Dall’inizio dell’anno ad oggi, la borsa americana ha perso più dell’8,5%, anche se meno delle piazze finanziarie di Europa e Giappone. In Italia, ad esempio, le perdite hanno oltrepassato il 20%. E’ una fase delicata quella che si sta vivendo in queste settimane sui mercati finanziari, tra l’avvio della prima stretta monetaria negli USA dal 2006, il rallentamento dell’economia cinese, il passo lento con cui cresce l’Eurozona e il crollo dei prezzi delle materie prime, petrolio in testa.

Ma l’andamento del Dow Jones dovrebbe essere guardato con maggiore attenzione del solito in questi mesi, perché il 2016 non è un anno qualsiasi per l’America, in quanto a novembre sarà eletto il successore di Barack Obama alla Casa Bianca. Ci attendono mesi appassionanti da un punto di vista politico, quando regna ancora profonda incertezza su chi possa trasferirsi all’inizio del prossimo anno al numero 1600 di Pennsylvania Avenue, a Washington.

Dal 1980 ad oggi, cronologia di elezioni dall’esito atteso o sorprendente

Facendo un breve excursus dell’andamento di Wall Street dal 1980 ad oggi, scopriamo che il mercato azionario americano parli più di quanto non pensiamo. Al fine di monitorare le variazioni dell’indice Dow Jones nei mesi precedenti alle elezioni presidenziali, abbiamo preso in considerazione un lasso di tempo, che parte dall’inizio dell’anno e arriva fino alla fine dell’estate, non oltre. Ciò, in considerazione del fatto che i sondaggi delle settimane immediatamente precedenti al voto potrebbero avere influenzato il trend borsistico, essendo generalmente abbastanza affidabili. In sostanza, abbiamo valutato la capacità effettiva di previsione del mercato dell’esito elettorale, trovando, come vedremo tra poco, che gli investitori sarebbero sempre ostili o prudenti, rispetto a un cambio di colore politico del nuovo presidente. Non importa che sia repubblicano o democratico, perché si riscontra come vi sia sempre la tendenza a vendere, quando ci si attende un passaggio di consegne tra i 2 schieramenti.

[tweet_box design=”box_09″ float=”none”] Il prossimo presidente USA è … ce lo dice Wall Street![/tweet_box]    

Le elezioni degli anni Ottanta e le scommesse di Wall Street

Iniziamo proprio dal 1980, l’anno della prima elezione di Ronald Reagan, che impedì un secondo mandato al democratico Jimmy Carter. Il Dow Jones crebbe nel periodo pre-elettorale, fino al mese di settembre, di ben il 13%. Ma, attenzione: non erano in tanti ad aspettarsi una vittoria di Reagan, anche perché dal Secondo Dopoguerra era riuscito a tutti di ottenere la rielezione, se si eccettua il caso peculiare del presidente John Ford, subentrato dal 1974 al 1976 a Richard Nixon, dopo le dimissioni di questi per lo scandalo Watergate. In pratica, il mercato scommetteva su un secondo mandato di Carter, che non avvenne. Si tenga anche conto che la diffusione dei sondaggi 36 anni fa non era comparabile a quella di oggi. Siamo al 1984: il Dow Jones registra un calo del 3,5%, ma Reagan viene rieletto con una maggioranza schiacciante, vincendo in tutti gli stati, tranne in uno. Può apparire anche in questo caso una contraddizione rispetto a quanto detto sopra, ma il secondo mandato per l’ex attore di Hollywood non sembrava affatto scontato, perché i primi 4 anni di presidenza furono caratterizzati da una profonda spaccatura dell’America attorno alle riforme economiche, che presero il nome di Reaganomics. Il mercato si aspettava, quindi, un possibile cambio di colore politico alla Casa Bianca, da qui il calo. 1988: finisce l’era Reagan, per i democratici è l’occasione di tornare al governo. Tuttavia, l’economia americana viaggia a vele spiegate e la vittoria dell’allora vice-presidente George Bush è grosso modo attesa. Il Dow Jones sale del 7% nei mesi precedenti alla sua elezione.

