispetto al dollaro, poichè Schauble è evidentemente preoccupato del vantaggio di competitività attribuito alla Germania dal valore fisso dell'euro rispetto alle valute correnti negli altri Stati dell'UEM, rimanga o meno l'euro per taluni di esso; infatti, in caso di un "collasso" della moneta unica, questa - o le neovalute comunque risultanti- si svaluterebbero simmetricamente rispetto al neo-marco, facendo perdere alla Germania gran parte della competitività di prezzo accumulata a svantaggio dei partners europei con cui principalmente commersia, esportando), danneggiando seriamente l'economia tedesca guidata dalle esportazioni". La fine dell’euro è inaccettabile per la Germania perchè il nuovo marco sarebbe troppo rivalutato e danneggerebbe l’economia tedesca basata sull’esportazione. Quindi tutti i sacrifici che i tedeschi dicono di fare, o di aver fatto, non esistono. Stanno agendo solo nel proprio interesse e chi in Italia continua a difendere l’euro, in realtà, sta continuando a difendere gli interessi dei tedeschi! Semplice, chiaro e lineare."
7. Prosegue il commento del sito sopra citato (sempre integrato dalla traduzione in italiano):
"Il problema in quel momento poteva essere l’indecisione della Merkel sullo ERF:
“Nell'opinione di un individuo ben informato, la Merkel proseguirà a studiare lo European Redemption Plan e altre opzioni politiche, ma Schauble teme che ella ritarderà ogni azione decisiva". Schaeuble temeva che la Merkel non prendesse una iniziativa a favore del ERF. Allora chi entra in campo? “Egli (Schaeuble) fa notare che il primo ministro italiano Mario Monti, che è vicino alla Merkel, stia dando l'allarme sul bisogno di un'azione mentre l'UE scivola nella recessione” Quindi Schaeuble utilizzerà Monti per convincere il proprio cancelliere a muoversi sul ERF.
Come sapete ERF, Two Pack, Six Pack, obbligo di pareggio di bilancio etc., sono stati fatti cosi come voleva Schaeuble, ed allo stesso modo fu guidata la politica nei confronti della Grecia nei sei mesi del governo Varoufakis/Tspiras del 2015. ERF rimane una specie di “Minaccia Fantasma” che oggettivamente impedisce lo sviluppo dell’Italia, insieme all’euro che, ora sappiamo dalla sua stessa diretta voce, è per Schaeuble, il principale regalo fatto ai tedeschi."
8. Per chi non avesse ancora acquisito le corrette informazioni, chiariamo la genesi e il funzionamento dello European Redemption Fund.
L'idea è nata da un gruppo di esperti istituito dalla Commissione europea e presieduto dall'ex governatore della Banca Centrale Austriaca, Gertrude Trumpel-Gugerell, sulla base della proposta originaria avanzata alla fine del 2011 dal consiglio di esperti economici tedeschi (German Council of Economic Experts) per trovare una soluzione alla crisi dei debiti sovrani.
Questa iniziativa, ha avuto una prima approvazione (su un progetto "preliminare", quello del Consiglio del esperti economici della Merkel) del parlamento europeo il 13 giugno 2012, nell'ambito della discussione sul two-packs (che definisce i poteri della Commissione stessa di verifica e controllo preventivo sui bilanci annuali dei singoli Stati dell'euro-zona), in base alla c.d. Relazione Ferreira (approvata col voto favorevole del 74% del PE inclusa la maggior parte degli europarlamentari italiani).

La proposta, a monte di tutto, dunque, era stata formulata dal Consiglio degli esperti economici della Cancelleria tedesca Angela Merkel, e prevedeva, in linea di massima, di far confluire nel Fondo l’importo dei debiti pubblici degli Stati dell’Eurozona per la parte eccedente il 60% del PIL.

Successivamente, essendo rimasto sulla carta (a differenza della procedura che introduce lo stringente potere di "veto" della Commissione sulle finanziarie annuali dei singoli Stati) per i motivi di "esitazione" tedesca sopra indicati (risalenti al 2012), la questione è stata approfondita nei suoi meccanismi e, nella nuova veste di proposta più operativa, è stata riapprovata dallo stesso Parlamento europeo nel 2014.
Vediamo come ci si è arrivati.

9. Il 2 luglio 2012, la Commissione UE incaricava un gruppo di studio composto da esperti austro-tedeschi di elaborare un ulteriore draft di dettaglio dello stesso fondo di "redenzione", lungo le linee della prima proposta dei consiglieri economici della Merkel, culminata nella sopra menzionata relazione Ferreira, appunto approvata dal parlamento UE pochi giorni prima, nel giugno 2012).
Lo studio veniva consegnato nel marzo 2014 alla Commissione ("committente"), "ma poi, a seguito delle forti critiche e delle imminenti elezioni europee, era stata archiviato.
. .
Peraltro, passate le elezioni "il (neo)presidente del Parlamento europeo Martin Schulz ha tolto la polvere ai cassetti e ha ripreso in mano la proposta. In una lettera inviata...al Presidente della Commissione Jean-Claude Juncker l'ERF viene citato come elemento chiave della riforma dell'attuale sistema di governance economica europea. Ecco il documento, all'ultimo punto del paragrafo 4 il riferimento al Fondo di Redenzione."
Attualmente, tuttavia, va detto che nonostante il (doppio) parere favorevole del parlamento UE, la Commissione non ha ancora proceduto a formalizzare una proposta da tradurre in una nuova bozza di trattato "derivato", come il fiscal compact (di cui, come vedremo, l'ERF è un sostanziale strumento di esecuzione coattiva), ovvero in una direttiva obbligatoria per gli Stati dell'Eurogruppo, come nel caso della Unione bancaria e del conseguente meccanismo del bail-in (notoriamente recepita, tale direttiva, nel settembre del 2015 mentre il relativo decreto delegato è operativo, con le conseguenze cui stiamo appena assistendo, dal 1° gennaio 2015).

10. Va detto che un motivo "assorbente" per cui, attualmente, non si spinge in modo attuale sull'ERF, da parte della Commissione e dell'Eurogruppo, pare risiedere nel Quantitative easing lanciato dalla BCE e operativo da marzo.
Recentemente, il QE è stato esteso, secondo quanto annunciato dallo stesso Draghi, dalla sua originaria scadenza, settembre 2016, a quella del marzo 2017
.
La caduta dei rendimenti (e quindi l'aumento dei prezzi di collocamento) dei titoli sovrani dell'eurozona (eccettuati quelli dello Stato greco, non ammissibile al programma perché monitorato nell'attuazione dei memorandum rientranti nella condizionalità speciale imposta in cambio delle linee di cresito dell'ESM, come visto prima), fanno sì che l'immediata utilità del fondo di "redenzione" non sia spendibile per indurre gli Stati ad attualizzarne il funzionamento.
Venuto, transitoriamente, meno l'unico e parziale vantaggio prospettabile (la diminuzione dei tassi di rendimento dei titoli sovrani), rimarrebbe infatti, con tutto il suo peso, il resto del meccanismo di esecuzione forzata.
Ma questo, appunto, può valere solo fino alla fine del QE, cioè ancora per circa 15 mesi (allo stato delle decisioni della BCE).

