Dal workshop di Milano sui mercati finanziari, il portfolio manager global macro di Lemanik Asset Management, Maurizio Novelli, ha raffreddato gli entusiasmi sull’efficacia delle politiche monetarie ultra-espansive delle principali banche centrali, inclusa la BCE. Il manager ha spiegato come la Cina starebbe trascinando l’intera Asia verso un rallentamento strutturale della crescita economica, mentre la forza dell’economia americana nel secondo trimestre non sarebbe così scontata. Questo potrebbe porre problemi proprio all’efficacia della svalutazione dell’euro a fini competitivi, che la BCE sta attuando da mesi con il cosiddetto “quantitative easing” e con altri stimoli monetari, in modo da sostituire la carente domanda interna con le maggiori esportazioni, perché Novelli dichiara che le politiche di svalutazione del cambio funzionerebbero in una fase di crescita internazionale e se gli altri non svalutano.

Al contrario, oggi si assisterebbe a un rallentamento della crescita delle principali economie mondiali e alla svalutazione anche di altri paesi, come il Giappone.   APPROFONDISCI – Bagnai: inutile svalutare l’euro e avere un Patto di stabilità più flessibile   Per questo, a fronte dei risultati potenzialmente scarsi derivanti dalla svalutazione dell’euro, avverte, non dovrebbero essere sottovalutati gli effetti collaterali delle politiche monetarie espansive e di quelle del cambio. E conclude che l’America starebbe dimostrando di non essere in grado, a differenza dei precedenti cicli espansivi, di reggere un dollaro più forte. La maggiore crescita nel trimestre in corso non sarebbe, dunque, certa. Ennesima doccia fredda, quindi, per quanti hanno guardato con estremo favore agli interventi della BCE, che servirebbero a stimolare l’economia dell’Eurozona, attraverso un cambio più debole. Senza una solida ripresa dell’economia internazionale e se gli altri svalutano anche, il rischio è che tali stimoli comportino più effetti collaterali che benefici. E l’avvertimento di Novelli sulla scarsa capacità dell’America di sostenere un rafforzamento del dollaro spiega benissimo le difficoltà e le titubanze che la Federal Reserve continua a mostrare sull’avvio della stretta monetaria, rinviando di riunione in riunione il primo rialzo dei tassi USA dal 2006.
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