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« La Costituzione tradita, i Trattati UE sono illegittimi


mar02

Non è un dirigente dell’Agenzia Entrate a firmare l’accertamento? L’atto è nullo.

Categorie: In Evidenza, Tasse ed imposte


[URL="http://www.salviamogliitaliani.it/non-e-un-dirigente-dellagenzia-entrate-firmare-laccertamento-latto-e-nullo/?utm_medium=referral&utm_source=pulsenews#"]2[/URL]

di Marco Avv. Mori e Laura Avv. Muzio –
Segnaliamo un’ulteriore possibilità che sembra delinearsi nelle opposizioni avverso gli accertamenti dell’Agenzia delle Entrate. Trattasi di una linea difensiva che trova il pieno supporto della normativa vigente in materia e che dunque desta notevole interesse.
L’eccezione in esame è quella del difetto di attribuzione, cioè della mancanza di potere di firma in capo alla persona fisica che materialmente sottoscrive un accertamento. Utile sapere che capita molto spesso, su Genova ad esempio nella quasi totalità degli accertamenti da noi esaminati, che l’atto impositivo venga sottoscritto da un mero delegato non inquadrato nell’ambito del personale di carriera direttiva dell’Ufficio.
Vediamo le norme di riferimento per la questione che sono fortunatamente molto chiare e non lasciando davvero margine a dubbi.
L’art. 42 comma 1 DPR n. 600/1973 dispone: “Gli accertamenti in rettifica e gli accertamenti d’ufficio sono portati a conoscenza dei contribuenti mediante la notificazione di avvisi sottoscritti dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato. L’avviso di accertamento deve recare l’indicazione dell’imponibile o degli imponibili accertati, delle aliquote applicate e delle imposte liquidate, al lordo e al netto delle detrazioni, delle ritenute di acconto e dei crediti d’imposta, e deve essere motivato in relazione ai presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e in relazione a quanto stabilito dalle disposizioni di cui ai precedenti articoli che sono state applicate, con distinto riferimento ai singoli redditi delle varie categorie e con la specifica indicazione dei fatti e delle circostanze che giustificano il ricorso a metodi induttivi o sintetici e delle ragioni del mancato riconoscimento di deduzioni e detrazioni. Se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale.
L’accertamento è nullo se l’avviso non reca la sottoscrizione, le indicazioni, la motivazione di cui al presente articolo e ad esso non è allegata la documentazione di cui all’ultimo periodo del secondo comma”.
L’art. 21-septies L. n. 241/1990 così stabilisce: E’ nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge.”
Da queste due semplici norme comprendiamo quanto segue: gli avvisi di accertamento devono essere sottoscritti o dal capo dell’ufficio che emette l’atto o da un altro impiegato che sia stato delegato dal capo dell’ufficio, ma tale impiegato delegato deve appartenere alla carriera direttiva, in altre parole non può essere un semplice funzionario.
Se manca questo requisito della firma apposta da chi è titolato a farlo la pena è la nullità del provvedimento, poiché viziato da cd difetto assoluto di attribuzione.
Nella prassi, sostanzialmente tutti gli avvisi di accertamento che abbiamo visto fino ad oggi, recano in calce, come indicazione di chi sottoscrive, la seguente dicitura: “Il capo area per delega del direttore provinciale” seguita dal nome di chi materialmente firma, cioè questo fantomatico capo area.
Approfondendo la questione ed esaminando i documenti che Agenzia delle Entrate produce ogni qual volta si solleva la nullità dell’atto per difetto assoluto di attribuzione, siamo giunti spesso a scoprire che il cosiddetto “capo area” che firma l’avviso su delega del direttore provinciale non è affatto un impiegato della carriera direttiva come richiederebbe la norma, ma è più spesso un semplice funzionario per nulla inquadrato a livello direttivo.
Ecco che allora si configura a tutti gli effetti il difetto assoluto di attribuzione con la conseguenza che l’avviso di accertamento andrà annullato anche già soltanto per questo motivo.
Trattandosi di un motivo di nullità dell’accertamento (dunque opponibile in Commissione Tributaria nei tempi brevi di 60 giorni dal ricevimento notifica), il consiglio che possiamo dare è quello di non perdere tempo in verifiche (si faranno successivamente) ed eccepire sempre e comunque l’illegittimità, nullità e/o annullabilità dell’avviso di accertamento ricevuto per violazione degli artt. 42 DPR n. 600/1973 e 21 septies L. 241/1990 per difetto assoluto di attribuzione senza fornire nessuna ulteriore spiegazione.
In questo modo l’ente emittente potrebbe (dovrebbe, onere della prova è dell’Ufficio in caso di firma per delega) produrre anche spontaneamente la documentazione atta a dimostrare la legittimità e la titolarità del potere di firma in capo a chi ha sottoscritto l’atto consentendoci (accade davvero spesso) di scoprire che, in realtà, il delegato alla firma non è un impiegato della carriera direttiva.
Vale la pena di formulare sempre questo motivo di ricorso quando si impugna l’atto ricevuto.
La Cassazione condivide tale impostazione: L’avviso di accertamento è nullo, ai sensi dell’art. 42 del DPR 29 settembre 1973 (omissis…), se non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato. Se la sottoscrizione non è quella del titolare dell’ufficio, incombe all’Amministrazione dimostrare, in caso di contestazione, il corretto esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore e la presenza della delega del titolare dell’ufficio (Cass. Civ. Sez. V, 5.09.2014 n. 18758).
 

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by Maurizio Gustinicchi
DRAGHI INIZIA……..IL Q.E. CHE CONSENTE ALLE BANCHE CENTRALI DI ACQUISTARE TITOLI DI STATO SU LARGA SCALA


SCENARIECONOMICI, in occasione dell’intervista televisiva della propria punta di diamante (Prof. Rinaldi) riposta, opportunamente modificato, un pezzo relativo al Q.E.​
MA IL Q.E. E’ DAVVERO DI DRAGHI E DELLA BCE O NON E’ PIUTTOSTO UN Q.E. SOVRANO?
Il QE di Draghi consiste in una somma di 60 mld al mese per 18 mesi fino a settembre 2016 per l’acquisti di titoli di Stato (per l’Italia una quota del 17.48% di 60mld ) ma anche privati, ma attenzione…..​
a differenza dalle altre banche centrali come quella americana, inglese o giapponese, quella europea garantirà solo al 20% ovvero condividerà i rischi con gli altri Stati solo per la percentuale indicata. In poche parole, nel caso italiano ad esempio, la Banca d’Italia dovrà accollarsi i rischi dell’acquisto dei titoli di Stato per l’80% il restante verrà acquistato dalla BCE che ne condividerà i rischi. Pertanto su una cifra di circa 10.488 mld al mese in acquisto di titoli di Stato e privati, la Banca d’Italia dovrà garantire (ovvero noi) un cifra intorno a 8.39 mld mentre solo 2.09 circa garantiti dalla BCE. Visto le proporzioni delle due banche centrali, per logica le percentuali di garanzia dovrebbero almeno essere il contrario.
MA ALLORA, STAMPIAMO MONETA COLLETTIVIZZANDO I RISCHI O PIUTTOSTO SI TRATTA DI UN ATTACCO ALLE NOSTRE RISERVE AURIFERE ?
Ovvio che le riserve auree della Banca d’Italia, ovvero del popolo italiano, si prevede vadano in garanzia per un eventuale default e/o rottura dell’euro.​
Che senso ha per l’Italia farsi praticamente un QE da solo all’80% rimanendo nell’eurozona con una moneta ormai frammentata come del resto ammesso da Amato? Non sarebbe meglio un QE tutto italiano ma con propria moneta sovrana in grado di monetizzare il nostro debito come fino al 1981 anno del divorzio Banca d’Italia- Tesoro?
 
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L’ABI E LE RISORSE NASCOSTE DEL BANKING: Dedicato ai bancari e ai loro sindacalisti, che lottano contro il degrado del contratto di lavoro