11. Quanto al funzionamento dell'ERF, per chi non lo avesse ancora approfondito, si articola sui seguenti punti:
a) ciascuno Stato conferisce al fondo il debito eccedente il limite del 60% del PIL;
b) il fondo prende in carico tali titoli emettendo in loro sostituzione titoli garantiti, verso i sottoscrittori, dall'egida di una istituzione finanziaria europea (e che quindi possono fruire, presso gli investitori delle istituzoni finanziarie internazionali private, di alti prezzi di collocamento e non sottoposti agli spread differenziati che avrebbero subito i vari Stati UEM separatamente impegnati a emettere propri titoli);
c) tuttavia, ciascun Stato aderente, a fronte del risparmio sugli interessi passivi, garantisce, a sua volta, verso il Fondo, l'esatta applicazione del fiscal compact nella parte in cui prevede la diminuzione nella tendenziale misura di 1/20° annuo del proprio debito eccedente il 60% del PIL. Questo, dunque, è lo scopo effettivo dell'ERF: un'attuazione puntuale e garantita dello stesso fiscal compact. Infatti:
c.1) ogni anno, il fondo (una volta a regime entro un periodo di avvio di 5 anni), divenuto comunque il nuovo e unico creditore dello Stato per quanto riguarda i titoli conferiti, pretende la restituzione definitiva del relativo ammontare nella prevista misura di 1/20° e si premunisce della immancabilità di tale estinzione progressiva del debito mediante una serie di garanzie immediatamente escutibili (cioè incassabili; a fronte di ciò dovrebbero complessivamente diminuire in misura corrispondente di 1/20°, e fino alla totale estinzione in 20 (o 25) anni, dei titoli, cioè delle passività, che emette il fondo medesimo;
c.2) queste garanzie sono, infatti, costituite da:
a) dal gettito delle imposte nazionali in una misura adeguata, vincolata al pagamento verso il Fondo nello stesso modo in cui lo sono uno stipendio o un conto corrente che vengano pignorati in attesa dell'assegnazione al creditore; tale "pignoramento" (preventiuvo e potenzialmente ultraventennale) dovrebbe essere stabilito intorno al 5/6% annuo delle entrate statali (privilegiando l'imposizione indiretta; ad es, l'IVA);
b) il ricavato della vendita, mediante privatizzazione, di ogni genere di assets pubblici dello Stato garante; le privatizzazioni avrebbero così una destinazione vincolata e privilegiata a favore del fondo e immancabilmente nella misura di volta in volta necessaria (calibrata sulla discrezionale misura in cui il Fondo stesso non si approprierà integralmente del gettito fiscale di cui al punto a), lasciando cioè allo Stato la scelta tra quante entrate sottrarre ai compiti essenziali di erogazione di servizi essenziali ai propri cittadini e la devoluzione del risultato di privatizzazioni obbligate e, in condizioni di carenza di liquidità degli operatori nazionali, destinare a fnire n svendita a mani estere (v. aeroporti greci, questa stessa estate);
c) l'oro e la valuta pregiata detenute dalla banca centrale dello Stato aderente.

12. Va subito detto che, una volta divenuto debitore non più per i propri titoli (che verrebbero estinti dal conferimento al Fondo) ma in forza del rapporto, coattivo e "garantito", instaurato col Fondo stesso, dovrà restituire la somma dovuta annualmente (ciascuna rata ventennale) in valuta sottoposta alla disciplina europea, quindi in euro o, in caso di euro-break, nella valuta stabilita dalle clausole di dettaglio dello statuto (o trattato) ERF.

Quindi, per una parte consistente del suo debito, - per l'Italia si tratta di più della metà (allo stato, circa il 75% del PIL)-, lo Stato coinvolto non potrà più avvantaggiarsi dell'eventuale ritorno alla propria valuta nazionale e della conseguente "svalutabilità" del debito da restituzione dei propri titoli sovrani, in base alla lex monetae che contraddistingue(va) la stragrande maggioranza dei contratti di emissione dei titoli del debito pubblico.
Ciò costituisce un ulteriore appensantimento del vincolo monetario connesso all'euro e un aggravamento della sua privazione di sovranità, non giustificabile in alcun modo alla luce dell'art.11 Cost., mettendo a repentaglio le sue possibilità di ripresa in caso di uscita dalla moneta unica: il debito in valuta estera (da sommare ai debiti commerciali privati a breve termine per le precedenti transazioni commerciali con ogni tipo di partner, non soggette alla lex monetae), arriverebbe infatti ad una tale misura da aggravare le condizioni di ristabilimento di un corso adeguato della neo-valuta nazionale, ponendosi un'esigenza disperata di avere riserve di valuta "pregiata.
Ma questa disponibilità di valuta estera sarebbe già erosa, se non del tutto annullata, dall'averla offerta in garanzia al Fondo stesso, come visto sopra.

13. Ma, va detto, difficilmente, , sarebbe realizzabile una restituzione della rata annuale essendo, per di più simultaneamente assoggettati al pareggio di bilancio (cosa inscindibile dal fiscal compact, recepito in parte qua in Costituzione).
Va infatti tenuto presente che l'Italia, attualmente, realizza un saldo primario di pubblico bilancio pari a circa 2 punti di PIL (3 nella migliore delle ipotesi pronosticabile nelle attuali condizioni di bassa crescita).
Va poi ricordato, che l'onere degli interessi passivi è oggi mitigato dal QE (cioè dagli acquisti della BCE): ma, con ogni probabilità, salvo quanto vedremo tra un poco, l'ERF si applicherebbe solo una volta che fosse terminata tale politica monetaria espansiva "non convenzionale" (si dice).
Risultato: se pure si potesse fruire di minori interessi sulla parte del debito "eccedentaria"conferito all'ERF, tuttavia,sul rimanente 60% il livello dei tassi, cioè degli spread, sarebbe comunque potenzialmente crescente, e proprio dopo la fine del QE e per le condizioni economiche che deriverebbero dall'applicazione dell'ERF medesimo, come nel caso della Grecia visto più sopra.

14.Basti dire, nell'ipotesi più lineare, che immaginando benevolmente un onere complessivo del debito pubblico, almeno nei primi e cruciali anni di applicazione dell'ERF, non superiore a quello attuale (in pieno QE), cioè di circa 5,5 punti di PIL, dovremmo simultaneamente:
a) raggiungere il pareggio di bilancio.. Teoricamente dal 2017, ma comunque, anche se così non fosse (proroga al 2018 del "pareggio", per concessione di "flessibilità" da parte della Commissione UE), sempre dovendo realizzare forti riduzioni del deficit annuo, (altrimenti essendo sanzionati con procedura di infrazione e strali dei "mercati" nel collocamento del debito non conferito);
b) corrispondere la rata annua della restituzione di 1/20° del debito conferito pari a circa 2/3 del nostro PIL, attraverso la "assegnazione" al Fondo creditore del 5/6% delle entrate tributarie, equivalenti a circa 2,5-3 punti di PIL.

15. Questo insieme di obblighi, derivanti dall'agire simultaneo del pareggio di bilancio-fiscal compact e dal Fondo come strumento coattivo di escussione della riduzione del debito pubblico, ci obbligherebbero a dei surplus di bilancio, cioè a dei saldi primari del settore pubblico, pari a circa 8 punti di PIL (cioè pari all'intero ammontare dell'onere degli interessi più la rata di restituzione in ventesimi del 75% del PIL).

