Abbiamo sentito spesso utilizzare nel mondo finanziario espressioni come “investire long” o “investire short”, o anche “andare lungo” o “andare corto” su un titolo. Ma vi siete mai chiesti cosa significano? Vi spieghiamo adesso in maniera sintetica e semplice quando e come avvengono le strategie “lunghe” e quando e come si utilizzano quelle “corte”. Un investimento “long” si ha, quando chi lo effettua ha una posizione rialzista su uno strumento finanziario. E’ forse la forma di investimento più comunemente nota ai non addetti ai lavori, anche perché è semplice da comprendere.
Scommettere al ribasso, come funziona
In pochi sanno, però, che si possono fare affari, anche quando il corso di un titolo scende. Sembra un po’ complicato ragionare al contrario, ma tant’è. Si definisce investimento “short”, quello fondato sulla scommessa al ribasso di uno strumento finanziario. In pratica, l’investitore qui ritiene che un certo titolo sia sopravvalutato e spera di ottenere un profitto proprio dal presumibile calo del suo prezzo. Ma come riuscirà a guadagnarci sopra? Immaginiamo che il titolo di una società quotata valga oggi 1 euro e che un investitore, analizzando i suoi fondamentali, crede che sia destinato a scendere di prezzo. Pur in assenza della disponibilità materiale delle azioni della società, egli decide di venderne 1.000 ai prezzi di mercato, facendosele prestare da un broker (banca, altro intermediario), il quale pretenderà un certo tasso d’interesse, qualora l’operazione non si concluda in giornata, oltre alla commissione.
Lo short selling può anche essere “nudo”
L’operazione di riacquisto di un titolo si definisce in gergo anche “ricopertura tecnica”. Le ricoperture, quando avvengono in dimensioni tali da influire sui corsi, determinano spesso una risalita dei prezzi di uno strumento finanziario, che i non addetti ai lavori tendono a confondere a volte con un’inversione del trend del mercato. In realtà, accade semplicemente, che quando si concentrano in breve tempo acquisti per ricoprirsi, in relazione a un investimento “short” effettuato da una moltitudine di traders, per effetto della maggiore domanda il corso del titolo in oggetto sale, salvo ridiscendere successivamente. Fin qui vi abbiamo mostrato come funziona lo “short selling”, ossia la vendita allo scoperto di un titolo assistito dalla disponibilità materiale, per quanto attraverso un prestito. Ma questa operazione può realizzarsi anche in modalità “naked” o “nuda”, ovvero senza che l’investitore disponga degli strumenti finanziari ceduti, che acquisterà o si farà prestare anche un attimo prima della chiusura dell’operazione stessa.
Norme europee limitano lo short selling
Secondariamente, lo “short selling” è sì una scommessa al ribasso, ma come quella rialzista è basata sullo studio dei fondamentali. Non avrebbe senso scommettere al ribasso i miei soldi sul titolo di una società, che macina profitti sempre più elevati, anche in rapporto al suo valore di capitalizzazione in borsa. Quando si scommette al ribasso è perché si ha la presumibile convinzione che quel titolo sia sopravvalutato per una qualche ragione. E le posizioni nette corte e quelle nette lunghe permettono al mercato di capire quale sia la valutazione in una data fase degli investitori su un titolo. Esempio: se aumentano le posizioni nette corte sul future per il Brent, mentre diminuiscono quelle nette lunghe, significa che gli investitori stanno abbassando le loro previsioni sui prezzi del greggio, scommettendo al ribasso. Ciò consentirà al resto del mercato di muoversi di conseguenza, evitando all’una e all’altra parte di rimanere scottata per un andamento futuro inatteso delle quotazioni. Eppure, la stessa legislazione europea ha limitato la possibilità di ricorrere allo “short selling”, normandolo con la Regolamentazione UE 236/2012, in vigore dall’1 novembre del 2012. Essa prevede tra le altre cose il divieto di effettuare investimenti corti “nudi” sui titoli di stato e sui cds su emittenti sovrani, nonché l’obbligo di comunicare le posizioni nette corte alle autorità di vigilanza, qualora esse ammontino ad almeno lo 0,2% del capitale della società quotata emittente o quando esse siano pari ad almeno lo 0,5% del proprio capitale sociale.
I rischi degli investitori ribassisti
Certo, va anche detto che l’investimento allo scoperto non è scevro da alti rischi. Chi scommette al rialzo, infatti, può perdere potenzialmente fino al 100% del capitale investito, non di più. Esempio: compro 1.000 azioni di una società a 1 euro ciascuna, per cui spendo 1.000 euro. Scommetto su un loro rialzo, mentre a causa di un evento inatteso, il loro prezzo si azzera. Avrò perso l’intero capitale. Chi scommette corto, invece, rischia perdite potenzialmente illimitate, derivanti dall’andamento opposto dei prezzi rispetto alla direzione desiderata. Esempio: compro 1.000 azioni di una società a 1 euro ciascuna, scommettendo su un loro ribasso. Tuttavia, contrariamente alle previsioni, il titolo esplode in borsa e sale, poniamo, a 10 euro. La mia spesa sarà pari a 10.000 euro (1o x 1.000), per cui la perdita sarà 10 volte più alta del capitale investito, ma potrebbe persino essere illimitatamente più alta, nel senso che, a differenza di una posizione rialzista, non si è in grado di conoscere con anticipo la perdita massima sostenibile. In realtà, gli strumenti di “stop loss” consentono anche allo “short seller” di impostare un tetto massimo alle perdite.