Posted on 08/02/2015
http://marcodellaluna.info/sito/2015/02/08/le-risorse-nascoste-del-banking/ Si è aperta una non rosea stagione di trattative sindacali. ABI ha disdetto il contratto nazionale di lavoro dei bancari adducendo esigenze di innovazione nei servizi e risparmio sul personale, a seguito di un calo degli utili in uno scenario generalmente depresso e di deterioramento dei crediti. Quindi, o meno salario, o meno occupazione. Ma questo principio si può e si deve concretamente rovesciare, perché la torta è… più larga di quanto si è abituati a pensare, e di quanto vorrebbe far intendere il documento denominato Posizione ABI sui temi principali del rinnovo contrattuale, “Perimetro contrattuale” e trattamento economico.
Col presente articolo intendo fornire conoscenze che cambiano strutturalmente e in positivo le premesse delle trattative, rivelando risorse scientificamente accertate e insite nel banking, da diffondere tra i colleghi bancari e adoperare energicamente nel negoziato, siccome esse sono utili per ripensare tutta la situazione, e la loro attuale propagazione fa prevedere l’imminente richiesta di una profonda rettifica del modo di redigere il bilancio bancario, particolarmente in fatto di utili.
Non bisogna lasciarsi ingabbiare nella vulgata ABI della realtà aziendale (e con “vulgata” non mi riferisco al solo documento succitato, ma al complesso della dottrina economico-finanziaria che essa ha sposato), dal suo piano di psicologia aziendale applicato… a voi, lavoratori dipendenti.
Questa vulgata è formulata per impedire di parlare e persino di pensare su molti aspetti della realtà e per imporre una formulazione dei problemi in una chiave tale da pre-determinare, come esito, lo schiacciamento dei diritti e delle prospettive professionali, che è l’obiettivo datoriale. Un obiettivo che può essere raggiunto combinando due cose che gli ultimi governi (non eletti) hanno donato ai datori di lavoro: il diritto di cambiare le mansioni ai dipendenti (fungibilità) e il diritto di licenziare (quindi di porre i dipendenti sotto la minaccia di demansionamento e licenziamento). E’ prevedibile – proprio perché la controparte datoriale già si è preparata nel 2014 sia con una massiccia campagna di schede di valutazione negative, sia lamentando un problema di professionalità del personale bancario – che fra qualche tempo partirà un’ondata strumentale di spostamenti mansionali arbitrari, diretta a far apparire professionalmente inidonei anche coloro che sono invece idonei alle mansioni in cui sono stati formati e collocati, ma non nelle nuove mansioni (ad esempio, il funzionario addetto alla qualità del credito che viene ri-mansionato agestore affluent, o viceversa), allo scopo di creare il presupposto per licenziare. Sarà così possibile sbarazzarsi del personale ritenuto in eccesso o troppo costoso, e passare a una massiccia esternalizzazione attraverso società controllate che riservano al personale un trattamento di stretto risparmio – perché questo è il modello generale: comprimere i diritti salariali, previdenziali etc. dei dipendenti per migliorare i bilanci in funzione del mercato finanziario, ignorando quello macroeconomico, nel quale già si vede che questa politica del lavoro produce collasso dei redditi, della domanda aggregata, quindi dei ricavi e della solvibilità: una spirale recessiva.>Questo dovrebbe essere sempre tenuto e fatto presente: soprattutto se applicata per singole aziende, senza una visione aggregata, la logica del libero mercato finanziario produce disastri sul piano economico, cioè della produzione, dell’occupazione, dei redditi, perché è una logica di breve termine, di bilancio, che persegue ciecamente la compressione dei costi e trascura gli effetti distruttivi di lungo termine, sull’economia reale (tanto più che la finanza speculativa guadagna proprio sulle oscillazioni, sugli shock, non sulla stabilità, quindi non è da seguire). ABI non ha il diritto di agire con questa logica, siccome è un’associazione di imprese che esistono perché lo Stato ha dato loro la licenza bancaria ed esercitano in via esclusiva una funzione eminentemente pubblica, in virtù di una pubblica licenza bancaria, cioè la creazione e regolazione del credito l’economia nazionale, per la quale la finanza è un mezzo, non il fine; quindi ABI ha il dovere di agire con un’ottica nazionale, di lungo termine, con riguardo all’economia reale. Che non è quella del bilancio e della finanza.
Per rompere lo schema e uscire da questa gabbia concettuale, da questa prospettiva falsata ad hoc dalla controparte, non è necessario ricorrere allo sciopero. Vi sono altri mezzi, molto meno conflittuali e molto più adeguati ai tempi e al progresso dell’informazione. Mezzi che, a differenza dello sciopero, non comportano costi e sacrifici per i lavoratori, ma piuttosto a un lavoro di networking, di p.r. e, prima ancora, di apertura dei propri orizzonti culturali. Innanzitutto, visto che la controparte ABI lamenta scarsa professionalità, bisogna replicarle che “certe” banche da tempo non erogano più corsi e richiederle l’organizzazione di opportuni corsi, corsi certificati onde il datore di lavoro non possa disconoscerli, ricordandole che per questo la banca riceve fondi europei. Se non lo farà, smentirà se stessa. E sarà più facile per i licenziati impugnare vittoriosamente il licenziamento davanti ai giudici del lavoro. Anzi, si può studiare la possibilità di una class action per ottenere dal giudice l’ordine di provvedere alla formazione, o in subordine risarcire i danni conseguenti alla mancata formazione. Insomma, c’è spazio per mettere le mani avanti. Già una simile class action è stata avviata contro la Regione Sicilia.Ma in questo articolo vi voglio indicare e documentare anche un altro mezzo, credo ancora più potente.Un responsabile dell’ufficio fidi e mutui di una nota banca, nel 2007, dopo aver letto la prima edizione del mio saggio Euroschiavi, mi scrisse: «… un giorno, aprendo un fido su un c/c, mi sono chiesto: Ma ‘sti soldi, da dove cavolo vengono? È possibile che vengano creati solo battendo una serie di tasti sul PC?” Poi hanno cominciato ad arrivare le informazioni, quasi mi stessero aspettando…».
In proposito vi sono da tempo tre teorie:
La teoria ufficiale, recepita dal linguaggio delle leggi: la banca è un’intermediaria finanziaria, cioè presta i soldi della raccolta: tanto raccoglie, tanto può prestare. Da un lato riceve depositi, e dall’altro lato li presta, applicando una forbice di interessi, e guadagnando su questa e sulle commissioni; quindi, se presta 100, in bilancio deve registrare un calo di cassa di 100, e un incremento di 100 dei crediti. Ovviamente, ogni mancato rimborso dei prestiti concessi è una pari perdita. La quantità di liquidità, il money supply, è generata interamente dalla banca centrale di emissione e non dipende dalla quantità di credito erogato dalle banche.
La teoria per gli “istruiti”, insegnata a ragioneria e all’università, è quella della riserva frazionale: la singola banca può prestare un multiplo delle sue riserve, cioè può creare moneta creditizia o scritturale o contabile per un multiplo delle sue riserve – diciamo dieci volte – emettendo bonifici, lettere di credito, assegni etc. E siccome questi mezzi di pagamento possono essere depositati in altre banche (o su altro conto della medesima banca), andando così ad aumentare le loro riserve, essi mettono queste altre banche in condizioni di emettere ulteriore moneta contabile. L’effetto complessivo è di una moltiplicazione reciproca da parte del sistema bancario, in virtù della quale, se la banca centrale opera un incremento iniziale di 100 di moneta legale, con un moltiplicatore di 10 abbiamo un aumento di liquidità totale, nel sistema, di 9.900. La banca, quindi, non è un semplice intermediario finanziario, e l’uso di questa definizione, anche da parte dei testi di legge, è ingannevole. L’attività creditizia delle banche, comportando la creazione di mezzi monetari privati accettati anche dal settore pubblico (con l’assegno circolare della banca voi potete pagare le tasse o il prezzo di un terreno all’asta del tribunale), è in contrasto con la legge, ossia col Testo Unico Bancario, che concede alle banche licenza di intermediare (raccogliere e prestare) il risparmio ma non di creare moneta, e col Trattato di Maastricht, che, all’art. 105, riserva la creazione monetaria, sotto forma di banconote, al Sistema Europeo delle Banche Centrali. In ogni caso, poiché la banca, secondo questa teoria, intacca frazionalmente le sue riserve per erogare il prestito, necessariamente ad ogni erogazione le sue riserve in bilancio devono ridursi in proporzione al rapporto frazionario.La terza teoria è che la banca – ogni banca, individualmente – crei direttamente i mezzi monetari che presta,semplicemente aprendo un conto di disponibilità intestato al cliente e scrivendoci sopra l’importo che intende prestare, senza attingere dalla cassa e senza usare o intaccare le riserve. Quindi crea moneta creditizia al 100% ex nihilo e la presta. O più esattamente la crea con l’atto del metterla a disposizione o prestarla. Il prestato (il messo a disposizione) non preesiste al prestare (al mettere a disposizione). L’incompatibilità col Tub (che consente alle banche solo l’intermediazione) e con Maastricht (che riserva la monetazione alla BCE sotto forma di banconote) è totale. Questa è la teoria che esponevo in Euroschiavi e che indusse il vostro collega del settore fidi e mutui a scrivermi quelle poche ma significative righe di commento e conferma. Leggendo il mio libro, aveva capito che cosa realmente faceva quando erogava, ossia aveva capito che creava liquidità, e che questa capacità di creare mezzi monetari è la vera peculiarità della banca, conferita di fatto (anche se non di diritto) dalla licenza bancaria, e che rende il prestare della banca qualitativamente diverso dal prestare di qualsiasi altro soggetto, perché qualsiasi altro soggetto presta solo denaro che si è procurato in precedenza in cambio di qualcosa (oppure con una rapina, un furto, una frode…); sicché, se non recupera quanto ha prestato, soffre una perdita vera e propria, mentre la banca no, quindi può sopportare molto bene le perdite sui crediti e non ha bisogno di scaricarle sul trattamento salariale dei dipendenti o sui livelli occupazionali, né sui depositi dei clienti (bail in). Questo privilegio ha, come presto vedremo, ulteriori conseguenze su come dovrebbero essere formulati i bilanci in fatto di ricavi e sull’imponibile fiscale effettivo. Ma in generale tutta la faccenda delle della sorveglianza, crisi bancarie e dei rimedi ad esse, va riconsiderata.
Orbene, che le cose stiano come spiega questa terza teoria è stato dimostrato scientificamente dal prof. Richard Werner dell’Università di Southampton mediante un esperimento, che è stato filmato da una troupe televisiva. Su International Review of Financial Analysis – 36 (2014), Werner ha pubblicato un paper su questo esperimento1, col titolo Can banks individually create money out of nothing? – The theories and the empirical evidence (Possono le banche creare denaro dal nulla? Teorie e prove empiriche).L’esperimento è stato molto semplice: previo accordo con la Raiffeisenbank Wildenberg, una banca cooperativa della Bassa Baviera inserita in una rete di molte banche cooperative servite da un unico sistema contabile elettronico, il 07/08/13 Werner personalmente si fece erogare un mutuo di 200.000 Euro. Prima e dopo l’erogazione, e di nuovo il giorno dopo, egli si fece stampare il bilancio (balance sheet, situazione contabile) della banca per confrontare il suo stato (le singole voci contabili) prima e dopo l’erogazione del mutuo. Dal confronto tra le due situazioni, risultò che la banca aveva aumentato i propri crediti di 200.000 (a fronte della registrazione di una pari uscita), mentre non vi era stata alcuna variazione in meno vuoi delle riserve, come avverrebbe se fosse corrispondente alla realtà la teoria della riserva frazionaria, vuoi di alcun altro conto o fondo, e specificamente della voce “cassa”, come avverrebbe se fosse corrispondente alla realtà la teoria della banca come intermediaria. La banca aveva movimentato solo il nuovo conto.Quindi la banca aveva effettivamente aumentato il proprio attivo patrimoniale a costo zero proprio con l’atto del prestare. In effetti, aveva creato un conto di disponibilità in favore del mutuatario Werner e vi aveva digitato dentro un importo, accreditandosi al contempo la medesima somma. Sarebbe interessante controllare se, quando il prestito viene rimborsato, le varie banche cancellano o non cancellano questa posta attiva.
> La scritturazione contabile operata nell’erogazione da parte dei funzionari della banca registra :
EUR CREDIT LIABILITIES BALANCE
Current account 200,000
Loan 200,000 -200,000
Bank Sum Total 200,000 200,000 0,00