Una misura mai realizzata da nessun paese nella storia dell'economia e che andrebbe ad assomarsi al cumulo record mondiale di precedenti saldi primari registrati dall'Italia a partire dal 1992, a costo di una forte compressione del PIL, rispetto al pieno impiego dei precedenti fattori della produzione nazionali (che ha determinato un costante out-put gap, cioè di minore crescita e di deindustriliazzazione, all'interno dell'UE e dei suoi criteri fiscali, di convergenza prima e di mantenimento della moneta unica poi).

Ma siccome sottoponendoci immediatamente, e "a regime", (almeno per i primi anni) a una simile politica di bilancio, ne deriverebbe una feroce recessione, come accade in Grecia ma in misura ancora più violenta (dato che la Grecia non è tenuta, per evidente impossibilità, a realizzare tali livelli distruttivi di avanzo primario), la flessione del PIL farebbe riaumentare il rapporto debito pubblico per caduta del numeratore del rapporto, riportandoci rapidamente oltre il 60% nella parte di debito non conferita all'ERF!
Una follia talmente evidente che non ci vorrebbe un genio dell'economia per comprenderla.

16. Questa evenienza era stata ben segnalata da Krugman sul caso Grecia, in questi termini che, per i "conti pubblici" che presenta l'Itali,a sarebbero da "traslare" verso un effetto recessivo di dimensioni ben maggiori, dato che, come abbiamo visto, il nostro saldo primario sarebbe da incrementare annualmente di circa 6 punti, nelle condizioni attuali:
"Supponiamo...che si parlasse di aumentare permanentemente il saldo primario di un punto di PIL. Come ho scritto in precedenza, e come rileva Simon Wren-Lewis, data la mancanza di una politica monetaria indipendente, ottenere un surplus primario richiede molto più di un'austerità in "rapporto 1 a 1". In effetti, una buona ipotesi è che occorra tagliare la spesa pubblica del 2% del PIL, dato che l'austerità riduce l'economia e le entrate tributarie. Ciò, a sua volta, significa che si riduce l'economia intorno al 3%. Così, un 3% di colpo inferto al PIL per aumentare il saldo primario di 1.
Ma un'economia ridotta implica che il rapporto debito/PIL vada inizialmente in aumento. Ed infatti, dato il punto di partenza della Grecia, con un debito al 170% del PIL, l'effetto avverso dell'austerità significa che cercare di innalzare di 1 punto il saldo primario determina la crescita del rapporto debito/PIL di 5 punti (0,03x170). Questo suggerirebbe che ci vorrebbero 5 anni di austerità per avere la ratio del debito nuovamente al livello in cui sarebbe stata in assenza di austerità. Ma, aspettate, c'è di più. Associamo Irving Fischer alla discussione. Un'economia più debole porterà a minor inflazione (o a una più intensa deflazione), che, anch'essa, tende a innalzare il rapporto debito/PIL.


17. Ma, va anche aggiunto, la prospettiva di essere assoggettati a questo grado di condizionalità, rispetto al 2017, cioè rispetto a quando finirà il QE (si suppone), potrebbe essere ancora più imminente, poichè essa non è legata solo al probabile "ritorno di fiamma" tedesco (cioè delle istituzioni UE-M che comunque sono sollecite ad realizzare le strategie di Schauble, come abbiamo visto dai memo della Clinton) sull'ERF nel 2017.
.
Infatti, l'attuale situazione bancaria, con il dilagare inarrestabile di sofferenze bancarie e della loro incubatrice degli incagli (le prime giunte a 210 miliardi, i secondi intorno ai 380 miliardi), potrebbero metterci in condizione di avere due alternative tragedie altrettanto incombenti.
Ovvero la prima è quella di assistere alla crisi sistemica del settore bancario, che potrebbe, ad esempio, essere innescata dai casi Monte dei Paschi e Carige, visti i drammatici eventi borsistici che si stanno attualmente registrando, ma senza poter effettuare alcun bail-out: e non solo perché non sarebbe consentito dal "meccanismo di risoluzione" bancaria detto bail-in, ma perché i vincoli di bilancio che ci mettono in difficoltà crescenti con la Commissione già in questi primi giorni del 2016, non ce lo consentirebbero.
.
E dunque, la distruzione di risparmio di obbligazionisti e correntisti, cioè di piccoli risparmiatori si presume non ad alto reddito, innescherebbe una recessione altrettanto pandemica a seguito della c.d. propensione marginale al consumo della ricchezza (mobiliare) che incide direttamente sul PIL appunto, in termini di repentina contrazione dei consumi.
Effetto recessivo non trascurabile pure nella seconda ipotesi, che si verificherebbe egualmente se, in alternativa al lassez-faire, che tanto amano i liberisti nostrani, si decidesse di intervenire, in bail-out, ricapitalizzando per mano pubblica il sistema bancario (per evitare il super-contagio), ricorrendo, per finanziare tale intervento, ad una forte imposizione patrimoniale straordinaria.


18. Rimane poi anche l'ulteriore prospettiva di anticipato effetto di liquidazione del sistema Italia (rispetto alla evenienza di adesione all'ERF): quello auspicato da Lars Feld (un "eminente" membro del Consiglio degli esperti del governo tedesco che ha escogitato l'ERF) che, dicendosi (ridendo) certo che il nostro sistema bancario entrerà in crisi, prevede che dovremo rivolgerci allo European Stability Mechanism- ESM, cioè quello che opera come parte europea della trojka nel caso Grecia

In questo caso, al "salvataggio" di parte dei conti correnti, si accompagnerebbero le condizionalità già viste nel caso Grecia con gli effetti sopra riportati indicati da Krugman.



19. Infine, ma di non minore importanza, non ho affrontato, - in presenza di tale situazione di vincoli intrecciati determinati dal far parte della moneta unica,in particolare determinata da austerità fiscale intransigente unita al divieto di bail-out bancario -, il problema dell'assunzione di rischio da default posto a carico delle singole banche centrali nazionali, del sistema europeo (SEBC), a seguito del modo in cui è stato congegnato il Quantitative easing: le banche centrali, quale che sia il "destino" dei titoli sovrani nazionali a cui la BCE la fornito la liquidità per acquistarli, sono comunque tenute, alle varie scadenze, a restituire esattamente la provvista in euro che erano state autorizzate ad emettere (provvista che, però, figura fin dall'emissione come debito, espresso in euro e restituibile solo in tale divisa, della banca centrale nazionale verso quella europea).

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E non è detto che, - poiché a quanto pare non si può uscire dall'euro perché altrimenti, si dice, avremmo grandi difficoltà economiche (inflazione, non ben indicata e mentre non riusciamo uscire dalla deflazione, nonché presunte difficoltà di collocamento del debito pubblico sui mercati)-, non riceveremo tutto il trattamento che l'ostinazione a rimanere nell'euro ci riserva: prima la crisi bancaria col ricorso alla tassazione patrimoniale straordinaria e distruttiva o il ricorso all'ESM (trattamento Grecia), e poi, dal 2018 anche una "intelligente" adesione all'ERF e il trattamento del "pignorato", con la smobilitazione definitiva dell'economia italiana
...

