L’inflazione a febbraio avrebbe superato il 6.000% su base annua nel Venezuela, dove il Fondo Monetario Internazionale prevede che arriverà quest’anno al 13.000%. In altre parole, i prezzi negli ultimi 12 mesi sarebbero aumentati di 60 volte. In effetti, per acquistare un kg di zucchero servono ormai 250.000 bolivares, che al mercato nero farebbero poco più di 1 dollaro, ma che rappresentano circa i due terzi del salario minimo mensile di un lavoratore. In pratica, lavorare full-time un intero mese di consentirebbe a mala pena di comprare un chilo e mezzo di zucchero.

Evidente che siamo al collasso economico di uno dei paesi più ricchi al mondo negli anni Settanta. Negli ultimi 4 anni, il pil è crollato del 40% e quest’anno dovrebbe arretrare di un altro 15%, sempre secondo le statistiche internazionali. Dinnanzi a un disastro economico che non ha eguali nel mondo contemporaneo, il presidente Nicolas Maduro ha appena tirato fuori l’ultimo coniglio dal cilindro per combattere l’iperinflazione. Quale? Togliere tre zeri alle banconote.

Dal prossimo 6 giugno verranno emessi nuovi biglietti dal taglio di 50 bolivares, che sostituiranno quelli da 50.000 emessi solo lo scorso anno. A questo punto, se non venissero sostituiti subito anche i biglietti di taglio più alto, si avrebbe il paradosso per cui le banconote da 50 varrebbero la metà di quelle da 100.000. In ogni caso, siamo dinnanzi a una finta soluzione. L’intento della misura sarebbe di ricondurre i prezzi ai livelli di qualche anno fa, quando si muovevano ancora in una logica a diversi zero in meno, per cui una banconota da 100 bolivar valeva non meno di 4 dollari sul mercato nero all’esordio della presidenza Maduro nel 2013, quando oggi per la stessa cifra servirebbe quasi un milione di bolivares.

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Nelle ultime settimane, Caracas avrebbe incassato 5 miliardi di dollari con l’emissione di 100 milioni di Petro, una moneta digitale formalmente garantita da petrolio o altre materie prime.

Gli USA hanno imposto l’embargo ai propri cittadini, banche e società anche con riferimento all’acquisto di tale valuta, che in tanti all’estero, ma anche tra le opposizioni venezuelane, definiscono “fake”. Quale che sia la reale cifra incassata attraverso il “mining” di una moneta virtuale che imita i Bitcoin, è tutto grasso che cola per Maduro, che può disporre ancora solo di riserve valutarie per poco sopra i 9 miliardi, quando dovrebbe pagare solo quest’anno almeno 8 miliardi in scadenze debitorie.

Petrolio ai minimi da 35 anni

L’unica risorsa che consente al Venezuela di far affluire dollari è il petrolio, le cui estrazioni sono scese a febbraio a meno di 1,6 milioni di barili al giorno, il dato più basso degli ultimi 35 anni circa, conseguenza dei bassi investimenti realizzati dall’industria negli ultimi anni e dell’assenza di valuta straniera con cui stringere adesso partnership per cercare di sostenere le estrazioni dai pozzi attivi e trivellare nuovi giacimenti. Il peggio, tuttavia, per la compagnia petrolifera statale PDVSA potrebbe arrivare, se è vero che alcuni segnali in arrivo dall’amministrazione Trump lascino presagire tempesta a Caracas.

In pochi giorni, il presidente americano ha cambiato due uomini-chiave della sua squadra di governo: il segretario di Stato e il consigliere alla Sicurezza Nazionale. Rex Tillerson, ex boss di Exxon, è stato sostituito dal capo della CIA, Mike Pompeo; il generale H.R. McMaster da John Bolton. Cosa hanno in comune Pompeo e Bolton? Sono due “falchi”, avendo idee di politica estera e sulla sicurezza ben più decise e forti dei predecessori. E nel mirino dei nuovi responsabili della politica estera e della sicurezza nazionale americana vi sarebbe, tra l’altro, proprio il Venezuela. Finora, Trump è stato convinto a non comminare la massima sanzione possibile contro Caracas, ossia l’embargo contro le sue esportazioni di petrolio o il blocco delle importazioni di petrolio venezuelano negli USA.

A questo punto, non si potrebbe più escludere niente. E si consideri che attualmente solo 800.000 barili al giorno generino entrate reali nelle casse della compagnia, visto che il resto è vincolato al pagamento dei debiti e alle forniture semi-gratuite di greggio agli alleati di Petrocaribe. In sostanza, basterebbe che l’America bloccasse le importazioni dal paese andino per mandarlo definitivamente KO e farne cadere il regime. Che i nuovi membri dell’amministrazione Trump spingeranno per agire in tal senso prima delle elezioni presidenziali (farsa) di maggio?

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