Vi ricordate il tweet di Bill Gross, ex boss di Pimco, fondo obbligazionario numero uno al mondo, risalente all’aprile del 2015, quando il manager espresse l’intenzione di “shortare” i Bund, ritenendo l’operazione l’occasione della vita? Dopo qualche seduta scattava il sell-off, i rendimenti decennali tedeschi iniziano a risalire (era passato poco più di un mese dall’inizio degli acquisti di assets da parte della BCE con il “quantitative easing”), passando dall’allora minimo storico dello 0,079% allo 0,92% del 21 giugno.

In quattro mesi, erano aumentati di quasi 12 volte, pur restando in valore assoluto bassissimi.

Da lì in poi, però, tornarono a scendere, complici due fenomeni: l’inflazione tedesca calante, che proprio dalla metà del 2015 si azzerava per tornare successivamente in territorio negativo e le tensioni nell’Eurozona sulla Grexit. Erano le settimane del braccio di ferro tra il premier greco Alexis Tsipras e i creditori pubblici, che portò Atene a un passo fuori dall’Eurozona. (Leggi anche: Bund a 10 anni, svolta vicina?)

Inflazione tedesca quasi al 2%

Fungendo i Bund da rifugio contro le tensioni internazionali, naturale che siano scattati gli acquisti, perduranti fino all’estate scorsa, quando i rendimenti decennali tedeschi scesero fino a un minimo a fine seduta del -0,186%. Da allora, sono tornati a crescere di una cinquantina di punti base, pur restando ancora una volta praticamente azzerati e attestandosi oggi intorno allo 0,30%.

Rispetto a quasi due anni fa, però, l’inflazione tedesca sta accelerando e anche più velocemente delle attese, arrivando il mese scorso all’1,7%, sostanzialmente al target della BCE per l’intera unione monetaria, che è poco inferiore al 2%. Se i prezzi crescono, è come se i rendimenti nominali diminuissero, per cui o altre cause giustificano una loro stabilizzazione ai livelli attuali, oppure non potranno che ricrescere. (Leggi anche: Quantitative easing a rischio, ecco perché gli stimoli di Draghi potrebbero durare meno del previsto)

 

 

 

 

Meno conveniente investire in Bund

E’ proprio questo il punto di domanda: quando e in che misura i prezzi dei Bund caleranno e i rendimenti saliranno? La risposta ha molto a che fare con la BCE di Mario Draghi, che continuerà ad acquistare titoli di stato dell’Eurozona, esclusi quelli greci, fino alla fine dell’anno.

Poiché la Germania registra un avanzo fiscale di circa l’1% del pil, emetterà quest’anno meno titoli del debito rispetto a quanti ne arriveranno in scadenza. In sostanza, Berlino mostra un’offerta negativa e considerando che Francoforte dovrebbe acquistare non meno di 160 miliardi di Bund nel 2017, la pressione sui rendimenti resterà al ribasso per una domanda ancora eccessiva.

Tuttavia, il canale privato potrebbe trovare meno conveniente con il passare dei mesi puntare sui titoli tedeschi. In primis, perché un’inflazione prossima al 2% giustifica ancora meno che in passato l’acquisto di un titolo con un rendimento decennale di circa 6 volte più basso. A conti fatto, significherebbe rimetterci ogni anno e per dieci anni circa l’1,5%, quasi un sesto dell’intero investimento da qui alla scadenza. Inaccettabile. (Leggi anche: Effetto Trump, inflazione attesa accelera e trascina in basso i bond)

Montano le tensioni geo-politiche

Come dicevamo, però, quando i tempi sono imperscrutabili e le tensioni montano, i beni-rifugio diventano appetibili. Investire nei Bund potrebbe ancora rivelarsi interessanti nei prossimi mesi, essendo l’Eurozona alle prese con le elezioni in Olanda, Francia, Germania e dovendo la UE negoziare la Brexit dalla prossima primavera, con esiti che non siamo ancora in grado di immaginare del tutto.

I movimenti euro-scettici dovrebbero registrare un exploit proprio nei tre suddetti stati, ma quasi certamente non arriveranno al governo né a Berlino, né a Parigi, dove la candidata alle presidenziali Marine Le Pen dovrebbe soccombere contro il conservatore François Fillon; almeno, così dicono i sondaggi.

Il Partito delle Libertà in Olanda potrebbe, invece, puntare a un governo di coalizione con il centro-destra del premier uscente Mark Rutte, cosa già avvenuto nel recente passato, ma appare remota la possibilità che la quinta economia dell’Eurozona esca dall’area. (Leggi anche: Elezioni Francia, Fillon straccia Le Pen nei sondaggi)

 

 

 

 

Rendimenti dei Bund in risalita dall’autunno?

Una volta somatizzati i risultati e toccato con mano, per dirla alla Barack Obama, che “il sole continuerà a sorgere la mattina seguente”, i mercati finanziari allevieranno le tensioni e torneranno a normalizzarsi, concentrandosi sui fondamentali. Sta accadendo lo stesso negli USA, dove la temutissima vittoria di Donald Trump si è tradotta in occasione per investire sul mercato azionario e per fuggire da quello dei bond, in previsione di un’inflazione americana maggiore.

Se quanto stiamo ipotizzando risultasse vero, dovremmo immaginare che i rendimenti dei Bund torneranno a risalire piuttosto nettamente a partire dall’autunno prossimo, quando l’intero ciclo elettorale europeo si sarà esaurito per quest’anno. Resta, però, il caso Italia, dove al più tardi nel febbraio dell’anno 2018 si rinnova il Parlamento e il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo potrebbe arrivare primo e vincere le elezioni. (Leggi anche: Investire in Europa nel 2017 potrebbe diventare un affare)

Rendimenti BTp prossimi al 3% con la fine del QE

Le pressioni ribassiste sui rendimenti dei Bund, pertanto, dovrebbero rimanere per un altro anno, ma si consideri che con l’avvicinarsi della fine del 2017, il mercato inizierà a scontare il venir meno degli acquisti della BCE, riposizionandosi su rendimenti maggiori per tutti i titoli di stato.

In assenza di anomalie sul piano geo-politico, i rendimenti dei Bund potrebbero schizzare fin sopra l’1%, puntando con ogni probabilità all’1,2-1,3%, qualora l’inflazione tedesca si stabilizzasse intorno o poco sotto al 2%. D’altronde, a luglio, quando i rendimenti dei Bund erano crollati fin quasi al -0,2% e sembrava scontata la vittoria di Hillary Clinton negli USA, l’inflazione in Germania era ancora dello 0,4%, ovvero di 600 punti base superiore ai primi.

Ciò ci porta a ipotizzare, che il mercato arriverebbe, in condizioni normali, a richiedere rendimenti decennali a Berlino fino al -0,6/-0,7% in meno del tasso d’inflazione. Per l’Italia, significa prepararsi a sostenere rendimenti a 10 anni sui BTp nell’ordine del 2,7-2,8%, sempre che le tensioni politiche pre-elettorali non montino. Sì, sarà un bagno di sangue, meno repentino di quanto crediamo, ma pur sempre un bagno di sangue. (Leggi anche: Rendimenti negativi, trappola fatale per banche centrali e investitori)