Ma anche con la liquidazione finale del benessere minimo dei cittadini italiani che, come minimo dovrebbero rinunciare a pensioni e sanità; pubbliche naturalmente, perché col TTIP comunque dovremo privatizzarle.



Pubblicato da Quarantotto a 20:26 58 commenti: Invia tramite emailPostalo sul blogCondividi su TwitterCondividi su FacebookCondividi su Pinterest
 

mototopo

Forumer storico
filosofia morale, prima di affermarsi come scienza: marginalista e marshalliana, ci spiega Galbraith, punto su cui Bazaar insiste, correttamente, più volte.

Pubblicato da Quarantotto a 12:40 6 commenti: Invia tramite emailPostalo sul blogCondividi su TwitterCondividi su FacebookCondividi su Pinterest






martedì 12 gennaio 2016

L'ERF CI ATTENDE ALLA FINE DEL QE? E SE ARRIVA PRIMA IL BAIL-IN CON L'ESM? O ANCHE ENTRAMBI




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1. Nell'attuale situazione dell'Unione monetaria europea si intrecciano una pluralità di questioni.
Nell'insieme, tutte risultano determinate da una conduzione "sovranazionale" (formalmente della Commissione UE, ma sostanzialmente imposte dai paesi dominanti la stessa UEM) delle polItiche economiche e fiscali.
Questo insieme di politiche economico-fiscali (fondate ormai su trattati "derivati" da quello principale di Maastricht-Lisbona, quali il c.d. fiscal compact, il two-packs, l'Unione bancaria e, in prospettiva, come vedremo, il fondo eropeo di redenzione deldebito sovrano, c.d. ERF) espropria, ormai, i singoli Stati dell'eurozona di qualunque rilevante e utile margine nel porre rimedio al ciclo economico negativo in cui sono bloccati (recessione o stagnazione, comunque essenzialmente dovute alla stessa permanenza nella moneta unica).
Una simile paralisi a livello statale nasce cioè dall'insieme dei vincoli europei che vietano l'esplicazione di qualsiasi politica "anticiclica" nell'interesse dell'economia nazionale, e dunque, degli stessi cittadini e delle loro aspettative di vita.
Queste aspettative consisterebbero (il condizionale è d'obbligo) nell'essere tutelati secondo le prescrizioni delle rispettive Costituzioni: per l'Italia, vengono in rilievo, a titolo esemplificativo di priorità, il diritto al lavoro come aspettativa giuridicamente obbligatoria di politiche di piena occupazione, art.4, 35 e 36 Cost., la tutela del risparmio "diffuso", altrettanto obbligatoriamente posta a carico delle istituzioni di vertice dell'ordinamento repubblicano dall'art.47 Cost., il diritto alla salute, art.32 Cost., e quello a un adeguato trattamento previdenziale, art.38 Cost.
Questo blocco delle politiche economiche anticicliche e delle tutele costituzionalmente vigenti, viene giustificato in nome di un unico valore prevalente che è la conservazione stessa della moneta unica.


2. Quest'ultima, invero, finisce per essere, come dovrebbero rendersi conto a questo punto le Corti costituzionali investite del problema in modo crescente nei vari Stati, non più uno strumento, (in astratto di benessere delle popolazioni coinvolte), ma un fine.
Un fine enunciato come assolutamente prevalente negli artt. 3, par.3, TUE e 127 TFUE, e che si compendia nella priorità e unicità della direttrice politico-economica della "stabilità dei prezzi" e del favor assoluto per la "forte competizione" tra Stati che si vuol incentivare.
Tale competizione, che è commerciale, cioè agisce sui prezzi "relativi" delle rispettive merci esportate o importate, si manifesta proprio sulla base dei rispettivi tassi di inflazione, i quali caratterizzano, nel medio-lungo periodo, i differenziali di competitività dei rispettivi sistemi economici nazionali; e questo senza che tali differenziali abbiano altra possibilità di correzione, - secondo trattati la cui modifica è considerata "fuori questione" dagli Stati dominanti-, che non sia la contrazione dei livelli salariali(e dell'occupazione e della domanda interna): livelli salariari "reali" e, ormai, anche nominali, in intenzionale assenza, di altri strumenti di normale politica economico-fisclae correzione degli squilibri di competitività che si sono, com'era previsto, innescati all'interon del'eurozona).


E' questo valore-cardine della stabilità dei prezzi unita e della connessa forte competizione tra Stati-sistemi economici, - e a questo punto della vicenda europeista non dovrebbe sfuggire a nessuno-, quello che preserva la moneta unica e che è divenuto istituzionalmente monopolizzatore di ogni direttiva, raccomandazione, e, appunto, trattato derivato, che inasprisce le condizioni economiche degli Stati dell'eurozona.
Il fine ultimo dell'UE, nella sua parte più avanzata (ma non certo più "coesa") che è l'eurozona, è dunque la conservazione della moneta unica a qualsiasi costo che debba essere sopportato dai cittadini, lavoratori, consumatori e risparmiatori dei singoli Stati aderenti.


3. Questa premessa dovrebbe essere stata chiarita in modo eloquente dai fatti (economici e sociali) a cui stiamo assistendo:
- la creazione di una disoccupazione strutturale a due cifre praticamente irrisolvibile, se si sconta l'accrescimento sia della massa dei "non attivi" che la crescita esponenziale di precari e working-poors, cioè di lavoratori apparentemente riducenti il tasso di disoccupazione, ma in condizioni socio-economiche equipollenti a quelli di un disoccupato, in termini di rispetto degli artt. 4 e 36 Cost.;
- la messa ad alto rischio degli stessi conti correnti di ogni livello di risparmiatore, beninteso anche sotto la soglia dei 100.000 euro.
Tuttavia, il gap informativo sulle autentiche finalità e priorità dell'eurozona, è tale da non consentire, ai comuni cittadini, e persino a coloro tra questi che sono dotati di una cultura e di una professionalità di livello superiore, di cogliere razionalmente e in modo esauriente l'intera gamma dei meccanismi che stanno agendo inesorabilmente sulle loro vite.


4. Un chiarimento illuminante e pregiudiziale della situazione descritta, può aversi ove si ponga bene attenzione a quanto è emerso dalla rivelazione delle mails "non protette" dell'ex Segretario di Stato USA Hillary Clinton, divulgate dalla stampa statunitense a seguito dell'inchiesta avviata dal General Attorney (mediante la prassi della nomina di uno "special prosecutor") e riportate da "Scenari economici".
La mail che interessa direttamente l'eurozona, e l'Italia più di tutti, in base a quanto abbiamo sopra tratteggiato, è stata, appunto, recentemente pubblicata dal noto sito economico italiano. Si tratta di una mail sulla crisi dell'eurozona inviata a Mrs. Clinton da una "fonte confidenziale" e contenente due "memos" riassuntivi delle intenzioni della Germania, risalenti al maggio 2012.
Questo il tenore dei suoi passaggi salienti, che traduciamo in italiano:
"La presente informativa è basata su conversazioni col Ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schauble e con persone a lui vicine. FONTE: fonti con un accesso di eccellenza ai più alti livelli delle comunità europee di politica e sicurezza.LA SEGUENTE INFORMAZIONE PROVIENE DA UNA FONTE ESTREMAMENTE SENSIBILE E DEVE ESSERE USATA CON ATTENZIONE. QUESTA INFORMAZIONE NON DEVE ESSERE CONDIVISA CON NESSUNO CHE SIA ASSOCIATO AL GOVERNO TEDESCO”(il documento è identificato come "Case No. F-2014-20439 Doc No. C057", come ci riporta il citato sito che ne è venuto a conoscenza grazie a Ulrich Anders).