Cioè i mezzi monetari, l’oggetto del prestito, sono creati semplicemente registrando ex nihilo un debito contro un credito, con un’operazione contabile esclusiva e peculiare delle banche, che nessun altro operatore economico potrebbe compiere, e che nondimeno fa quadrare il bilancio. Ma – osservo io – a quanto ammontano i mezzi monetari così creati? A 200.000, cioè la “somma” prestata, o a 400.000, ossia a quelli prestati al cliente più il credito che la banca ha registrato a proprio avere? Se questo credito è in qualche modo utilizzabile dalla banca come (se fosse) moneta, allora la creazione monetaria totale che si fa nell’erogare un prestito di 200.000 è di 400.000.>Questo esperimento (il quale ha ulteriori aspetti e corollari, che per brevità qui tralascio) conferma la terza teoria sulla origine dei depositi bancari (della liquidità bancaria) confutando le altre due, cioè quella della banca come intermediaria finanziaria, e quella della riserva frazionaria, dato che ambedue ritengono che un prestito possa essere erogato soltanto usando denaro preesistente. D’altronde, per non citare me stesso2, già la Fed e la Bank of England, recentemente, avevano pubblicato papers3 da cui appare che il grosso, circa il 97% della liquidità (M1), consiste in denaro bancario privato (contabile, scritturale, creditizio), e solo il resto in legal tender, ossia moneta legale creata dalle banche centrali di emissione: euro-note. E molti l’avevano capito in occasione della crisi finanziaria del 2008, in quanto si spiegava che la causa del liquidity crunch (restrizione della liquidità) era… il credit crunch (restrizione del credito bancario). Quindi il money supply è creato dal prestito bancario e, dopotutto, Werner ha confermato, col suo esperimento, ciò che già si sapeva e vedeva. I tempi erano maturi. Ancora prima, l’economista Antonino (Nino) Galloni aveva formulato, in termini vicini a questi, un disegno complessivo di come la banca “produce” il credito-liquidità nel saggio Il futuro della banca – Lineamenti di teoria bancaria e finanziaria (Eurilink Roma 2014 – pp.11-26).
> Del resto, il funzionamento e la stessa esistenza di Target2, la piattaforma per pagamenti interbancari nell’Eurozona (e non solo), dimostrano che il denaro sui conti correnti bancari, anche se denominato “euro”, non è l’euro, e non è creato dalla BCE ma dalle banche dei singoli paesi aderenti. Infatti, se fosse l’euro “vero”, l’euro-valuta legale della BCE, per fare un bonifico di 1.000 euro dal mio conto corrente italiano a quello del mio fornitore in Germania, la mia banca opererebbe quando fa un bonifico a un altro conto corrente italiano, a un altro conto corrente ABI, anziché passare per Target2, cioè chiedere alla Banca d’Italia di prestarle 1.000 euro della BCE (e la Banca d’Italia lo fa indebitandosi verso la BCE), con cui viene eseguito l’accredito sul conto corrente tedesco. Infatti, l’euro vero disponibile al privato, ossia la banconota e il conio, è egualmente spendibile e accreditabile sui conti correnti direttamente (senza cioè passare per le banche centrali) in qualsiasi paese dell’Eurozona. Il che dimostra in modo diretto e compiuto, che gli “euro” segnati sui conti correnti italiani non sono veri euro (la valuta legale), non sono emessi dalla BCE, sono diversi anche dagli “euro” segnati sui conti correnti tedeschi (greci, spagnoli, finlandesi…), e non sono l’Euro, la valuta legale del SEBC, di Maastricht, l’unica ammessa e lecita. Sono una moneta privata, creata internamente a ciascun sistema bancario nazionale, e diversa per ogni sistema bancario (cioè per ogni paese). In Italia, sono la moneta dell’ABI. Contabilizzarla al medesimo modo e con la medesima denominazione dell’Euro vero, è scorretto, ingannevole, illecito. E’ un’elusione del Trattato di Maastricht.Dal punto di vista del bilancio, dei ricavi e dell’imponibile, le conseguenze sono facilmente immaginabili: l’importo prestato comporta automaticamente un ricavo di pari importo, quindi, se il bilancio un domani verrà fatto fedelmente, risulteranno maggiori gli utili e maggiore reddito. Sarebbe interessante controllare se, quando il prestito viene rimborsato, le varie banche cancellano o non cancellano questa posta attiva.E’ significativo che le tre teorie siano esistite fianco a fianco per molti decenni senza mai essere verificate sperimentalmente per accertare quale fosse quella vera. Evidentemente, è un tema molto delicato, sul quale si è preferito mantenere l’oscurità e la disinformazione, senza le quali non si potrebbe continuare a parlare, anche da parte del legislatore, delle banche come “intermediarie finanziarie” senza che la gente anche solo un poco esperta del settore si accorgesse dalla falsità di questa definizione, del contrasto tra le leggi in materia bancaria e ciò che le banche realmente fanno, e degli erronei presupposti tecnici degli interventi sulle crisi bancarie, i cui costi sono stati, nel mondo, scaricati principalmente sui conti pubblici (quindi sui contribuenti) e sui risparmiatori (bail-in), con effetti molto negativi sull’economia reale.Insomma, gli impatti di quanto sopra sulla macroeconomia sono notevoli, ma a voi, impiegati e funzionari di banca, oggi impegnati in una critica fase di ristrutturazione aziendale e di sfida ai vostri diritti di lavoratori da parte dell’ABI, non sarà certamente sfuggito che il conoscere questi dati di fatto è una potente arma di negoziato, per imporre nelle trattative che si parta da un piano di verità e che si rinunci, da parte datoriale, a presupposti fasulli, di falsa debolezza e di falsa impostazione contabile di comodo, oramai confutati sia dalla ricerca scientifica che da due primarie banche centrali. Oggi potete sbattere la prova della verità sul tavolo delle trattative, ma insieme dovete diffondere la conoscenza di questa verità, per far partire da essa un movimento di opinione e dibattito tra le categorie produttive, trai mezzi di informazione, tra gli economisti e i politici, così da renderla più forte e più efficace nelle vostre mani a tutela della vostra dignità e del vostro futuro. E diffonderla è facile e non costoso: internet, la rete delle conoscenze personali, i sindacalisti, i convegni e le conferenze stampa, Passaparola. Già oggi, attraverso i blog collegati, questo articolo raggiunge decine di migliaia di persone.>

08.02.15 Marco Della Luna
 

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<LI id=menu-item-2903 class="menu-item menu-item-type-taxonomy menu-item-object-category menu-item-2903">economia <LI id=menu-item-2905 class="menu-item menu-item-type-taxonomy menu-item-object-category menu-item-2905">Primo Piano <LI id=menu-item-2906 class="menu-item menu-item-type-taxonomy menu-item-object-category menu-item-2906">finanza <LI id=menu-item-2907 class="menu-item menu-item-type-taxonomy menu-item-object-category menu-item-2907">Uomo e dintorni <LI id=menu-item-2908 class="menu-item menu-item-type-taxonomy menu-item-object-category menu-item-2908">Imperialismo <LI id=menu-item-2909 class="menu-item menu-item-type-taxonomy menu-item-object-category menu-item-2909">Che fare? Se l’Italia non fosse mai entrata nell’Euro sarebbero stati guai per la Germania

