Venerdì scorso, i prezzi del petrolio sono precipitati del 4% sugli scarsi progressi compiuti da Arabia Saudita e Iran ai colloqui preliminari per il vertice OPEC, convocato informalmente ad Algeri tra oggi e mercoledì. Le quotazioni del Brent sono scivolate a 46,07 dollari e quelle del Wti americano a 44,67 dollari. Il clima resta di grande attesa per l’esito della riunione dei 14 rappresentanti degli altrettanti paesi appartenenti al cartello, ma lo scetticismo è elevato. Stando alle indiscrezioni, Riad avrebbe offerto a Teheran un accordo, in base al quale s’impegnerebbe a tagliare la produzione, ma pretenderebbe in cambio un “congelamento” di quella iraniana.

In questi mesi, i sauditi stanno estraendo greggio dai pozzi al ritmo di 10,7 milioni di barili al giorno, ai massimi da sempre, mentre gli iraniani avrebbero già aumentato le loro estrazioni di 800.000 barili al giorno quest’anno, grazie alla fine dell’embargo dell’Occidente contro le sue esportazioni, arrivando al momento intorno ai 3,62 milioni di barili quotidiani. Tuttavia, il ministro del Petrolio iraniano, Bijan Zanganeh, spiega da mesi come il suo paese punti a tornare ai livelli produttivi pre-sanzioni, ovvero a 4 milioni di barili al giorno. Dunque, in assenza di un mutamento dell’obiettivo, l’Iran dovrebbe voler far aumentare la sua produzione di un altro 10%. (Leggi anche: Petrolio, segnali non positivi dall’OPEC)

Accordo tra Arabia Saudita e Iran appare improbabile

L’offerta saudita avrebbe scarse probabilità di successo, tranne che la mediazione improvvisata nelle settimane scorse dal presidente russo Vladimir Putin non vada in porto. Riad non ha intenzione di cedere quote di mercato all’arci-nemico mediorientale, ma nemmeno Teheran intende sacrificare la sua produzione, essendo già stata penalizzata negli ultimi 5 anni per l’effetto delle sanzioni occidentali.

Il vertice OPEC di questi tre giorni rappresenta certamente il più importante market mover per il greggio in questa fase.

Secondo gli analisti di Credit Suisse, in ogni caso non ci sarebbero le condizioni per una risalita dei prezzi oltre la soglia dei 50 dollari, ma nemmeno per un crollo sotto i 40 dollari. Dunque, le quotazioni dovrebbero continuare ad oscillare nel range 40-50 dollari, anche se l’esito della riunione del cartello potrebbe spingerle più verso l’uno o l’altro estremo della forchetta. (Leggi anche: Prezzo petrolio sotto 40 dollari con fallimento vertice OPEC)

 

 

 

 

Offerta petrolio, chi taglia?

Il dubbio resta sulle azioni future dei produttori, nel caso in cui dal vertice OPEC non scaturisse alcuna intesa. L’Arabia Saudita continuerebbe ad aumentare la sua offerta per sterilizzare la crescita di quella iraniana? E la Russia, già ai ritmi massimi da oltre un trentennio, cosa farebbe? Si tenga anche conto che paesi come Iraq, Libia e Nigeria stanno espandendo le loro rispettive estrazioni, così come al di fuori del cartello, negli USA diminuiscono molto meno delle attese. L’unico produttore, che involontariamente sta contribuendo a una riduzione dell’offerta è il Venezuela, dove le estrazioni diminuiscono per l’obsolescenza degli impianti. (Leggi anche: Venezuela, petrolio importato dagli USA)

Se tutti sono quasi costretti ad aumentare la loro offerta, venendo fuori da situazioni geo-politiche peculiari (il caso libico è il più esemplare), davvero pensiamo che i sauditi si immolino per tutti e che ravvivino i prezzi tagliando la loro offerta, quando tra tutti i grandi produttori, sarebbero gli unici a potersi permettere quotazioni basse ancora a lungo? Per questo, l’offerta avanzata a Vienna da Riad a Teheran sembra più il tentativo di fare ricadere su quest’ultima la responsabilità di un mancato accordo.