5. Particolarmente attuale (o meglio, al tempo, "profetica") è la visione di Schauble sulla Grecia esposta nei "memos":
“In coerenza, Schauble e altri esponenti delle autorità finanziarie a Berlino, Londra a Bruxelles, cominciano a vedere le prossime elezioni greche come un plebiscito sul se la Grecia rimarrà o meno nella euro-zona. Schauble ha affermato in privato che se, nonostante l'impegno da loro professato sull'euro, i greci voteranno per un governo condotto dal partito anti-austerità Syriza, essi devono sopportare le conseguenze delle loro azioni".


Nel 2013, Syriza, com'è noto, non vinse le elezioni, ma la "sopportazione delle conseguenze" si è ampiamente vista a seguito della successiva vittoria elettorale del gennaio 2015, fino alla nuova elezione del successivo settembre, ove l'elettorato greco ha dovuto fronteggiare, e continua a farlo, tali "conseguenze", piegandosi, per il voler rimanere nella moneta unica, a un'ondata intensiva di nuova austerità che ha ripiombato in recessione il paese e che ne aggraverà progressivamente non solo le condizioni economiche strutturali, ma anche la futura possibilità di restituzione dei crediti erogati "a un passo dal default" dalla c.d. Trojka (che vede compartecipe la stessa Italia come fndamentale contribuente al fondo di stabilità-ESM, con prospettive praticamente nulle di rivedere i fondi erogati e prelevati dai contribuenti italiani, più che mai vigendo il principio del pareggio di bilancio).
E questa dunque è l'attuale situazione instauratasi a seguito della "resa" di Tsipras-Varoufakis nel luglio 2015.Come si può vedere confermato da questo grafico (che riporta dati e proiezioni della Commissione UE) sull'andamento del PIL, aggiornato alla seconda parte del 2015 (linea azzurra):

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E tutto ciò senza alcuna seria prospettiva di diminuzione del rapporto debito/PIL: anzi, in base all'attuale tendenza che sconta la inevitabile contrazione del PIL medesimo dovuta alle misure imposte col memorandum del lugliio 2015 (e si tratta di stime prudenziali, cioè moderatamente ottimiste, proprio perché della stessa Commissione UE), si sta verificando che:
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6. Nel 2012, sempre dalla stessa fonte "sensibile", emerge come si ritenesse, e con evidenza tutt'ora si ritiene, di far fronte a una crisi come quella greca e, più in generale, dell'intera eurozona, secondo lo stesso (fondamentale decidente) Schauble (traducendo le parti in inglese tratte da "scenari"):
"Schaeuble pensa di avere due vie, che gli permetterebbero di evitare la soluzione per lui più dolorosa. Le due vie sono:
a) La via suggerita dai 5 saggi tedeschi, lo “European redempion fund”, quello che, con il two pack ed il six pack, avrebbe dovuto riassorbire il debito oltre il 60% del PIL e che, inizialmente Schaeuble aveva osteggiato
b) “Il secondo corso d'azione è più ancora problematico per Schauble, poiché involge la pianificazione di una divisione dell'UE in due noccioli diversi, con un'unione monetaria più ristretta". Cioè la seconda soluzione si riferisce all’ euro a due velocità, o euro sud ed euro nord, soluzione che però viene vista come difficile dopo l’elezione di Hollande.
Quello che Schaeuble vuole evitare a tutti i costi è la terza soluzione:
“In ogni caso Schauble continua a credere che un completo collasso dell'unione monetaria sia inaccettabile per la Germania, perché un ricostituito marco tedesco risulterebbe considerevolmente rivalutato rispetto all'euro (ndr; attenzione, proprio rispetto all'euro, non rispetto al dollaro, poichè Schauble è evidentemente preoccupato del vantaggio di competitività attribuito alla Germania dal valore fisso dell'euro rispetto alle valute correnti negli altri Stati dell'UEM, rimanga o meno l'euro per taluni di esso; infatti, in caso di un "collasso" della moneta unica, questa - o le neovalute comunque risultanti- si svaluterebbero simmetricamente rispetto al neo-marco, facendo perdere alla Germania gran parte della competitività di prezzo accumulata a svantaggio dei partners europei con cui principalmente commersia, esportando), danneggiando seriamente l'economia tedesca guidata dalle esportazioni". La fine dell’euro è inaccettabile per la Germania perchè il nuovo marco sarebbe troppo rivalutato e danneggerebbe l’economia tedesca basata sull’esportazione. Quindi tutti i sacrifici che i tedeschi dicono di fare, o di aver fatto, non esistono. Stanno agendo solo nel proprio interesse e chi in Italia continua a difendere l’euro, in realtà, sta continuando a difendere gli interessi dei tedeschi! Semplice, chiaro e lineare."
7. Prosegue il commento del sito sopra citato (sempre integrato dalla traduzione in italiano):
"Il problema in quel momento poteva essere l’indecisione della Merkel sullo ERF:
“Nell'opinione di un individuo ben informato, la Merkel proseguirà a studiare lo European Redemption Plan e altre opzioni politiche, ma Schauble teme che ella ritarderà ogni azione decisiva". Schaeuble temeva che la Merkel non prendesse una iniziativa a favore del ERF. Allora chi entra in campo? “Egli (Schaeuble) fa notare che il primo ministro italiano Mario Monti, che è vicino alla Merkel, stia dando l'allarme sul bisogno di un'azione mentre l'UE scivola nella recessione” Quindi Schaeuble utilizzerà Monti per convincere il proprio cancelliere a muoversi sul ERF.
Come sapete ERF, Two Pack, Six Pack, obbligo di pareggio di bilancio etc., sono stati fatti cosi come voleva Schaeuble, ed allo stesso modo fu guidata la politica nei confronti della Grecia nei sei mesi del governo Varoufakis/Tspiras del 2015. ERF rimane una specie di “Minaccia Fantasma” che oggettivamente impedisce lo sviluppo dell’Italia, insieme all’euro che, ora sappiamo dalla sua stessa diretta voce, è per Schaeuble, il principale regalo fatto ai tedeschi."
8. Per chi non avesse ancora acquisito le corrette informazioni, chiariamo la genesi e il funzionamento dello European Redemption Fund.
L'idea è nata da un gruppo di esperti istituito dalla Commissione europea e presieduto dall'ex governatore della Banca Centrale Austriaca, Gertrude Trumpel-Gugerell, sulla base della proposta originaria avanzata alla fine del 2011 dal consiglio di esperti economici tedeschi (German Council of Economic Experts) per trovare una soluzione alla crisi dei debiti sovrani.
Questa iniziativa, ha avuto una prima approvazione (su un progetto "preliminare", quello del Consiglio del esperti economici della Merkel) del parlamento europeo il 13 giugno 2012, nell'ambito della discussione sul two-packs (che definisce i poteri della Commissione stessa di verifica e controllo preventivo sui bilanci annuali dei singoli Stati dell'euro-zona), in base alla c.d. Relazione Ferreira (approvata col voto favorevole del 74% del PE inclusa la maggior parte degli europarlamentari italiani).