Roberto.Nardella on March 3, 2015 — Leave a Comment
Una simulazione sull’andamento dei cambi nell’ultimo quarto di secolo mostra come senza l’unione monetaria l’Italia sarebbe potuta emergere come potenza industriale in Europa, ruolo che invece è oggi saldamente in mano alla Germania
Non so se uno studio simile sia mai stato fatto in Italia e ancor di più se sia mai stato commissionato da qualche politico più dubbioso e scettico di altri: nonostante abbia letto diversi libri e migliaia di articoli sull’argomento euro e UE non ne ho trovato alcuna traccia.
Sembra che le monete, la linfa vitale di uno Stato autodeterminato, non abbiano mai incuriosito troppo neanche gli addetti ai lavori. L’unico che ha parlato diffusamente dell’argomento in più di una trasmissione televisiva è stato l’imprenditore Ernesto Preatoni: ricordo di averlo sentito la prima volta dopo un paio di mesi che scrissi il mio primo pezzo sull’argomento nel novembre del 2013 e mi piace pensare che sia stato proprio il mio articolo a dargli lo spunto iniziale.
Spero che molti altri notabili riprendano l’argomento che per la sua importanza è fondamentale allo scopo di discernere le ragioni ed eventualmente le responsabilità che indussero chi ci ha governati dal 1978 in poi, spingendoci ad entrare prima nello SME (1978), poi nello SME credibile (1987) ed infine (road show della Lira 1996) nel ristretto club –frega il tuo vicino- €uro, non tenendo in alcuna considerazione evidenze empiriche già più che manifeste nei primi anni ’80 e sempre più evidenti nel corso degli anni a venire, oltretutto anche molto semplici da comprendere.
Premessa
Con questo semplice studio vi invito a verificare il valore contro dollaro USA e Marco tedesco delle singole monete dopo che, il 15 agosto 1971, il presidente statunitense Nixon annunciò al mondo l’eliminazione della convertibilità in oro fisico del dollaro, dando il famoso “liberi tutti”.
I risultati potrebbero sorprendere non poco, facendo capire a chi legge molte cose sulla condizione odierna, di come non sia caduta dal cielo per volontà divina e della incapacità assoluta o della palese malafede di tutti quei governanti, politici ed “economisti” greci, portoghesi, italiani e spagnoli in primis che hanno accettato, senza peraltro sentire il parere popolare, di aderire al folle progetto della moneta comune.
Tale studio, se effettuato anche solo nel 1978, dopo soli 7 anni dalla decisione di Nixon (ma prima dello SME che altro non era che l’anticamera dell’€uro) avrebbe sicuramente lasciato capire cosa avrebbe provocato a quelli che oggi vengono intesi, con disprezzo, i PIIGS. Sicuramente lo fece, tra i tanti altri studi, il compianto prof. Federico Caffè, poiché nel 1981 ci lasciò una delle sue frasi più celebri e lungimiranti: “Siamo entrati (L’Italia ndr) nello SME con la stessa incoscienza con la quale a suo tempo dichiarammo guerra agli USA”.
Chiaramente i “se” e i “ma” lasciano il tempo che trovano però è di estrema importanza CAPIRE che l’€uro è stato costruito in provetta come un virus letale con lo scopo di trasferire la ricchezza dal ceto lavoratore a quello della rendita da capitale.
Oltre a dirlo molti nobel e tantissimi economisti sarebbe bastato una studio simile, prodotto magari anche nel 1995 per evitare tale siffatto come la peste bubbonica, e non è un caso che Gran Bretagna, Svezia, Danimarca, Norvegia e Svizzera se ne videro bene dall’aderirvi all’epoca, mentre Polonia, Ungheria, repubblica Ceca ecc abbiano del tutto bloccato le loro adesioni oggi. Probabilmente questi Paesi hanno effettuato questo ed altri studi più complessi che, guarda caso, hanno portato tutti nella stessa direzione: tenersi ben stretta la sovranità monetaria, e nel caso di Norvegia e Svizzera non aderire neppure alla UE.
In quegli anni, nei PIIGS, si usò qualsiasi sistema per far andare al potere chi avrebbe sicuramente appoggiato la causa €uro-pea. In Italia con un maxi processo furono estromessi in un sol colpo i maggiori politici euro-scettici, prontamente rimpiazzati da quelli odierni che ben conosciamo: essi formarono un corpo unico ed omogeneo da destra a sinistra in grado di lasciar credere al popolo che fosse l’unica scelta possibile e negando allo stesso tempo un più che dovuto referendum sull’adozione o meno della moneta comune in Italia. (Craxi, che non era uno stinco di Santo, ebbe a dire dal rifugio di Amammeth “se tutto andrà bene, per l’Italia l’euro sarà un purgatorio. Ma se dovesse andar male sarà l’inferno”. Andreotti, invece, voleva così bene alla Germania da volerne DUE per sempre).
Una cavalcata lunga 26 anni
Dal 1953 (da quando sono disponibili i cambi storici) e sino a quel ferragosto del ‘71, escludendo le ovvie svalutazioni susseguenti una guerra (come per esempio accadde alla Francia nel 1957), atte a recuperare l’inflazione del periodo, il cambio delle principali valute contro il dollaro (e di conseguenza con l’oro fisico a cui le monete in definitiva erano ancora assoggettate) restava stabile. Vediamo cosa è accaduto in questi 26 anni.
Sono stato tacciato di pressapochismo poiché ci sono mila-ila-ila variabili che non sono state calcolate: a costoro, i NEGAZIONISTI di sempre, ricordo che in una dinamica di lungo periodo come quella presa in esame ne sono accadute milioni di “cose” imprevedibili, quali 2 gravi crisi petrolifere, un centinaio di guerre piccole o grandi, decine di colpi di stato, migliaia di attentati, disfacimenti di intere aree geopolitiche ed economiche tenute a forza con lo sputo, ricongiungimenti di nazioni prima separate, centinaia di interventi delle banche centrali, due gravi incidenti nucleari, 6 o 7 papi ecc.
Insomma tutto ciò che poteva accadere in 26 anni è accaduto in quei 26 anni.
Le dinamiche a questo servono: sono gli indicatori più precisi per poter azzardare previsioni a lungo termine. La scienza ci insegna che la dinamica temporale è l’unico metodo controfattuale che si può utilizzare a posteriori per capire il futuro: se in 25 anni i tumori del rione Tamburri di Taranto sono aumentati costantemente non sarà a causa del libeccio che ha tirato più forte ma di qualche altra cosa presente sul territorio più o meno dallo stesso periodo preso in esame. Qui non si parla di 3 o 5 o 10 anni ma di più di un quarto di secolo e considerando che l’avvento dell’era industriale ha festeggiato pressappoco il suo 200esimo compleanno si tratta comunque di un periodo non banale e pieno zeppo di avvenimenti che hanno segnato l’era contemporanea e il nostro vivere quotidiano.
Tab A
USD (dollaro USA) contro:
Valuta …… …16-08-1971…….1-1-1997……..…svalutaz % ….. svalut % annua
1) Dracma …….30,00………..247……………….725%…………….27,880%
2) Escudo……….28,43………….…156,4…….…….450%…………….17,300%
3) Lira………….627………………….1520………………..142,5%……………5,480%
4) Peseta……..69,41……………..130,13…………87,5%…………….3,360%
5) Sterlina………..0,4134……………0,5884……….42,3%…………….1,627%
6) Corona sve…..5,155…………6,886………33,5%…………….1,288%
7) Marco finl…….4,213…….………4,607……….9,3%…………….0,357%
8) Franco fran….5,505…….………5,192………-5,6%……………-0,215%
9) Corona nor…..7,077……….6,443………..-8,9%……………-0,342%
10)Corona DK …..7,49……………….5,85………-20,5%……………-0,788%
11)Franco B……49,6……….……….31,8………..-35,9%……………-1,380%
12)Fiorino NL…..3,44………………..1,73……….-49,6%……………-1,907%
13)Scellino A….24,87……………..10,85……….-56,6%……………-2,176%
14)Marco D……….3,833……………..1,539………-60%……………..-2,307%
15)Franco CH……4,050……………..1,350…….-66,67%…………..-2,564%
16)Yen Jap……357,42…………116,40……..-67,4%……………-2,592%
Tab B
DEM (Marco tedesco) contro:
Valuta ………. 16-08-1971……….1-1-1997….…svalutaz % ….. svalut % annua
1)Dracma ……….7,826……………….160,5……………1954%………….75,150%
2)Escudo ……….7,417….………….101,62…………..1270%………….48,840%
3)Lira …………163,58………………987,65……………504%………….19,384%
4)Peseta……….18,1………….………..84,55……………366%………….14,077%
5)Sterlina………..0,1078………………..0,3823………..257%…………..9,885%
6)Corona SK …..1,345…………………4,474……..….233%…………..8,961%
7)Marco finla….1,0991…….………….2,9935………..172%…………..6,615%
8)Dollaro USA….0,260……………….0,630…………150%…………..5,769%
9)Franco fran….1,436…………………3,374….……..135%…………..5,192%
10)Corona nor….1,8463…………….4,1865…..……127%…………..4,885%
11)Corona dan….1,954……………..3,866……………97%…………..3,730%
12)Franco bel…12,94…………………20,66…………….58%…………..2,230%
13)Fiorino NL….0,8975…………..….1,124……………26%…………..1,000%
14)Scellino A….6,488……………….7,050…………….8,6%…………0,330%
15)Franco CH…….1,056…………………0,877……….-17%………….-0,654%
16)Yen giap…….93,248…………….75,633…………-19%………….-0,730%
Dal confronto delle due tabelle possiamo notare che:
1) Nella Tab A il USD si è rivalutato verso 7 monete, molto pesantemente (più del 50%) verso Dracma, Escudo, Lira e Peseta, mentre si è svalutato verso le altre 9, molto pesantemente (intorno al 50%) contro Yen, franco svizzero, marco tedesco, scellino austriaco e fiorino olandese.
2) Nella Tab B il DEM si è rivalutato quasi contro tutti, diventando un vero rullo compressore contro Dracma, escudo, Lira, peseta, sterlina e corona svedese, mentre contro marco svedese, dollaro, franco francese e corona norvegese e danese si è apprezzato “solo” di una percentuale che parte dal +172% contro la valuta finlandese e rasenta il 100% verso la moneta danese.
3) In entrambe le Tab notiamo che le uniche vere antagoniste del marco sono franco svizzero e yen giapponese.
4) Le uniche che seguono più o meno a ruota sono lo scellino austriaco, il fiorino olandese e a stento il franco belga. Che poi, guarda caso, sono tutti Paesi con tradizioni, religione, comportamenti di massa, economie e lingua quasi simili, insomma una vera “AVO” (Area Valutaria Ottimale), penso l’unica possibile nell’intero vecchio continente. Ed infatti era riconosciuta unilateralmente come “zona marco-centrica” (ZMC).
5) La disomogeneità con le altre monete (ma anche tra le altre stesse escludendo quelle della ZMC) è IMBARAZZANTE. Soprattutto le svalutazioni a 4 cifre della dracma e dell’escudo e nondimeno quelle a 3 cifre della lira e della peseta avrebbero dovuto far riflettere non poco gli avventati economisti dei rispettivi governi.
6) I forti dubbi espressi dal governo inglese dell’epoca divennero certezze inconfutabili nel 1992: la Sterlina (insieme alla nostra lira) subì l’attacco speculativo che costrinse la Thatcher a svalutare del 40% ca la valuta britannica (la Lira svalutò del 30% ca), facendo abbandonare del tutto la malsana idea di partecipare all’€uro. (Invece -e purtroppo- come ben sappiamo, nonostante la batosta che ci inflisse Soros e l’allegra banda di speculatori che prese di mira la Lira, l’Italia fece letteralmente CARTE FALSE per entrarci, truccando visibilmente i bilanci.)
7) Danimarca e Svezia restarono impressionate e seguirono tramite referendum la strada inglese. La Norvegia nel 1972 e poi nel 1994, tramite due referendum popolari, decise di non far parte della UE. Anche la Svizzera nel 1986, sempre tramite referendum popolare, decise di non entrare nella UE.
Tab C
