Se c’è un aspetto positivo che i lavoratori conoscono con riguardo alla bassa crescita dei prezzi è che il loro potere di acquisto tende a mantenersi stabile, anche a salari invariati. Uno degli effetti della potente crisi finanziaria, esplosa negli USA nel 2008 e che si è subito trasformata in recessione economica, colpendo anche l’Italia, è il rallentamento dell’inflazione. Ne sanno qualcosa i banchieri centrali principali del pianeta, che non riescono da anni a riportare l’inflazione verso i rispettivi target. L’Italia ha una storia negativa sul fronte dei prezzi, in quanto negli anni Settanta e Ottanta ha vissuto una stagione molto più disordinata che nel resto delle economie avanzate, registrando tassi di crescita annuali dei prezzi finanche del 20%.

Rivalutazione TFR, rendimenti reali stabili

I salari e gli stipendi non sono cresciuti negli ultimi anni nel nostro paese, a causa proprio della crisi e dell’alto tasso di disoccupazione. Tuttavia, si potrebbe sperare che i lavoratori possano almeno confidare in una rivalutazione reale degli accantonamenti con il TFR maggiore che in passato. Invece, analizzando i numeri, si scopre un’amara sorpresa. Dal 2006 alla fine del 2015, l’Italia ha registrato un’inflazione cumulata di circa il 17%. Ora, il TFR viene rivalutato ogni anno dell’1,5% fisso, a cui si somma il 75% dell’indice di crescita dei prezzi. Pertanto, nel corso dell’ultimo decennio, mediamente si è registrata una rivalutazione del TFR del 30%, il 13% in più dell’inflazione. Nel decennio precedente, quello che va dal 1996 al 2005, l’inflazione cumulata in Italia ha sfiorato il 25%, per cui il TFR annualmente si è rivalutato in media del 4%, ovvero del 13% in più dell’inflazione nell’intero periodo.      

Accantonamenti TFR mostrano rendimenti più bassi del mercato

Dunque, ad occhio e croce, mentre l’inflazione ha rallentato la sua corsa di circa 3 quarti di punto all’anno, per effetto dei criteri di rivalutazione, il TFR accantonato è cresciuto anch’esso meno che in passato, tenendo il passo del decennio precedente, in termini reali.

Risultato: nessun beneficio ne è derivato al lavoratore dall’abbassamento dell’inflazione. Il meccanismo creato con la rivalutazione, infatti, non ha consentito di sfruttare al meglio le potenzialità di questa fase. Va detto, per contro, che gli stessi tassi di mercato sono stati inferiori che in passato, per cui anche se i rendimenti offerti dai fondi pensione si sono dimostrati più elevati di quelli del TFR, almeno nel lungo periodo che va dal 2000 al 2014, battendo questi ultimi di oltre il 10% in tutto. Non è questo lo scenario che ha dinnanzi a sé l’Italia per fortuna, ma se l’inflazione salisse al di sopra del 6%, il TFR si rivaluterebbe a un tasso inferiore, ovvero si svaluterebbe in termini reali. Quello sarebbe il limite, oltre il quale la rivalutazione non terrebbe il passo con la crescita dei prezzi. Almeno questo, però, dovremmo realmente risparmiarcelo.