La proposta, a monte di tutto, dunque, era stata formulata dal Consiglio degli esperti economici della Cancelleria tedesca Angela Merkel, e prevedeva, in linea di massima, di far confluire nel Fondo l’importo dei debiti pubblici degli Stati dell’Eurozona per la parte eccedente il 60% del PIL.

Successivamente, essendo rimasto sulla carta (a differenza della procedura che introduce lo stringente potere di "veto" della Commissione sulle finanziarie annuali dei singoli Stati) per i motivi di "esitazione" tedesca sopra indicati (risalenti al 2012), la questione è stata approfondita nei suoi meccanismi e, nella nuova veste di proposta più operativa, è stata riapprovata dallo stesso Parlamento europeo nel 2014.
Vediamo come ci si è arrivati.

9. Il 2 luglio 2012, la Commissione UE incaricava un gruppo di studio composto da esperti austro-tedeschi di elaborare un ulteriore draft di dettaglio dello stesso fondo di "redenzione", lungo le linee della prima proposta dei consiglieri economici della Merkel, culminata nella sopra menzionata relazione Ferreira, appunto approvata dal parlamento UE pochi giorni prima, nel giugno 2012).
Lo studio veniva consegnato nel marzo 2014 alla Commissione ("committente"), "ma poi, a seguito delle forti critiche e delle imminenti elezioni europee, era stata archiviato.
. .
Peraltro, passate le elezioni "il (neo)presidente del Parlamento europeo Martin Schulz ha tolto la polvere ai cassetti e ha ripreso in mano la proposta. In una lettera inviata...al Presidente della Commissione Jean-Claude Juncker l'ERF viene citato come elemento chiave della riforma dell'attuale sistema di governance economica europea. Ecco il documento, all'ultimo punto del paragrafo 4 il riferimento al Fondo di Redenzione."
Attualmente, tuttavia, va detto che nonostante il (doppio) parere favorevole del parlamento UE, la Commissione non ha ancora proceduto a formalizzare una proposta da tradurre in una nuova bozza di trattato "derivato", come il fiscal compact (di cui, come vedremo, l'ERF è un sostanziale strumento di esecuzione coattiva), ovvero in una direttiva obbligatoria per gli Stati dell'Eurogruppo, come nel caso della Unione bancaria e del conseguente meccanismo del bail-in (notoriamente recepita, tale direttiva, nel settembre del 2015 mentre il relativo decreto delegato è operativo, con le conseguenze cui stiamo appena assistendo, dal 1° gennaio 2015).

10. Va detto che un motivo "assorbente" per cui, attualmente, non si spinge in modo attuale sull'ERF, da parte della Commissione e dell'Eurogruppo, pare risiedere nel Quantitative easing lanciato dalla BCE e operativo da marzo.
Recentemente, il QE è stato esteso, secondo quanto annunciato dallo stesso Draghi, dalla sua originaria scadenza, settembre 2016, a quella del marzo 2017
.
La caduta dei rendimenti (e quindi l'aumento dei prezzi di collocamento) dei titoli sovrani dell'eurozona (eccettuati quelli dello Stato greco, non ammissibile al programma perché monitorato nell'attuazione dei memorandum rientranti nella condizionalità speciale imposta in cambio delle linee di cresito dell'ESM, come visto prima), fanno sì che l'immediata utilità del fondo di "redenzione" non sia spendibile per indurre gli Stati ad attualizzarne il funzionamento.
Venuto, transitoriamente, meno l'unico e parziale vantaggio prospettabile (la diminuzione dei tassi di rendimento dei titoli sovrani), rimarrebbe infatti, con tutto il suo peso, il resto del meccanismo di esecuzione forzata.
Ma questo, appunto, può valere solo fino alla fine del QE, cioè ancora per circa 15 mesi (allo stato delle decisioni della BCE).

11. Quanto al funzionamento dell'ERF, per chi non lo avesse ancora approfondito, si articola sui seguenti punti:
a) ciascuno Stato conferisce al fondo il debito eccedente il limite del 60% del PIL;
b) il fondo prende in carico tali titoli emettendo in loro sostituzione titoli garantiti, verso i sottoscrittori, dall'egida di una istituzione finanziaria europea (e che quindi possono fruire, presso gli investitori delle istituzoni finanziarie internazionali private, di alti prezzi di collocamento e non sottoposti agli spread differenziati che avrebbero subito i vari Stati UEM separatamente impegnati a emettere propri titoli);
c) tuttavia, ciascun Stato aderente, a fronte del risparmio sugli interessi passivi, garantisce, a sua volta, verso il Fondo, l'esatta applicazione del fiscal compact nella parte in cui prevede la diminuzione nella tendenziale misura di 1/20° annuo del proprio debito eccedente il 60% del PIL. Questo, dunque, è lo scopo effettivo dell'ERF: un'attuazione puntuale e garantita dello stesso fiscal compact. Infatti:
c.1) ogni anno, il fondo (una volta a regime entro un periodo di avvio di 5 anni), divenuto comunque il nuovo e unico creditore dello Stato per quanto riguarda i titoli conferiti, pretende la restituzione definitiva del relativo ammontare nella prevista misura di 1/20° e si premunisce della immancabilità di tale estinzione progressiva del debito mediante una serie di garanzie immediatamente escutibili (cioè incassabili; a fronte di ciò dovrebbero complessivamente diminuire in misura corrispondente di 1/20°, e fino alla totale estinzione in 20 (o 25) anni, dei titoli, cioè delle passività, che emette il fondo medesimo;
c.2) queste garanzie sono, infatti, costituite da:
a) dal gettito delle imposte nazionali in una misura adeguata, vincolata al pagamento verso il Fondo nello stesso modo in cui lo sono uno stipendio o un conto corrente che vengano pignorati in attesa dell'assegnazione al creditore; tale "pignoramento" (preventiuvo e potenzialmente ultraventennale) dovrebbe essere stabilito intorno al 5/6% annuo delle entrate statali (privilegiando l'imposizione indiretta; ad es, l'IVA);
b) il ricavato della vendita, mediante privatizzazione, di ogni genere di assets pubblici dello Stato garante; le privatizzazioni avrebbero così una destinazione vincolata e privilegiata a favore del fondo e immancabilmente nella misura di volta in volta necessaria (calibrata sulla discrezionale misura in cui il Fondo stesso non si approprierà integralmente del gettito fiscale di cui al punto a), lasciando cioè allo Stato la scelta tra quante entrate sottrarre ai compiti essenziali di erogazione di servizi essenziali ai propri cittadini e la devoluzione del risultato di privatizzazioni obbligate e, in condizioni di carenza di liquidità degli operatori nazionali, destinare a fnire n svendita a mani estere (v. aeroporti greci, questa stessa estate);
c) l'oro e la valuta pregiata detenute dalla banca centrale dello Stato aderente.