Inflazione di periodo nelle economie avanzate occidentali componenti il G7 al culmine delle 2 crisi petrolifere (1974 e 1980);
– 1974:
USA 14%; Giappone 25%; Germania 8%; Francia 15%; Gran Bretagna 27%; Italia 19,2%;
– 1980:
USA 15%; Giappone 8,5%; Germania 7,5%; Francia 14%; Italia 21,2%; Gran Bretagna 22%;
Come si può osservare la sola Germania è rimasta ben sotto il 10%, ovvero meno della metà della media delle altre 5; il Giappone nel 1980 imita la Germania, mentre la media delle altre resta abbondantemente ad un disarmante +100%.
Possibile che la Germania (e nel 1980 anche il Giappone) fosse al di fuori dall’inflazione importata derivante dall’ABOMINEVOLE rialzo di energia e petrolio?
All’epoca, soprattutto nel 1973/74, tutti i Paesi industrializzati dipendevano dal petrolio per una variabile del 40% come in Francia e sino al 73% del Giappone; il resto era dato dal carbone e in minima parte del nucleare (le prime centrali funzionavano da pochi anni e solo negli USA e nell’URSS da più di un decennio) e infatti, come abbiamo visto nella Tab C, l’inflazione era più che sostenuta: il petrolio, divenuto di colpo più che “marginalmente raro” (triplicò il suo prezzo a partire dal 1973) portò a rialzi indiscriminati dei prezzi di qualsiasi prodotto e tale dinamica non risparmiò di certo la Germania che per limitare l’inflazione importata scelse un’altra strada: preferì fare deflazione interna non aumentando i salari nella stessa misura dell’inflazione, anzi riducendoli di circa un terzo come potere d’acquisto. I giapponesi trassero un prezioso insegnamento e nell’altra crisi scoppiata nel 1979 quasi superarono i maestri.
Del resto, far pagare il prezzo ai lavoratori è stata sempre la via più semplice. In Italia, la brutta italietta della “svalutazione competitiva” e dei politici spendaccioni, nel 1975, fu varata l’indicizzazione dei salari all’inflazione, meglio conosciuta come “Scala Mobile”, lo strumento tanto odiato da industriali e capitalisti che permise agli operai di mantenere il potere d’acquisto.
Nello stesso tempo il governo italiano, grazie a TASSI REALI NEGATIVI mediamente del -5% dal 1971 al 1980 (in quel decennio i tassi di sconto della BdI si mantennero costantemente inferiori del -5,5% all’inflazione di periodo), riusciva a finanziare tranquillamente le immense opere infrastrutturali, cominciando addirittura a colmare il divario di benessere tra il nord industriale e ricco ed il poverissimo sud che spezzava in due il Paese. Nel 1980 il rapporto debito/PIL dell’Italia era pari al 58%.
Nel marzo del 1981, dopo il “divorzio” tra Tesoro e Banca d’Italia (obbligò la BdI a non acquistare l’invenduto delle aste dei titoli di Stato BOT, CCT ecc), i rendimenti NETTI (tasso d’interesse – inflazione) esplosero ad un +5% e continuarono sulla stessa falsariga sino al 1996, facendo arrivare il rapporto debito/PIL a superare velocemente il 100%.
Conosco solo DUE MODI per scaricare l’inflazione e rimettere il Paese nelle condizioni di poter tornare ad essere competitivo e crescere:
1) il primo è sul cambio della valuta (svalutando la moneta nazionale si rendono più attrattivi i prodotti e servizi verso l’estero e ancor di più indigesti i prodotti e servizi provenienti dall’estero che ai residenti costerebbero molto di più). Tale operazione implica la perdita di valore della tua moneta ed è ciò che è accaduto in Grecia, Portogallo, Spagna, Italia ecc ecc. chiaramente la spesa per petrolio, materie prime e tutto ciò che viene acquistato in valuta pregiata costa di più. Però è anche vero che in un’economia matura come più di ogni altra l’Italia, il costo maggiore di un prodotto finito deriva proprio dal costo della manodopera. L’Italia ad ogni buon conto è cresciuta come mai potrà più accadere restando in regime di vincolo fisso –leggasi €uro- (non puoi svalutare la moneta e quindi devi svalutare i salari) proprio in quel modo e proprio in quegli anni dove accumulavamo la mostruosa svalutazione del 500% rispetto al DEM e del 142% rispetto allo USD. In quei fantastici anni abbiamo accumulato una ricchezza privata pari a 5000 miliardi di euro attualizzati, ovvero più del 200% dell’intero PIL italiano 2011 che ci hanno portati ad essere i maggiori possessori di immobili di proprietà (circa 80%).
La balla della SPESA PUBBLICA deve essere sdoganata una volta per tutte: ad ammazzarci non è stato il debito pubblico ma la SPESA PER INTERESSI SUL DEBITO PUBBLICO. E questa volta NON AMMETTO DINIEGHI: basta fare i conti della serva per scoprirlo. Altra cosa è fare “buona spesa” o “cattiva spesa”; in ogni modo, per fugare qualsiasi dubbio residuo, oggi l’Italia non può fare ne luna e ne l’altra. In troppi non sanno che la spesa pubblica italiana è al di SOTTO della MEDIA UE, anche per sanità, istruzione e welfare. La nostra spesa pubblica -quasi il 50% del PIL 2011- (800 miliardi di euro circa nel 2014) negli ultimi 35 anni è stata utilizzata per oltre la metà (400 mld) per foraggiare super-pensioni, prebende e tutto ciò che si è potuto inventare una CLASSE POLITICA INDEGNA e CORROTTA che mai ha inteso appianare i propri privilegi verso i lavoratori, non pensando altro che alle proprie carriere e ai prorpi personalissimi interessi privati.
2) Il secondo è facendo deflazione interna (non si svaluta la moneta ma si svalutano i salari, magari non aumentandoli o aumentandoli in modo irrisorio rispetto all’inflazione di periodo, ciò non permetterà alle famiglie –o lo farà in modo scarso- di comprare beni e prodotti provenienti dall’estero e in molti casi neanche quelli nazionali. Tale compressione salariale ti permette di tenere a bada l’inflazione che non potrà MAI alzarsi se le famiglie non consumano e per far si che ciò avvenga gli si da poco più del minimo necessario per vivere). Avrai una moneta forte che varrà oro sui mercati internazionali ma il tuo popolo farà la fame o quasi, a tutto vantaggio delle industrie e della rendita da capitale. Questa è la strada che ha preso la Germania nel 1973 e il Giappone nel 1980 e che con molta probabilità contribuì alla creazione della bolla immobiliare del 1986 (quando c’è deflazione ci si attende un calo continuo dei prezzi che crea la cosiddetta “trappola della liquidità”). Tale immensa liquidità venne investita nel mattone e in borsa, gonfiando l’immensa bolla che esplose nel 1991, regalando ai nipponici l’inizio del ventennio perduto. La guida tedesca dell’euro-zona ci ha fatto imboccare la stessa strada che ha percorso il Giappone: tutta l’area è in deflazione conclamata e con immane liquidità in aumento in cerca di investimenti redditizi che con ogni probabilità andranno a gonfiare varie bolle borsistiche.
Se perdurasse tale situazione, così come sembra debba essere, si potrebbe trasformare presto in stagdeflazione. In diversi Paesi di €Z i sintomi già ci sono tutti.
Ma torniamo a noi. Come avrebbero mai potuto recuperare i PIIGS tale incredibile svantaggio inflattivo eliminando la libera fluttuazione delle proprie monete nazionali? Come hanno potuto pensare che di colpo, come per volontà divina, tutti i cittadini europei all’unisono diventassero, pensassero e agissero come tedeschi, olandesi o austriaci?
Si badi bene: qui nessuno nega la differenza sostanziale di pensare innanzitutto al bene della collettività piuttosto che ai propri personalissimi interessi che da molto tempo contraddistingue i politici dei PIIGS da quelli della ex ZMC ma, vi ASSICURO, che in questa situazione la MIGLIORE CLASSE POLITICA in ASSOLUTO nulla potrebbe fare ugualmente, magari riuscirebbe solo a resistere qualche anno in più. Syriza in Grecia potrebbe essere l’ennesimo esempio.
Oggi il livello è ben più che economico è sociale: è in discussione la democrazia stessa. O meglio, anche quella parvenza di democrazia che in tutta Europa sembrava essere cosa acquisita, potrebbe esserci negata.
Come una malattia sconfitta e dimenticata da 50 anni potrebbe tornare a seminare distruzione così la UE e l’€uro potrebbero risvegliare storie assopite e quasi dimenticate che sposterebbero le lancette del tempo indietro di circa 85 anni, allorquando una crisi mondiale risvegliò il nazionalismo estremo in una vecchia Europa che non seppe evitare una seconda catastrofe annunciata.
Adesso, partendo da quei numeri, facciamo un gioco tenendo in considerazione proprio le dinamiche monetarie.
Mi sono sempre chiesto che fine avrebbe fatto la nostra amata Liretta se l’Italia, per assurdo, nel 1996 non avesse aderito anima e corpo al progetto €uro (che con molta probabilità non sarebbe affatto partito senza che il nostro Paese vi avesse aderito).
Incrociando i numeri e le variabili che non sarebbero state poi così diverse da quelle che sono effettivamente accadute, tenendo in considerazione la media svalutativa di quei 26 anni, la lira oggi avrebbe grosso modo queste valutazioni:
£ 3277 per un singolo USD;
£ 525 contro lo Yuan cinese;
£ 27,5 contro Yen giapponese;
£ 4750 contro marco tedesco;
£ 3,02 contro Won coreano;
l’ordine dato non è casuale: gli USA posseggono l’emissione della valuta di riserva mondiale, la Cina, il Giappone, la Germania e la Corea sono nell’ordine le nazioni che ci sopravanzano nel manifatturiero mondiale (pensate, nonostante tutto siamo ancora la 5° potenza manifatturiera al mondo e stacchiamo il Brasile di parecchi miliardi).
Come potete facilmente intuire un litro di super ci sarebbe costato anche meno di oggi (si tenga in grande considerazione che molte delle accise che pesano per il 60% del prezzo alla pompa non sarebbero mai state aggiunte) e sicuramente avremmo avuto un peso ben più rilevante nelle economie del G20, magari occupando la 4°, 5° o al massimo 6° posizione.
Ma soprattutto avremmo polverizzato la Germania e la Corea come manifatturiero, giocandocela ad armi pari con Giappone e anche con la Cina e gli altri emergenti.
Come appena detto, sono convinto che senza la partecipazione dell’Italia l’€uro non sarebbe mai nato ed è ciò che è scritto nel libro del prof Nino Galloni ed altri autori euro-scettici: la Germania ha voluto con forza il nostro Paese nell’euro altrimenti non se ne sarebbe fatto nulla.
Evidentemente i tedeschi fecero le mie stesse semplicissime simulazioni, traendone le stesse conclusioni: l’Italia li avrebbe scalzati in un decennio.
La Francia, che ancora oggi rappresenta la maggiore potenza militare d’Europa, volendo emulare gli USA, ha sinora appoggiato passo dopo passo la politica tedesca, ma presto i nodi verranno al pettine e volenti o nolenti saranno costretti a svincolarsi dal nuovo patto d’acciaio firmato nei primi anni ’50. Nonostante i francesi non abbiano mai rispettato negli ultimi anni il rapporto deficit/Pil imposto (ai fessi come noi che l’hanno sempre onorato) dalla UE la loro economia sta andando a rotoli: anche per loro si avvicina sempre più velocemente il punto di non ritorno e, statene certi, qualcosa accadrà al di là delle Alpi
 

