Il tema sembra essere uno di quelli che la popolazione cova interiormente da anni e che saltuariamente riesce come se fosse una novità dell’ultimo momento e una realtà intollerabile e insostenibile. Basta poco per riaccendere la miccia della polemica che poi però altrettanto velocemente si spegne nel silenzio, salvo alcune eccezioni (vedi Beppe Grillo, che costantemente invece porta avanti questa battaglia anche quando vi sono argomenti mediatici di maggiore clamore).

Ogni anno, la questione del canone RAI ritorna puntuale insieme alla kermesse musicale nazionalpopolare per eccellenza, il Festival di Sanremo.

I soldi spesi per i compensi degli ospiti e degli artisti, per l’allestimento etc. da un lato e la scarsa qualità delle canzoni presentate dall’altro, rismuovono nel cittadino medio quel senso di fastidio per il pagamento del canone (o di autogiustificazione per l’evasione a seconda dei casi). Ad aggravare la situazione il fatto che la Rai non ottempera all’obbligo imposto dalla legge sulla trasparenza della Pubblica Amministrazione di rendere pubblici i compensi dei collaboratori.  Il 27% degli italiani risolve la questione non pagando (non a caso il canone è tra le sette tasse più evase d’Italia), altri pagano per poi essere legittimati a lamentarsi di fronte ad un palinsesto all’insegna del trash e del già visto. E se invece prima di decidere cosa fare cercassimo di capire?

PAGHERESTI IL CANONE RAI PER UN SERVIZIO DI QUALITA’?

Molte volte infatti l’intollerabilità del canone viene associata alla scarsa qualità dei programmi offerti ma i due aspetti sono necessariamente collegati? Oppure il canone RAI è una tassa assurda di per sé? E’ ipotizzabile una tv pubblica, supponiamo di qualità, che si regga senza un contributo di questo genere (oppure l’unica alternativa è quella di rinunciarvia priori, come ha auspicato Isabella Bertolini del Pdl proponendo la privatizzazione della tv pubblica)? Il punto di partenza non è di poco conto perché ci indica verso quale direzione agire: modificare la tv o abolire a priori il sistema di canone? Susanna Camusso, leader della Cgil, in un incontro con i giovani del sindacato nella sede dell’Arci del Pigneto, ha specificato che i due aspetti vanno scissi: i meccanismi del mondo dello spettacolo sono un tema serio da approfondire ma non giustificano l’evasione del canone, che è di fatto, a suo dire, l’unico modo per poter garantire un servizio televisivo pubblico.

Si può quindi decidere di intervenire sulle modalità di calcolo (progressivo o in base al reddito) ma non si può contestare la validità di questo tributo in quanto tale. E’ proprio così?

A legare invece strettamente la ratio del canone alla qualità del servizio è la Lega Nord. In questi ultimi giorni su Telepadania è andato in onda uno spot che, non senza riferimenti di destra o di spirito secessionista, invitano a non pagare il canone.

Nello spot anti-canone una voce fuori campo accompagna  una sequenza di immagini:

“Sappi che, se hai pagato il canone Rai, hai dato un contributo a chi riempie di soldi improbabili ballerini”, sostiene la voce, mentre vengono trasmesse scene del reality Ballando sotto le stelle. “Hai dato un contributo a chi fa naufragare intelligenza e buon gusto”, in commento a scene tratte da L’isola dei famosi. “Hai dato un contributo a chi strapaga i soliti moralisti”, con riferimento alla trasmissione Vieni via con me. “Hai dato un contributo a chi è disposto a tutto, pur di fare ascolti; a chi pensa che i ‘posti al sole’ esistono solo da Roma in giù”, criticando la soap opera Rai.

Appare evidente il rischio di giustificare l’evasione solo con la qualità dei programmi: chi decide cosa è degno di andare in onda e cosa no? Si arriva  a paradossi in cui la trasmissione culturale di Fazio e Saviano viene trattata alla stregua dei reality.

Chi decide cosa è meritevole del canone Rai e cosa no? La regolamentazione aziendale stabilisce a tal proposito che l’emittente televisiva pubblica si impegna ad alternare nell’arco della giornata sulle reti generaliste sei categorie di programmi (“Informazione e approfondimento”, “Programmi di servizio”, “Programmi e rubriche di promozione culturale”, “Informazione e programmi sportivi”, “Programmi per minori”, “Produzioni audiovisive italiane ed europee”). Il problema è che non c’è indicazione specifica dei criteri per l’inserimento di un programma in una piuttosto che in un’altra categoria.

Cosa tutela allora i contribuenti che pagano il canone? Cerchiamo di comprendere meglio la questione partendo dalla ratio di questo tributo attraverso un rapido excursus storico.

STORIA DEL CANONE RAI

Va detto che formalmente il canone Rai non è un abbonamento bensì una tassa sul possesso del televisore, a prescindere dai programmi che si sceglie di guardare e dalla qualità degli stessi. Il tributo per il possesso della tv è stato istituito durante il regime fascista, con il Regio decreto-legge 2 febbraio 1938 n. 246, anche se inizialmente, prima degli anni ’50, si riferiva soprattutto alla radio (la tv era stata inventata ma non era ancora particolarmente diffusa) o in via più generale a tutti gli “apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle radioaudizioni”. In pratica il concetto moderno di broadcasting.