12. Va subito detto che, una volta divenuto debitore non più per i propri titoli (che verrebbero estinti dal conferimento al Fondo) ma in forza del rapporto, coattivo e "garantito", instaurato col Fondo stesso, dovrà restituire la somma dovuta annualmente (ciascuna rata ventennale) in valuta sottoposta alla disciplina europea, quindi in euro o, in caso di euro-break, nella valuta stabilita dalle clausole di dettaglio dello statuto (o trattato) ERF.

Quindi, per una parte consistente del suo debito, - per l'Italia si tratta di più della metà (allo stato, circa il 75% del PIL)-, lo Stato coinvolto non potrà più avvantaggiarsi dell'eventuale ritorno alla propria valuta nazionale e della conseguente "svalutabilità" del debito da restituzione dei propri titoli sovrani, in base alla lex monetae che contraddistingue(va) la stragrande maggioranza dei contratti di emissione dei titoli del debito pubblico.
Ciò costituisce un ulteriore appensantimento del vincolo monetario connesso all'euro e un aggravamento della sua privazione di sovranità, non giustificabile in alcun modo alla luce dell'art.11 Cost., mettendo a repentaglio le sue possibilità di ripresa in caso di uscita dalla moneta unica: il debito in valuta estera (da sommare ai debiti commerciali privati a breve termine per le precedenti transazioni commerciali con ogni tipo di partner, non soggette alla lex monetae), arriverebbe infatti ad una tale misura da aggravare le condizioni di ristabilimento di un corso adeguato della neo-valuta nazionale, ponendosi un'esigenza disperata di avere riserve di valuta "pregiata.
Ma questa disponibilità di valuta estera sarebbe già erosa, se non del tutto annullata, dall'averla offerta in garanzia al Fondo stesso, come visto sopra.

13. Ma, va detto, difficilmente, , sarebbe realizzabile una restituzione della rata annuale essendo, per di più simultaneamente assoggettati al pareggio di bilancio (cosa inscindibile dal fiscal compact, recepito in parte qua in Costituzione).
Va infatti tenuto presente che l'Italia, attualmente, realizza un saldo primario di pubblico bilancio pari a circa 2 punti di PIL (3 nella migliore delle ipotesi pronosticabile nelle attuali condizioni di bassa crescita).
Va poi ricordato, che l'onere degli interessi passivi è oggi mitigato dal QE (cioè dagli acquisti della BCE): ma, con ogni probabilità, salvo quanto vedremo tra un poco, l'ERF si applicherebbe solo una volta che fosse terminata tale politica monetaria espansiva "non convenzionale" (si dice).
Risultato: se pure si potesse fruire di minori interessi sulla parte del debito "eccedentaria"conferito all'ERF, tuttavia,sul rimanente 60% il livello dei tassi, cioè degli spread, sarebbe comunque potenzialmente crescente, e proprio dopo la fine del QE e per le condizioni economiche che deriverebbero dall'applicazione dell'ERF medesimo, come nel caso della Grecia visto più sopra.

14.Basti dire, nell'ipotesi più lineare, che immaginando benevolmente un onere complessivo del debito pubblico, almeno nei primi e cruciali anni di applicazione dell'ERF, non superiore a quello attuale (in pieno QE), cioè di circa 5,5 punti di PIL, dovremmo simultaneamente:
a) raggiungere il pareggio di bilancio.. Teoricamente dal 2017, ma comunque, anche se così non fosse (proroga al 2018 del "pareggio", per concessione di "flessibilità" da parte della Commissione UE), sempre dovendo realizzare forti riduzioni del deficit annuo, (altrimenti essendo sanzionati con procedura di infrazione e strali dei "mercati" nel collocamento del debito non conferito);
b) corrispondere la rata annua della restituzione di 1/20° del debito conferito pari a circa 2/3 del nostro PIL, attraverso la "assegnazione" al Fondo creditore del 5/6% delle entrate tributarie, equivalenti a circa 2,5-3 punti di PIL.

15. Questo insieme di obblighi, derivanti dall'agire simultaneo del pareggio di bilancio-fiscal compact e dal Fondo come strumento coattivo di escussione della riduzione del debito pubblico, ci obbligherebbero a dei surplus di bilancio, cioè a dei saldi primari del settore pubblico, pari a circa 8 punti di PIL (cioè pari all'intero ammontare dell'onere degli interessi più la rata di restituzione in ventesimi del 75% del PIL).

Una misura mai realizzata da nessun paese nella storia dell'economia e che andrebbe ad assomarsi al cumulo record mondiale di precedenti saldi primari registrati dall'Italia a partire dal 1992, a costo di una forte compressione del PIL, rispetto al pieno impiego dei precedenti fattori della produzione nazionali (che ha determinato un costante out-put gap, cioè di minore crescita e di deindustriliazzazione, all'interno dell'UE e dei suoi criteri fiscali, di convergenza prima e di mantenimento della moneta unica poi).

Ma siccome sottoponendoci immediatamente, e "a regime", (almeno per i primi anni) a una simile politica di bilancio, ne deriverebbe una feroce recessione, come accade in Grecia ma in misura ancora più violenta (dato che la Grecia non è tenuta, per evidente impossibilità, a realizzare tali livelli distruttivi di avanzo primario), la flessione del PIL farebbe riaumentare il rapporto debito pubblico per caduta del numeratore del rapporto, riportandoci rapidamente oltre il 60% nella parte di debito non conferita all'ERF!
Una follia talmente evidente che non ci vorrebbe un genio dell'economia per comprenderla.

16. Questa evenienza era stata ben segnalata da Krugman sul caso Grecia, in questi termini che, per i "conti pubblici" che presenta l'Itali,a sarebbero da "traslare" verso un effetto recessivo di dimensioni ben maggiori, dato che, come abbiamo visto, il nostro saldo primario sarebbe da incrementare annualmente di circa 6 punti, nelle condizioni attuali:
"Supponiamo...che si parlasse di aumentare permanentemente il saldo primario di un punto di PIL. Come ho scritto in precedenza, e come rileva Simon Wren-Lewis, data la mancanza di una politica monetaria indipendente, ottenere un surplus primario richiede molto più di un'austerità in "rapporto 1 a 1". In effetti, una buona ipotesi è che occorra tagliare la spesa pubblica del 2% del PIL, dato che l'austerità riduce l'economia e le entrate tributarie. Ciò, a sua volta, significa che si riduce l'economia intorno al 3%. Così, un 3% di colpo inferto al PIL per aumentare il saldo primario di 1.
Ma un'economia ridotta implica che il rapporto debito/PIL vada inizialmente in aumento. Ed infatti, dato il punto di partenza della Grecia, con un debito al 170% del PIL, l'effetto avverso dell'austerità significa che cercare di innalzare di 1 punto il saldo primario determina la crescita del rapporto debito/PIL di 5 punti (0,03x170). Questo suggerirebbe che ci vorrebbero 5 anni di austerità per avere la ratio del debito nuovamente al livello in cui sarebbe stata in assenza di austerità. Ma, aspettate, c'è di più. Associamo Irving Fischer alla discussione. Un'economia più debole porterà a minor inflazione (o a una più intensa deflazione), che, anch'essa, tende a innalzare il rapporto debito/PIL.