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Roberto.Nardella on March 3, 2015 — Leave a Comment
Una simulazione sull’andamento dei cambi nell’ultimo quarto di secolo mostra come senza l’unione monetaria l’Italia sarebbe potuta emergere come potenza industriale in Europa, ruolo che invece è oggi saldamente in mano alla Germania
Non so se uno studio simile sia mai stato fatto in Italia e ancor di più se sia mai stato commissionato da qualche politico più dubbioso e scettico di altri: nonostante abbia letto diversi libri e migliaia di articoli sull’argomento euro e UE non ne ho trovato alcuna traccia.
Sembra che le monete, la linfa vitale di uno Stato autodeterminato, non abbiano mai incuriosito troppo neanche gli addetti ai lavori. L’unico che ha parlato diffusamente dell’argomento in più di una trasmissione televisiva è stato l’imprenditore Ernesto Preatoni: ricordo di averlo sentito la prima volta dopo un paio di mesi che scrissi il mio primo pezzo sull’argomento nel novembre del 2013 e mi piace pensare che sia stato proprio il mio articolo a dargli lo spunto iniziale.
Spero che molti altri notabili riprendano l’argomento che per la sua importanza è fondamentale allo scopo di discernere le ragioni ed eventualmente le responsabilità che indussero chi ci ha governati dal 1978 in poi, spingendoci ad entrare prima nello SME (1978), poi nello SME credibile (1987) ed infine (road show della Lira 1996) nel ristretto club –frega il tuo vicino- €uro, non tenendo in alcuna considerazione evidenze empiriche già più che manifeste nei primi anni ’80 e sempre più evidenti nel corso degli anni a venire, oltretutto anche molto semplici da comprendere.
Premessa
Con questo semplice studio vi invito a verificare il valore contro dollaro USA e Marco tedesco delle singole monete dopo che, il 15 agosto 1971, il presidente statunitense Nixon annunciò al mondo l’eliminazione della convertibilità in oro fisico del dollaro, dando il famoso “liberi tutti”.
I risultati potrebbero sorprendere non poco, facendo capire a chi legge molte cose sulla condizione odierna, di come non sia caduta dal cielo per volontà divina e della incapacità assoluta o della palese malafede di tutti quei governanti, politici ed “economisti” greci, portoghesi, italiani e spagnoli in primis che hanno accettato, senza peraltro sentire il parere popolare, di aderire al folle progetto della moneta comune.
Tale studio, se effettuato anche solo nel 1978, dopo soli 7 anni dalla decisione di Nixon (ma prima dello SME che altro non era che l’anticamera dell’€uro) avrebbe sicuramente lasciato capire cosa avrebbe provocato a quelli che oggi vengono intesi, con disprezzo, i PIIGS. Sicuramente lo fece, tra i tanti altri studi, il compianto prof. Federico Caffè, poiché nel 1981 ci lasciò una delle sue frasi più celebri e lungimiranti: “Siamo entrati (L’Italia ndr) nello SME con la stessa incoscienza con la quale a suo tempo dichiarammo guerra agli USA”.
Chiaramente i “se” e i “ma” lasciano il tempo che trovano però è di estrema importanza CAPIRE che l’€uro è stato costruito in provetta come un virus letale con lo scopo di trasferire la ricchezza dal ceto lavoratore a quello della rendita da capitale.
Oltre a dirlo molti nobel e tantissimi economisti sarebbe bastato una studio simile, prodotto magari anche nel 1995 per evitare tale siffatto come la peste bubbonica, e non è un caso che Gran Bretagna, Svezia, Danimarca, Norvegia e Svizzera se ne videro bene dall’aderirvi all’epoca, mentre Polonia, Ungheria, repubblica Ceca ecc abbiano del tutto bloccato le loro adesioni oggi. Probabilmente questi Paesi hanno effettuato questo ed altri studi più complessi che, guarda caso, hanno portato tutti nella stessa direzione: tenersi ben stretta la sovranità monetaria, e nel caso di Norvegia e Svizzera non aderire neppure alla UE.
In quegli anni, nei PIIGS, si usò qualsiasi sistema per far andare al potere chi avrebbe sicuramente appoggiato la causa €uro-pea. In Italia con un maxi processo furono estromessi in un sol colpo i maggiori politici euro-scettici, prontamente rimpiazzati da quelli odierni che ben conosciamo: essi formarono un corpo unico ed omogeneo da destra a sinistra in grado di lasciar credere al popolo che fosse l’unica scelta possibile e negando allo stesso tempo un più che dovuto referendum sull’adozione o meno della moneta comune in Italia. (Craxi, che non era uno stinco di Santo, ebbe a dire dal rifugio di Amammeth “se tutto andrà bene, per l’Italia l’euro sarà un purgatorio. Ma se dovesse andar male sarà l’inferno”. Andreotti, invece, voleva così bene alla Germania da volerne DUE per sempre).
Una cavalcata lunga 26 anni
Dal 1953 (da quando sono disponibili i cambi storici) e sino a quel ferragosto del ‘71, escludendo le ovvie svalutazioni susseguenti una guerra (come per esempio accadde alla Francia nel 1957), atte a recuperare l’inflazione del periodo, il cambio delle principali valute contro il dollaro (e di conseguenza con l’oro fisico a cui le monete in definitiva erano ancora assoggettate) restava stabile. Vediamo cosa è accaduto in questi 26 anni.
Sono stato tacciato di pressapochismo poiché ci sono mila-ila-ila variabili che non sono state calcolate: a costoro, i NEGAZIONISTI di sempre, ricordo che in una dinamica di lungo periodo come quella presa in esame ne sono accadute milioni di “cose” imprevedibili, quali 2 gravi crisi petrolifere, un centinaio di guerre piccole o grandi, decine di colpi di stato, migliaia di attentati, disfacimenti di intere aree geopolitiche ed economiche tenute a forza con lo sputo, ricongiungimenti di nazioni prima separate, centinaia di interventi delle banche centrali, due gravi incidenti nucleari, 6 o 7 papi ecc.
Insomma tutto ciò che poteva accadere in 26 anni è accaduto in quei 26 anni.
Le dinamiche a questo servono: sono gli indicatori più precisi per poter azzardare previsioni a lungo termine. La scienza ci insegna che la dinamica temporale è l’unico metodo controfattuale che si può utilizzare a posteriori per capire il futuro: se in 25 anni i tumori del rione Tamburri di Taranto sono aumentati costantemente non sarà a causa del libeccio che ha tirato più forte ma di qualche altra cosa presente sul territorio più o meno dallo stesso periodo preso in esame. Qui non si parla di 3 o 5 o 10 anni ma di più di un quarto di secolo e considerando che l’avvento dell’era industriale ha festeggiato pressappoco il suo 200esimo compleanno si tratta comunque di un periodo non banale e pieno zeppo di avvenimenti che hanno segnato l’era contemporanea e il nostro vivere quotidiano.
Tab A
USD (dollaro USA) contro:
Valuta …… …16-08-1971…….1-1-1997……..…svalutaz % ….. svalut % annua
1) Dracma …….30,00………..247……………….725%…………….27,880%
2) Escudo……….28,43………….…156,4…….…….450%…………….17,300%
3) Lira………….627………………….1520………………..142,5%……………5,480%
4) Peseta……..69,41……………..130,13…………87,5%…………….3,360%
5) Sterlina………..0,4134……………0,5884……….42,3%…………….1,627%
6) Corona sve…..5,155…………6,886………33,5%…………….1,288%
7) Marco finl…….4,213…….………4,607……….9,3%…………….0,357%
8) Franco fran….5,505…….………5,192………-5,6%……………-0,215%
9) Corona nor…..7,077……….6,443………..-8,9%……………-0,342%
10)Corona DK …..7,49……………….5,85………-20,5%……………-0,788%
11)Franco B……49,6……….……….31,8………..-35,9%……………-1,380%
12)Fiorino NL…..3,44………………..1,73……….-49,6%……………-1,907%
13)Scellino A….24,87……………..10,85……….-56,6%……………-2,176%
14)Marco D……….3,833……………..1,539………-60%……………..-2,307%
15)Franco CH……4,050……………..1,350…….-66,67%…………..-2,564%
16)Yen Jap……357,42…………116,40……..-67,4%……………-2,592%
Tab B
DEM (Marco tedesco) contro:
Valuta ………. 16-08-1971……….1-1-1997….…svalutaz % ….. svalut % annua
1)Dracma ……….7,826……………….160,5……………1954%………….75,150%
2)Escudo ……….7,417….………….101,62…………..1270%………….48,840%
3)Lira …………163,58………………987,65……………504%………….19,384%
4)Peseta……….18,1………….………..84,55……………366%………….14,077%
5)Sterlina………..0,1078………………..0,3823………..257%…………..9,885%
6)Corona SK …..1,345…………………4,474……..….233%…………..8,961%
7)Marco finla….1,0991…….………….2,9935………..172%…………..6,615%
8)Dollaro USA….0,260……………….0,630…………150%…………..5,769%
9)Franco fran….1,436…………………3,374….……..135%…………..5,192%
10)Corona nor….1,8463…………….4,1865…..……127%…………..4,885%
11)Corona dan….1,954……………..3,866……………97%…………..3,730%
12)Franco bel…12,94…………………20,66…………….58%…………..2,230%
13)Fiorino NL….0,8975…………..….1,124……………26%…………..1,000%
14)Scellino A….6,488……………….7,050…………….8,6%…………0,330%
15)Franco CH…….1,056…………………0,877……….-17%………….-0,654%
16)Yen giap…….93,248…………….75,633…………-19%………….-0,730%
Dal confronto delle due tabelle possiamo notare che:
1) Nella Tab A il USD si è rivalutato verso 7 monete, molto pesantemente (più del 50%) verso Dracma, Escudo, Lira e Peseta, mentre si è svalutato verso le altre 9, molto pesantemente (intorno al 50%) contro Yen, franco svizzero, marco tedesco, scellino austriaco e fiorino olandese.
2) Nella Tab B il DEM si è rivalutato quasi contro tutti, diventando un vero rullo compressore contro Dracma, escudo, Lira, peseta, sterlina e corona svedese, mentre contro marco svedese, dollaro, franco francese e corona norvegese e danese si è apprezzato “solo” di una percentuale che parte dal +172% contro la valuta finlandese e rasenta il 100% verso la moneta danese.
3) In entrambe le Tab notiamo che le uniche vere antagoniste del marco sono franco svizzero e yen giapponese.
4) Le uniche che seguono più o meno a ruota sono lo scellino austriaco, il fiorino olandese e a stento il franco belga. Che poi, guarda caso, sono tutti Paesi con tradizioni, religione, comportamenti di massa, economie e lingua quasi simili, insomma una vera “AVO” (Area Valutaria Ottimale), penso l’unica possibile nell’intero vecchio continente. Ed infatti era riconosciuta unilateralmente come “zona marco-centrica” (ZMC).
5) La disomogeneità con le altre monete (ma anche tra le altre stesse escludendo quelle della ZMC) è IMBARAZZANTE. Soprattutto le svalutazioni a 4 cifre della dracma e dell’escudo e nondimeno quelle a 3 cifre della lira e della peseta avrebbero dovuto far riflettere non poco gli avventati economisti dei rispettivi governi.
6) I forti dubbi espressi dal governo inglese dell’epoca divennero certezze inconfutabili nel 1992: la Sterlina (insieme alla nostra lira) subì l’attacco speculativo che costrinse la Thatcher a svalutare del 40% ca la valuta britannica (la Lira svalutò del 30% ca), facendo abbandonare del tutto la malsana idea di partecipare all’€uro. (Invece -e purtroppo- come ben sappiamo, nonostante la batosta che ci inflisse Soros e l’allegra banda di speculatori che prese di mira la Lira, l’Italia fece letteralmente CARTE FALSE per entrarci, truccando visibilmente i bilanci.)
7) Danimarca e Svezia restarono impressionate e seguirono tramite referendum la strada inglese. La Norvegia nel 1972 e poi nel 1994, tramite due referendum popolari, decise di non far parte della UE. Anche la Svizzera nel 1986, sempre tramite referendum popolare, decise di non entrare nella UE.