Ma con l’avvento della tecnologia l’applicazione alla lettera del canone mostra tutti i suoi limiti e comporta dei paradossi ai quali la Pubblica Amministrazione non sa rispondere. Tra gli apparecchi citati infatti dovrebbero farsi rientrare pc, tablet etc.

Per altro internet ha senza dubbio aperto nuove vie di informazione indipendente quindi perché non deve essere data al contribuente la scelta di come informarsi?

Chi non possiede una tv ma ha un decoder o un pc deve pagare il canone? Sono lacune normative sulle quali l’Agenzia delle Entrate è chiamata a rispondere.

RAI E PUBBLICITA’

Un altro appunto che viene spesso sollevato dagli evasori del canone è che la tv pubblica non dovrebbe mandare in onda pubblicità (proprio perché teoricamente giustifica la sua esistenza sul pagamento del tributo statale). Non è forse che questo che la differenzia dalla tv privata?

SANZIONI PER IL MANCATO PAGAMENTO DEL CANONE RAI

Il 31 gennaio 2012 è scaduto il termine per il pagamento del canone (che quest’anno ammonta a 112 euro, un euro e cinquanta in più rispetto al 2011): tuttavia, come ricordano di continuo spot pubblicitari (ed è meglio non specificare quanto sono costati questi stessi spot), viene concessa una deroga temporale, fino alla fine di febbraio, per mettersi in regola con il pagamento (aggiungendo qualche euro di penale). Ma cosa prevede la legge in caso di mancato pagamento del canone RAI?

Al possessore del televisore arriverà l’intimazione di pagamento, che ha funzione di accertamento e costituzione in mora anche ai fini dell’interruzione del termine di prescrizione (termine ordinario di dieci anni come da convenzione generale non essendo diversamente indicato dalla legge). Sul termine di prescrizione decennale dell’imposta si è espressa anche la Corte di Cassazione con le sentenze numero 18110/2004 e 18432/ 2005. Va precisato però che la prescrizione non è automatica ma deve essere eccepita dal debitore (il termine per il ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria è di 60 giorni; in via alternativa è possibile proporre atto di opposizione all’esecuzione ex art 615 c.p.c. dinanzi al giudice di pace).

In base ai massimali aggiornati al 2012, la sanzione per il mancato pagamento del canone Rai può arrivare fino a 619 euro per ogni annualità evasa.

COME FARE PER NON PAGARE IL CANONE RAI LEGALMENTE

La Legge prevede alcune esenzioni per il canone ma i requisiti sono molto restrittivi:

  1. Essere over 75 anni prima della scadenza di pagamento;
  2. Non convivere con individui diversi dal coniuge che abbiano reddito proprio;
  3. Avere un reddito massimo, sommato anche a quello del coniuge convivente, non superiore ai 516,46 euro mensili.

 

In linea generale istigare al non pagamento di una tassa rappresenta, nel caso in cui la condotta sia idonea a cagionare l’evento, un illecito (anche se di fatto resta impunito perché non si è approfondito quale norma deve essere applicata, se il reato di istigazione a disobbedire alle leggi di ordine pubblico o l’art. 1 del D.lgs. del Capo provvisorio dello Stato del 7 novembre 1947 n. 1559, che punisce chi si attiva per ostacolare il pagamento delle imposte. Ma un conto è istigare all’evasione fiscale, un altro è riflettere sulla legittimità di una tassa.

E’ possibile disdire l’abbonamento alla Rai (così chiamato impropriamente anche nel sito della Rai stessa) tramite raccomandata A/R all’ufficio di Torino solo se si verificano precise condizioni: cessione degli apparecchi detenuti, comunicazione di non detenzione di alcun apparecchio oppure mediante la richiesta di suggellamento degli apparecchi stessi e pagando € 5,16 per ogni apparecchio da suggellare (art. 10 R.D.L. 21.2.1938 n. 246). Per mezzo del suggellamento gli apparecchi vengono resi inutilizzabili, solitamente chiusi in appositi involucri.

In ogni caso per il controllo porta a porta è richiesto un apposito permesso rilasciato dal giudice.

PETIZIONE PER L’ABOLIZIONE CANONE RAI

L’eurodeputata leghista Mara Bizzotto ha avviato una raccolta di firme per una petizione da presentare al Parlamento di Bruxelles per l’abolizione del canone Rai. E’ ovvio infatti che lo Stato italiano non ha interesse a perdere questa entrata, sebbene parziale al netto dell’evasione. La prima ratio della petizione consiste nel non riconoscimento del servizio pubblico offerto. L’iter è simile a quello proposto nel caso dei rifiuti di Napoli. A decidere sarà la Commissione Europea.

CONFRONTO TRA TV ITALIANA E ALTRI STATI EUROPEI

In Spagna il canone Rai non esiste. Per il resto la media europea è superiore all’importo dell’imposta in Italia. In Francia si pagano circa 120 euro annui, in Germania si sale a 215 euro (ma il servizio pubblico offre più di tre reti e molta meno pubblicità). La tv pubblica più cara è quella svizzera (i contribuenti pagano in media 365 euro l’anno).

COME SAREBBE LA TV SE TUTTI PAGASSERO IL CANONE?

Fino ad una eventuale abolizione del canone il punto su cui riflettere è anche un altro: come sarebbe la tv pubblica se tutti pagassero il canone? Avremmo programmi di maggiore qualità o non cambierebbe nulla nei contenuti? Queste proposte sono solo sintomo di poca disponibilità economica o sono lo specchio dell’Italia e di quello che parte degli italiani vuole vedere in tv?