17. Ma, va anche aggiunto, la prospettiva di essere assoggettati a questo grado di condizionalità, rispetto al 2017, cioè rispetto a quando finirà il QE (si suppone), potrebbe essere ancora più imminente, poichè essa non è legata solo al probabile "ritorno di fiamma" tedesco (cioè delle istituzioni UE-M che comunque sono sollecite ad realizzare le strategie di Schauble, come abbiamo visto dai memo della Clinton) sull'ERF nel 2017.
.
Infatti, l'attuale situazione bancaria, con il dilagare inarrestabile di sofferenze bancarie e della loro incubatrice degli incagli (le prime giunte a 210 miliardi, i secondi intorno ai 380 miliardi), potrebbero metterci in condizione di avere due alternative tragedie altrettanto incombenti.
Ovvero la prima è quella di assistere alla crisi sistemica del settore bancario, che potrebbe, ad esempio, essere innescata dai casi Monte dei Paschi e Carige, visti i drammatici eventi borsistici che si stanno attualmente registrando, ma senza poter effettuare alcun bail-out: e non solo perché non sarebbe consentito dal "meccanismo di risoluzione" bancaria detto bail-in, ma perché i vincoli di bilancio che ci mettono in difficoltà crescenti con la Commissione già in questi primi giorni del 2016, non ce lo consentirebbero.
.
E dunque, la distruzione di risparmio di obbligazionisti e correntisti, cioè di piccoli risparmiatori si presume non ad alto reddito, innescherebbe una recessione altrettanto pandemica a seguito della c.d. propensione marginale al consumo della ricchezza (mobiliare) che incide direttamente sul PIL appunto, in termini di repentina contrazione dei consumi.
Effetto recessivo non trascurabile pure nella seconda ipotesi, che si verificherebbe egualmente se, in alternativa al lassez-faire, che tanto amano i liberisti nostrani, si decidesse di intervenire, in bail-out, ricapitalizzando per mano pubblica il sistema bancario (per evitare il super-contagio), ricorrendo, per finanziare tale intervento, ad una forte imposizione patrimoniale straordinaria.


18. Rimane poi anche l'ulteriore prospettiva di anticipato effetto di liquidazione del sistema Italia (rispetto alla evenienza di adesione all'ERF): quello auspicato da Lars Feld (un "eminente" membro del Consiglio degli esperti del governo tedesco che ha escogitato l'ERF) che, dicendosi (ridendo) certo che il nostro sistema bancario entrerà in crisi, prevede che dovremo rivolgerci allo European Stability Mechanism- ESM, cioè quello che opera come parte europea della trojka nel caso Grecia

In questo caso, al "salvataggio" di parte dei conti correnti, si accompagnerebbero le condizionalità già viste nel caso Grecia con gli effetti sopra riportati indicati da Krugman.



19. Infine, ma di non minore importanza, non ho affrontato, - in presenza di tale situazione di vincoli intrecciati determinati dal far parte della moneta unica,in particolare determinata da austerità fiscale intransigente unita al divieto di bail-out bancario -, il problema dell'assunzione di rischio da default posto a carico delle singole banche centrali nazionali, del sistema europeo (SEBC), a seguito del modo in cui è stato congegnato il Quantitative easing: le banche centrali, quale che sia il "destino" dei titoli sovrani nazionali a cui la BCE la fornito la liquidità per acquistarli, sono comunque tenute, alle varie scadenze, a restituire esattamente la provvista in euro che erano state autorizzate ad emettere (provvista che, però, figura fin dall'emissione come debito, espresso in euro e restituibile solo in tale divisa, della banca centrale nazionale verso quella europea).

.
E non è detto che, - poiché a quanto pare non si può uscire dall'euro perché altrimenti, si dice, avremmo grandi difficoltà economiche (inflazione, non ben indicata e mentre non riusciamo uscire dalla deflazione, nonché presunte difficoltà di collocamento del debito pubblico sui mercati)-, non riceveremo tutto il trattamento che l'ostinazione a rimanere nell'euro ci riserva: prima la crisi bancaria col ricorso alla tassazione patrimoniale straordinaria e distruttiva o il ricorso all'ESM (trattamento Grecia), e poi, dal 2018 anche una "intelligente" adesione all'ERF e il trattamento del "pignorato", con la smobilitazione definitiva dell'economia italiana
...

Ma anche con la liquidazione finale del benessere minimo dei cittadini italiani che, come minimo dovrebbero rinunciare a pensioni e sanità; pubbliche naturalmente, perché col TTIP comunque dovremo privatizzarle.



Pubblicato da Quarantotto a 20:26 58 commenti: Invia tramite emailPostalo sul blogCondividi su TwitterCondividi su FacebookCondividi su Pinterest
 

mototopo

Forumer storico
naio 15, 2016 posted by Fabio Lugano
IL QE EUROPEO: IL DENARO TORNA ALLA BCE E NON ENTRA NELL’ECONOMIA REALE


In questi giorni è uscito il rapporto CER sull’efficiacia del QE. Ricordiamo che il QE della BCE , iniziato nel 2o014 prevedeva inizialmente solo l’acquisto di titoli ABS emessi a seguito di cartolarizzazioni di prestiti a imprese e famiglie , il cosiddetto Asset-Backed Securities Purchase Programme (ABSPP) ed obbligazioni bancarie garantite dette covered bond con il Covered Bond Purchase Programme (CBPP3). Purtroppo tutto questo non si è rivelato efficace nè nel rilancio della crescita economica nè ha permesso alla BCE di raggiungere i propri obiettivi inflazionistici, per cui ad inizio 2015 è stato inaugurato l’ Expanded Asset Purchase Programme (EAPP), quella fetta di QE che può acquistare titoli di stato sul mercato secondario (l’intervento nel mercato primario è vietato dallo statuto della BCE) che, a dicembre 2015, è stato ampliato all’acquisto di bond sul mercato dei titoli emessi da enti locali.
Purtroppo anche questi programmi non sono riusciti ad ottenere l’obiettivo desiderato. Vediamo come è stato l’andamento dell’inflazione nell’area euro


I programmi ABSPP , CBPP3 e EAPP forniscono liquidità al sistema bancario tramite l’acquisto dei titoli e delle cartolarizzazioni in mano alle banche. Gli istituti di credito dovrebbero quindi reimpiegare queste risorse nell’economia reale,ma cosa accade nella realtà ?
Ecco un interessantissimo grafico del CER che mostra da un lato le risorse della BCE devolute tramite il QE e dall’altra i depositi degli istituti di credito presso la BCE stessa:

Vediamo come al crescere delle risorse poste nel QE crescono anche le risorse depositate nella banca centrale. A fine 2015 solo il 34% delle risorse del QE non è tornato alla BCE sotto forma di deposito overnight. ;Le banche preferiscono ridepositare i soldi ottenuti piuttosto che utilizzarli nell’economia reale. preferiscono pagare lo 0,3% (i tassi overnight della BCE sono pari a -0,3%) piuttosto che ottenere una remunerazione svolgendo quella che dovrebbe essere la loro attività tipica d’impresa.
A questo punto la BCE dovrebbe intervenire in modo diretto nell’economia reale, acquistando il debito privato, per avere qualche forma di effetto… Insomma la BCE dovrebbe diventare una banca commerciale. Sarà questa la prossima invenzione di Draghi ?
Saluti
 

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