Tab C
Inflazione di periodo nelle economie avanzate occidentali componenti il G7 al culmine delle 2 crisi petrolifere (1974 e 1980);
– 1974:
USA 14%; Giappone 25%; Germania 8%; Francia 15%; Gran Bretagna 27%; Italia 19,2%;
– 1980:
USA 15%; Giappone 8,5%; Germania 7,5%; Francia 14%; Italia 21,2%; Gran Bretagna 22%;
Come si può osservare la sola Germania è rimasta ben sotto il 10%, ovvero meno della metà della media delle altre 5; il Giappone nel 1980 imita la Germania, mentre la media delle altre resta abbondantemente ad un disarmante +100%.
Possibile che la Germania (e nel 1980 anche il Giappone) fosse al di fuori dall’inflazione importata derivante dall’ABOMINEVOLE rialzo di energia e petrolio?
All’epoca, soprattutto nel 1973/74, tutti i Paesi industrializzati dipendevano dal petrolio per una variabile del 40% come in Francia e sino al 73% del Giappone; il resto era dato dal carbone e in minima parte del nucleare (le prime centrali funzionavano da pochi anni e solo negli USA e nell’URSS da più di un decennio) e infatti, come abbiamo visto nella Tab C, l’inflazione era più che sostenuta: il petrolio, divenuto di colpo più che “marginalmente raro” (triplicò il suo prezzo a partire dal 1973) portò a rialzi indiscriminati dei prezzi di qualsiasi prodotto e tale dinamica non risparmiò di certo la Germania che per limitare l’inflazione importata scelse un’altra strada: preferì fare deflazione interna non aumentando i salari nella stessa misura dell’inflazione, anzi riducendoli di circa un terzo come potere d’acquisto. I giapponesi trassero un prezioso insegnamento e nell’altra crisi scoppiata nel 1979 quasi superarono i maestri.
Del resto, far pagare il prezzo ai lavoratori è stata sempre la via più semplice. In Italia, la brutta italietta della “svalutazione competitiva” e dei politici spendaccioni, nel 1975, fu varata l’indicizzazione dei salari all’inflazione, meglio conosciuta come “Scala Mobile”, lo strumento tanto odiato da industriali e capitalisti che permise agli operai di mantenere il potere d’acquisto.
Nello stesso tempo il governo italiano, grazie a TASSI REALI NEGATIVI mediamente del -5% dal 1971 al 1980 (in quel decennio i tassi di sconto della BdI si mantennero costantemente inferiori del -5,5% all’inflazione di periodo), riusciva a finanziare tranquillamente le immense opere infrastrutturali, cominciando addirittura a colmare il divario di benessere tra il nord industriale e ricco ed il poverissimo sud che spezzava in due il Paese. Nel 1980 il rapporto debito/PIL dell’Italia era pari al 58%.
Nel marzo del 1981, dopo il “divorzio” tra Tesoro e Banca d’Italia (obbligò la BdI a non acquistare l’invenduto delle aste dei titoli di Stato BOT, CCT ecc), i rendimenti NETTI (tasso d’interesse – inflazione) esplosero ad un +5% e continuarono sulla stessa falsariga sino al 1996, facendo arrivare il rapporto debito/PIL a superare velocemente il 100%.
Conosco solo DUE MODI per scaricare l’inflazione e rimettere il Paese nelle condizioni di poter tornare ad essere competitivo e crescere:
1) il primo è sul cambio della valuta (svalutando la moneta nazionale si rendono più attrattivi i prodotti e servizi verso l’estero e ancor di più indigesti i prodotti e servizi provenienti dall’estero che ai residenti costerebbero molto di più). Tale operazione implica la perdita di valore della tua moneta ed è ciò che è accaduto in Grecia, Portogallo, Spagna, Italia ecc ecc. chiaramente la spesa per petrolio, materie prime e tutto ciò che viene acquistato in valuta pregiata costa di più. Però è anche vero che in un’economia matura come più di ogni altra l’Italia, il costo maggiore di un prodotto finito deriva proprio dal costo della manodopera. L’Italia ad ogni buon conto è cresciuta come mai potrà più accadere restando in regime di vincolo fisso –leggasi €uro- (non puoi svalutare la moneta e quindi devi svalutare i salari) proprio in quel modo e proprio in quegli anni dove accumulavamo la mostruosa svalutazione del 500% rispetto al DEM e del 142% rispetto allo USD. In quei fantastici anni abbiamo accumulato una ricchezza privata pari a 5000 miliardi di euro attualizzati, ovvero più del 200% dell’intero PIL italiano 2011 che ci hanno portati ad essere i maggiori possessori di immobili di proprietà (circa 80%).
La balla della SPESA PUBBLICA deve essere sdoganata una volta per tutte: ad ammazzarci non è stato il debito pubblico ma la SPESA PER INTERESSI SUL DEBITO PUBBLICO. E questa volta NON AMMETTO DINIEGHI: basta fare i conti della serva per scoprirlo. Altra cosa è fare “buona spesa” o “cattiva spesa”; in ogni modo, per fugare qualsiasi dubbio residuo, oggi l’Italia non può fare ne luna e ne l’altra. In troppi non sanno che la spesa pubblica italiana è al di SOTTO della MEDIA UE, anche per sanità, istruzione e welfare. La nostra spesa pubblica -quasi il 50% del PIL 2011- (800 miliardi di euro circa nel 2014) negli ultimi 35 anni è stata utilizzata per oltre la metà (400 mld) per foraggiare super-pensioni, prebende e tutto ciò che si è potuto inventare una CLASSE POLITICA INDEGNA e CORROTTA che mai ha inteso appianare i propri privilegi verso i lavoratori, non pensando altro che alle proprie carriere e ai prorpi personalissimi interessi privati.
2) Il secondo è facendo deflazione interna (non si svaluta la moneta ma si svalutano i salari, magari non aumentandoli o aumentandoli in modo irrisorio rispetto all’inflazione di periodo, ciò non permetterà alle famiglie –o lo farà in modo scarso- di comprare beni e prodotti provenienti dall’estero e in molti casi neanche quelli nazionali. Tale compressione salariale ti permette di tenere a bada l’inflazione che non potrà MAI alzarsi se le famiglie non consumano e per far si che ciò avvenga gli si da poco più del minimo necessario per vivere). Avrai una moneta forte che varrà oro sui mercati internazionali ma il tuo popolo farà la fame o quasi, a tutto vantaggio delle industrie e della rendita da capitale. Questa è la strada che ha preso la Germania nel 1973 e il Giappone nel 1980 e che con molta probabilità contribuì alla creazione della bolla immobiliare del 1986 (quando c’è deflazione ci si attende un calo continuo dei prezzi che crea la cosiddetta “trappola della liquidità”). Tale immensa liquidità venne investita nel mattone e in borsa, gonfiando l’immensa bolla che esplose nel 1991, regalando ai nipponici l’inizio del ventennio perduto. La guida tedesca dell’euro-zona ci ha fatto imboccare la stessa strada che ha percorso il Giappone: tutta l’area è in deflazione conclamata e con immane liquidità in aumento in cerca di investimenti redditizi che con ogni probabilità andranno a gonfiare varie bolle borsistiche.
Se perdurasse tale situazione, così come sembra debba essere, si potrebbe trasformare presto in stagdeflazione. In diversi Paesi di €Z i sintomi già ci sono tutti.
Ma torniamo a noi. Come avrebbero mai potuto recuperare i PIIGS tale incredibile svantaggio inflattivo eliminando la libera fluttuazione delle proprie monete nazionali? Come hanno potuto pensare che di colpo, come per volontà divina, tutti i cittadini europei all’unisono diventassero, pensassero e agissero come tedeschi, olandesi o austriaci?
Si badi bene: qui nessuno nega la differenza sostanziale di pensare innanzitutto al bene della collettività piuttosto che ai propri personalissimi interessi che da molto tempo contraddistingue i politici dei PIIGS da quelli della ex ZMC ma, vi ASSICURO, che in questa situazione la MIGLIORE CLASSE POLITICA in ASSOLUTO nulla potrebbe fare ugualmente, magari riuscirebbe solo a resistere qualche anno in più. Syriza in Grecia potrebbe essere l’ennesimo esempio.
Oggi il livello è ben più che economico è sociale: è in discussione la democrazia stessa. O meglio, anche quella parvenza di democrazia che in tutta Europa sembrava essere cosa acquisita, potrebbe esserci negata.
Come una malattia sconfitta e dimenticata da 50 anni potrebbe tornare a seminare distruzione così la UE e l’€uro potrebbero risvegliare storie assopite e quasi dimenticate che sposterebbero le lancette del tempo indietro di circa 85 anni, allorquando una crisi mondiale risvegliò il nazionalismo estremo in una vecchia Europa che non seppe evitare una seconda catastrofe annunciata.
Adesso, partendo da quei numeri, facciamo un gioco tenendo in considerazione proprio le dinamiche monetarie.
Mi sono sempre chiesto che fine avrebbe fatto la nostra amata Liretta se l’Italia, per assurdo, nel 1996 non avesse aderito anima e corpo al progetto €uro (che con molta probabilità non sarebbe affatto partito senza che il nostro Paese vi avesse aderito).
Incrociando i numeri e le variabili che non sarebbero state poi così diverse da quelle che sono effettivamente accadute, tenendo in considerazione la media svalutativa di quei 26 anni, la lira oggi avrebbe grosso modo queste valutazioni:
£ 3277 per un singolo USD;
£ 525 contro lo Yuan cinese;
£ 27,5 contro Yen giapponese;
£ 4750 contro marco tedesco;
£ 3,02 contro Won coreano;
l’ordine dato non è casuale: gli USA posseggono l’emissione della valuta di riserva mondiale, la Cina, il Giappone, la Germania e la Corea sono nell’ordine le nazioni che ci sopravanzano nel manifatturiero mondiale (pensate, nonostante tutto siamo ancora la 5° potenza manifatturiera al mondo e stacchiamo il Brasile di parecchi miliardi).
Come potete facilmente intuire un litro di super ci sarebbe costato anche meno di oggi (si tenga in grande considerazione che molte delle accise che pesano per il 60% del prezzo alla pompa non sarebbero mai state aggiunte) e sicuramente avremmo avuto un peso ben più rilevante nelle economie del G20, magari occupando la 4°, 5° o al massimo 6° posizione.
Ma soprattutto avremmo polverizzato la Germania e la Corea come manifatturiero, giocandocela ad armi pari con Giappone e anche con la Cina e gli altri emergenti.
Come appena detto, sono convinto che senza la partecipazione dell’Italia l’€uro non sarebbe mai nato ed è ciò che è scritto nel libro del prof Nino Galloni ed altri autori euro-scettici: la Germania ha voluto con forza il nostro Paese nell’euro altrimenti non se ne sarebbe fatto nulla.
Evidentemente i tedeschi fecero le mie stesse semplicissime simulazioni, traendone le stesse conclusioni: l’Italia li avrebbe scalzati in un decennio.
La Francia, che ancora oggi rappresenta la maggiore potenza militare d’Europa, volendo emulare gli USA, ha sinora appoggiato passo dopo passo la politica tedesca, ma presto i nodi verranno al pettine e volenti o nolenti saranno costretti a svincolarsi dal nuovo patto d’acciaio firmato nei primi anni ’50. Nonostante i francesi non abbiano mai rispettato negli ultimi anni il rapporto deficit/Pil imposto (ai fessi come noi che l’hanno sempre onorato) dalla UE la loro economia sta andando a rotoli: anche per loro si avvicina sempre più velocemente il punto di non ritorno e, statene certi, qualcosa accadrà al di là delle Alpi
 