       

Da Clinton a Bush, il mercato ha commesso un paio di errori di previsione

1992: reduci da una vittoria contro l’Iraq nella prima Guerra del Golfo e beneficiando del crollo del comunismo, Unione Sovietica compresa, nessuno avrebbe scommesso sulla vittoria del giovane democratico Bill Clinton alle presidenziali. La riconferma di Bush appare scontata, il mercato la fiuta e cresce del 4%. Ma succede l’impensabile: Bush viene bocciato alle urne. Memorabile la frase dell’organizzatore della campagna elettorale del vincitore: “it’s the economy, stupid!”. In effetti, il presidente in carica paga la prima recessione dell’economia americana, dopo la fase di crescita più lunga della storia recente negli USA. 1996: forte della crescita economica e di un indiscusso consenso personale, in pochi credono che Bill Clinton possa essere battuto dal conservatore Bob Dole. Il mercato non di sicuro, puntando decisamente sulla rielezione e crescendo dell’11%. Alla fine, avrà avuto ragione. 2000: dopo 8 anni al governo, per i democratici è arrivato il momento di tornare all’opposizione, quando già lo sono da 6 anni al Congresso. Al partito della sinistra americana, infatti, dopo l’era Roosevelt non è mai riuscito di ottenere il terzo mandato di fila. Il mercato non crede alla vittoria di Al Gore, ha sentore che a vincere sarà George W.Bush e cede del 9% da gennaio a settembre. Pur se in modo contestato, la vittoria sarà effettivamente assegnata al figlio dell’ex presidente. Anche in questo caso, Wall Street ci aveva visto lungo. 2004: dopo l’11 settembre e 2 guerre contestatissime in Afghanistan e Iraq, la rielezione di Bush junior appare dubbia. Il Dow Jones perde il 3,5% dall’inizio dell’anno fino al mese di settembre, ma a sorpresa il secondo mandato arriva.      

Le vittorie di Obama sono state anticipate da Wall Street

2008: la nomination del Partito Democratico per correre alla Casa Bianca è assegnata al senatore dell’Illinois, Barack Obama, che sconfigge alle primarie Hillary Clinton. In pochi si attendono un nuovo repubblicano presidente, anche perché l’economia americana scricchiola sotto i colpi della crisi dei mutui “subprime”.

Ad appena 7 settimane dalle elezioni, arriva la tempesta finanziaria: fallisce Lehman Brothers, l’America va nel panico. Anche fermandoci al mese di luglio, scopriamo che Wall Street aveva anticipato la vittoria del primo afro-americano nella storia degli States, perdendo il 18%. Parte del crollo, tuttavia, è attribuibile proprio alle avvisaglie di crisi finanziaria. E arriviamo all’ultima elezione avvenuta, quella del 2012. La sfida è tra l’uscente Barack Obama e il repubblicano e ricco Mitt Romney. Non sono in tanti a credere che i repubblicani possano già tornare al governo, pur con tutti i dubbi sull’economia americana, la cui ripresa appare ancora zoppicante. E, infatti, il mercato azionario guadagna il 10% nella fase precedente alle urne, segno che spera e confida nella continuità.

E cosa suggerisce il calo di queste settimane?

I dati di cui sopra ci spingono a ritenere che il -8,6% messo a segno dal Dow Jones dall’inizio dell’anno potrebbe almeno in parte essere ricondotto alla previsione di un cambio della guardia alla Casa Bianca. In sostanza, gli investitori si attenderebbero una vittoria dei repubblicani. Già questo basterebbe a giustificare i ribassi, perché ribadiamo che il mercato azionario a stelle e strisce ha dimostrato negli ultimi decenni di preferire sempre la stabilità, anziché per il cambiamento. Detto ciò, vista anche la presenza in entrambi gli schieramenti di candidati anti-establishment e con elevate probabilità di essere eletti alla presidenza, il crollo potrebbe ampliarsi nei mesi prossimi, indifferentemente dalle attese della vittoria dell’uno o l’altro schieramento e al netto delle tensioni finanziarie internazionali. Finora, il bilancio pende in favore di Wall Street: sulle 9 ultime elezioni presidenziali, ha scommesso bene in 5 occasioni. Restringendo l’analisi dal 1992 ad oggi, quando presumibilmente i sondaggi sono diventati più affidabili (escludendo sempre la fase immediatamente precedente al voto), ha indovinato 4 volte su 6.