Scontro tra Francia e Germania su successione Draghi Dopo Mario Draghi deve esserci un tedesco a capo della BCE. La richiesta è arrivata il mese scorso niente di meno che da alcuni esponenti di spicco del centro-destra al governo di Berlino, quasi un avvertimento che i conservatori hanno voluto dare alla cancelliera Angela Merkel, perché sin da ora tratti ai massimi livelli una successione teutonica a Francoforte. Parlare del dopo-Draghi appare quasi stupefacente, considerando che il mandato del governatore scadrà solamente il 31 ottobre del 2019, ovvero tra quasi 3 anni e mezzo.

Stando a quanto accaduto in precedenza, solamente nella primavera di quell’anno inizieranno formalmente le trattative tra i governi per individuare un successore.

Successione Draghi già iniziata, ma avverrà nel 2019

Eppure, nel board della BCE si sta già sgomitando per ipotecare il futuro dell’istituto. Un primo segnale è arrivato dalla stessa Bundesbank, che ha stupito il mese scorso, quando il governatore Jens Weidmann, da sempre considerato un “falco” e oppositore di Draghi, ne ha preso le parti contro il governo tedesco, difendendolo, in particolare, dagli attacchi del ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, il quale aveva pubblicamente addebitato all’italiano la responsabilità dell’avanzata degli euro-scettici in Germania. Come mai, nel momento di massima crisi dei rapporti tra Draghi e Berlino, la Bundesbank non ha preso la palla al balzo per girare il coltello nella piaga e indebolire il primo? La risposta sta proprio nell’ambizione di Weidmann di succedere all’attuale governatore alla scadenza del mandato. Per farlo, però, dovrà essere meno divisivo, perché sarebbe impensabile che a guidare il board alla fine del 2019 sia un uomo, che negli anni precedenti è stato sempre in minoranza, essendo stato contrastato e battuto dalla maggioranza dei banchieri centrali dell’Eurozona.      

Scontro tra Germania e Francia su Draghi

Verrebbe meno la credibilità dell’istituto e a farne le spese sarebbe l’efficacia della politica monetaria.

Per questo, se abbiamo compreso bene quanto stia accadendo, Weidmann reciterà nei prossimi mesi il ruolo del paciere, del bastian contrario accomodante, di colui che pur non rinunciando a una visione autonoma sulla politica monetaria, non ostacolerà Draghi nell’adottare misure ancora più “estreme”. Di certo, dovrebbe rinunciare a creare alleanze contro il governatore, che lo metterebbero in cattiva luce nell’ottica della successione. Peccato per lui, però, che a contendere la guida dell’istituto ai tedeschi vi sarebbero i francesi, come dimostra l’attacco diretto di oggi del governatore della Banca di Francia, François Villeroy de Galhau, il quale ha definito “eccessive e pericolose” le critiche di Berlino, sostenendo che le misure non convenzionali della BCE non sarebbero una “fantasia latina”.

I tedeschi non accetteranno una terza guida latina

E se questa corsa non solo a difendere Draghi, ma anche a rimarcare le distanze con la Bundesbank fosse finalizzata ad accreditarsi come un papabile futuro governatore della BCE? Parigi non avrebbe certo le carte in regola per chiedere la poltrona più ambita di Francoforte, avendola ricoperta per 8 anni con il predecessore Jean-Claude Trichet (2003-2011). Se guardiamo bene agli avvicendamenti dalla nascita dell’euro ad oggi, notiamo che si è passati da una guida filo-tedesca sotto l’olandese Wim Duesenberg ad una francese con Trichet, arrivando all’Italia con Draghi. Detto esplicitamente, la presidenza è passata nelle mani dei principali paesi dell’Eurozona (Germania, Francia e Italia). Se dovesse essere seguito lo stesso criterio, il prossimo governatore dovrebbe essere spagnolo, ovvero della quarta economia dell’area, ma è improbabile che dopo due guide “latine”, i tedeschi ne accettino una terza.      

Francesi faranno da mediatori?

D’altra parte, però, è vero che la Germania non ha mai avuto un suo uomo a capo dell’istituto, ma tutti sanno che Duesenberg sia stato nominato in rappresentanza di Berlino.

Dunque, nemmeno i tedeschi potrebbero rivendicare così facilmente il diritto alla successione. E proprio qui s’insinuerebbe la Francia. Dinnanzi a un ipotetico stallo – il Sud Europa non vorrebbe Weidmann e la Germania non vorrebbe un banchiere del Sud Europa – Parigi potrebbe giocare la carta della mediazione, potendo contare sia sul sostegno di paesi come Italia e Spagna, sia quanto meno sul mancato veto tedesco. Quand’anche i francesi non riuscissero a tornare in prima persona alla guida di Francoforte, potrebbero diventare “kingmakers”, i designatari del prossimo governatore, magari da trovarsi nell’area francofona d’Europa.

Mario Draghi premier anticiperebbe i piani

Paradossalmente, Draghi potrebbe giovarsi di questo clima di ricerca spasmodica di un suo successore, quando mancato ancora più di tre anni al suo addio alla carica. Nessun reale contendente, infatti, rischierà di bruciarsi nei prossimi mesi con un attacco agguerrito contro la sua persona e/o le sue politiche. Certo, il discorso cambierebbe se la fine del mandato fosse anticipata per una qualche ragione. Si vocifera che Draghi sarebbe in pole position per Palazzo Chigi, nel caso in cui il governo Renzi dovesse cadere alla fine dell’anno, a seguito di una possibile sconfitta al referendum costituzionale. Appare strano che il governatore rinunci all’unica vera carica influente e decisiva per le sorti dell’Eurozona non solo economica, per fare da passante a Roma, dove conosciamo già la durata dei governi tecnici. Al più tardi si voterebbe tra meno di due anni, per cui l’indiscrezione non sembra molto credibile. Eppure, forse, qualcuno a Francoforte ci crede e ci spera e tifa per Mario Draghi premier.