mototopo

Forumer storico
Portiamo a processo Monti e Renzi. Per rendere il sogno realtà ho bisogno di voi!
Pubblicato su 3 Marzo 2015 da FRONTE DI LIBERAZIONE DAI BANCHIERI - CM in POLITICA
I danni causati dall’austerità sono sotto gli occhi di tutti. Fallimenti e suicidi sono, purtroppo, all’ordine del giorno. La Costituzione è costantemente e volontariamente calpestata. La crisi, come disse Monti, è una leva per costringerci a cedere la nostra sovranità. È un disegno preordinato per cancellare l’Italia.
Come sapete con due valorose Colleghe, Laura Muzio e Gabriela Musu, a nostra totale cura e spese, abbiamo intrapreso già alcune azioni molto decise contro questa classe politica e ciò sia in sede civile che penale. Con il Comune di Pontinvrea abbiamo anche attaccato anche le imposte sulla casa ritenendole incostituzionali.
Le battaglie proseguono e vi terrò informati. In sede civile, tuttavia, le azioni sono promosse contro la Presidenza del Consiglio ed i Ministeri dell’Interno e dell’Estero. Nessuna causa civile ha visto ancora convenuti direttamente e personalmente Mario Monti e Matteo Renzi. Ma quest’azione va fatta. Spero di non essere il solo ad averla già concepita nei suoi elementi fattuali e giuridici.
Ora voglio andare direttamente contro i colpevoli di quanto sta succedendo nel nostro paese. Almeno che siano costretti a rivolgersi ad un Avvocato e preparare una difesa. Questa volta però ho bisogno di voi.
Un unico cittadino citerà in giudizio i due o almeno uno di essi. Tutti gli altri potranno contribuire coprendo i costi della causa, nella denegata ipotesi di soccombenza (io ovviamente lavorerò gratis! Contro queste persone è un privilegio ed un piacere).
I costi possono arrivare a qualche migliaio di Euro a grado. Se siamo in tanti, nella peggiore delle ipotesi, avremo una spesa davvero irrisoria, ma grande sarà il significato di ciò che stiamo per intraprendere.
L’attore ha due possibili richieste da formulare. Il danno non patrimoniale che segue alla violazione di precetti costituzionali oppure il danno patrimoniale conseguente, ad esempio, ad un’attività fallita a seguito delle misure di austerità. Ci si potrebbe altresì spingere a chiedere il danno biologico (danno alla salute dunque) causato da forme depressive legate alla crisi o peggio il danno morale in capo a parenti di persone uccise dalle politiche di austerità.
Insomma io voglio Renzi e Monti personalmente alla sbarra, voglio vederli mentre si difendono con i loro legali, voglio presentargli il conto. Qui non posso essere io l’attore come in altre cause perché non ho ancora risentito economicamente della crisi. Noi Avvocati restiamo una categoria privilegiata, anche se comprendo bene che non durerà ancora a lungo.
Il primo passo dunque è trovare il candidato perfetto per questa causa, l’attore ideale che tutti supporteremo.
Se volete essere voi i promotori di questa azione scrivetemi alla mia casella mail e raccontatemi i danni che avete subito a seguito della crisi: [email protected]
Mi raccomando devono essere danni collegati con evidenza chiara alle politiche di austerità, altrimenti la causa è perdente.
Aspetto i vostri contatti, diffondete più possibile questo post.
Andiamo avanti!
Tratto da:Avv. Marco Mori - Studio Legale

http://img.over-blog-kiwi.com/0/78/04/34/20150302/ob_2775a7_2q
 

mototopo

Forumer storico
LO SPREAD? UN FALSO PROBLEMA (MANGIME PER SERVI SCIOCCHI)
Pubblicato su 3 Marzo 2015 da FRONTE DI LIBERAZIONE DAI BANCHIERI - CM in ECONOMIA
Lo spread è sceso in questi giorni magicamente sotto i 100 bp e subito le CAPRE BELANTI magnificano l’operato dei tecnocrati che, perché potesse accadere questo, hanno deliberatamente massacrato una fiorente economia. Purtroppo, il SERVO SCIOCCO si bea delle informazioni che la TV PASSA senza riflettere su una cosa, che ciò che conta non è IL TASSO NOMINALE ma QUELLO REALE (ovvero al netto dell’inflazione).
Prendiamo alcuni dati economici:
– Nel 2006 i rendimenti NOMINALI sui TDS DECENNALI (BTP a 10 anni) erano al 3,5%, il PIL y/y del paese era il 2% e l’inflazione era il 2% (ne consegue che con una crescita al 2% il tasso d’interesse reale, ovvero depurato dell’inflazione) era l’1,5%);
– Oggi i rendimenti nominali sui BTP a 10 anni, le nuove emissioni, non quelle vecchie, sono sempre all1,35%

però la crescita del PIL è nulla o probabilmente negativa se dovremo fare tra aprile e settembre le manovre correttive che solitamente la UE chiede per portare i conti verso il pareggio di bilancio, l’inflazione annua non supera lo 0%.
L’interesse reale diventa quindi 1,35% contro il precedente 1,5%, otteniamo sulle nuove emissioni uno 0,15% reale in meno a spese di un RADDOPPIO DELLA DISOCCUPAZIONE (dal 6-7% al 13%, valori di massima ovvio…) E DI OLTRE 3 ANNI DI CRESCITA NEGATIVA (Monti-Letta-Renzi).
Per quanto sopra, si comprende che siamo gestiti da degli squilibrati mentali che oltre ad essere incompetenti ed incapaci, sono pure strapagati !
Oltre il danno anche la beffa.

Maurizio Gustinicchi
Socio Sostenitore Lega Nord-Riscossa Italiana-Economia5Stelle
 

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SCIENZA
C'ERA UNA VOLTA
LA NERA
SEI SICURO?
EDITORIALI
TARGET
+++UNICREDIT: 350 MILIARDI DI CREDITI BANCARI DETERIORATI IN ITALIA+++CATASTROFE

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4 marzo - ''La massa di crediti deteriorati in Italia ha raggiunto livelli record, e la stima per fine anno e' di 350 miliardi di euro''. Lo ha detto il direttore generale di Unicredit, Roberto Nicastro, in un'audizione alla commissione finanze del Senato, spiegando che ''questo e' un enorme problema, una zavorra, perche' assorbono enorme liquidita', capitale e prevengono la possibilita' di riallocare questo capitale a nuovo sviluppo''. La notizia resa pubblica neo modo più ufficiale possibile dal direttore generale della prima banca privata italiana, qual è Unicredit, è molto allarmante. Se lo Stato dovesse farsi carico di ulteriori 350 miliardi di euro di debiti, dichiarerebbe default. Inoltre, sono il doppio della quota QE per l'Italia. Terrificante
 

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