2.500 franchi al mese per tutti in Svizzera. Referendum il 5 giugno. La Svizzera è chiamata il prossimi 5 giugno a votare per un referendum sull’introduzione di un reddito minimo garantito a tutti i residenti senza alcuna condizione. L’iniziativa, che è già stata bocciata dal Parlamento federale, socialisti inclusi, punta a garantire a ogni adulto un reddito non inferiore ai 2.500 franchi al mese (2.250 euro), 625 franchi per i figli (555 euro circa). Per coloro che lavorano, guadagnando meno del livello minimo sopra indicato, vi sarà un’integrazione esentasse, mentre i disoccupati privi di reddito potranno ottenere l’intero assegno.

La misura, spiegano i proponenti, sarebbe sostitutiva di alcuni programmi di assistenza sociale e mira a liberare i cittadini elvetici dal bisogno di lavorare per sopravvivere, nonché dal flagello della disoccupazione, che gli stessi ritengono potrebbe riguardare un lavoratore su due entro il prossimo decennio, a causa del progresso tecnologico.

Costi stimati in 25 miliardi l’anno

Secondo i sostenitori del “sì”, se il referendum passasse, gli svizzeri avrebbero più tempo per formarsi e di conseguenza per svolgere lavori più qualificati, cosa oggi non sempre possibile, perché vi è la necessità di lavorare per pagare le bollette. I contrari ritengono, invece, che la misura potrebbe disincentivare al lavoro, rendendo poco o nulla conveniente l’occupazione poco qualificata, quella meno pagata. Il governo di Berna sostiene che il reddito minimo garantito costerebbe ogni anno allo stato federale 25 miliardi di franchi e che per sostenerla, sarebbero necessari aumenti delle tasse e tagli alla spesa pubblica. La risposta mediatica dei proponenti è “tassate l’1%”, ovvero replicano che in un paese ricco come la Svizzera vi sarebbero le risorse sufficienti a garantire l’implementazione del reddito minimo, tassando l’1% più benestante della popolazione. [tweet_box design=”box_09″ float=”none”]Svizzeri votano su reddito di cittadinanza, #referendum storico[/tweet_box]      

Sondaggi referendum Svizzera pessimistici

L’impatto sull’economia elvetica potrebbe essere anche meno visibile di quanto non ci si aspetti.

Si consideri che il reddito medio pre-tasse di un cittadino svizzero è oggi di 6.427 franchi al mese, mentre il livello di reddito, al di sotto della linea di povertà è di 2.219 franchi. Ne consegue, che in pochi beneficerebbero dell’assegno garantito dallo stato e che questo servirebbe appena a mantenere uno svizzero al di sopra della soglia di povertà. Sarà forse per questo, che i sondaggi assegnano scarse chance di vittoria ai “sì”, che arriverebbero non oltre il 40%. D’altronde, gli svizzeri si sono sempre mostrati un popolo democraticamente maturo e pragmatico e ogni volta che sono andati a votare, hanno segnalato la loro indisponibilità a cedere a iniziative populiste e che possano danneggiare il business. Per questo, negli ultimi anni hanno respinto con il voto la richiesta d’introduzione di un salario minimo, di un tetto agli stipendi dei manager, di maggiori tasse sugli stranieri o di un minore numero di ore lavorative settimanali.

Differenze con salario minimo

Affinché la proposta di iniziativa popolare sia approvata, è necessaria che ottenga il voto favorevole della maggioranza assoluta degli elettori e dei 26 cantoni del paese alpino. Il reddito minimo garantito o di base non deve essere confuso con il salario minimo. Infatti, qui si tratta di garantire a ogni individuo residente legalmente in Svizzera un reddito minimo, in cambio di nulla. Non importa che il beneficiario lavori o meno, perché l’unica condizione prevista dai referendari è in questo caso che egli percepisca un reddito inferiore ai 2.500 franchi mensili, nel quale caso sarebbe integrato fino a quel livello.      

Anche la Finlandia ipotizza reddito minimo al posto dei servizi

La Svizzera non è l’unico paese a dibattere su una simile misura.

Si consideri che la Finlandia del premier conservatore Juha Sipila sperimenterà a partire dal prossimo anno l’introduzione di un reddito garantito per 10.000 di cittadini, ciascuno dei quali beneficerà per due anni di 550 euro al mese. Nell’idea dell’esecutivo di Helsinki, il reddito minimo dovrebbe sostituire i servizi pubblici e i piani di assistenza sociale. In altri termini, lo stato assicurerebbe il welfare non con l’erogazione di servizi o di assegni assistenziali, bensì offrendo a tutti un reddito, in grado di consentire a ciascun cittadino di godere dell’assistenza di cui ha bisogno, ma scegliendosi individualmente i servizi a cui attingere. La proposta elvetica presenta, però, un punto debole: legando l’erogazione del reddito minimo a quello percepito autonomamente, di fatto disincentiva al lavoro. Se lo stato mi versa ogni mese sul conto 2.500 franchi anche se non lavoro, mentre se guadagno 2.000 franchi, per ipotesi, me ne eroga solo 500 (quelli necessari per arrivare a 2.500), perché mai dovrei lavorare? Il rischio è, quindi, che la misura diventi distorsiva, spingendo i bassi salariati a non lavorare più, ma potenzialmente provocando una carenza di occupati a bassa qualifica, che si tradurrebbe nel tempo in un aumento dei prezzi per alcuni beni e servizi. Vero è che dai risultati di una ricerca effettuata da DemoScope parrebbe che solo il 10% degli intervistati prenderebbe in considerazione di lasciare il lavoro, il resto continuare a restare occupato. La metà trascorrerebbe più tempo in famiglia e un altro 40% si spenderebbe di più per il volontario. Queste ultime risposte, però, lascerebbero supporre che in un qualche modo l’integrazione al reddito porterebbe molti lavoratori ad optare per qualche ora in più di tempo libero a settimana.