Un servizio della trasmissione Report su Rai Tre, condotta da Milena Gabanelli, ha attirato un paio di sere fa l’attenzione degli italiani attorno alle possibili “truffe” in cui può incappare chi volesse investire in diamanti. Non entriamo nel merito del servizio, che prendeva di mira due grosse banche italiane – Unicredit e Intesa Sanpaolo – ma vogliamo qui riepilogare alcune considerazioni contenute in un nostro precedente articolo di giugno, oltre che svolgere qualche considerazione sull’opportunità o meno di puntare sulle pietre preziose in questa fase.

A differenza dell’oro o dell’argento, i diamanti non hanno una quotazione ufficiale e valida in tutto il pianeta. Semmai, ogni settimana viene pubblicata una stima di Rapaport, che viene considerata un “benchmark” per il mercato globale. Tuttavia, non si tratta di un valore di riferimento in senso stretto, poiché il prezzo di una gemma dipende caso per caso dal peso, ma anche dal colore e dalla purezza, oltre che dal taglio. (Leggi anche: Diamanti meno cari di 10 anni fa)

Quanto vale un diamante?

Non è possibile, quindi, affermare seriamente quanto valga un carato di diamante, senza aver prima fatto analizzare la pietra da un esperto. A titolo puramente indicativo, possiamo solo dire che per Rapaport, un grammo di diamante puro e in possesso delle caratteristiche standard varrebbe oggi 50.000 dollari.

Investire in diamanti è cosa assai diversa dal farlo in oro. Nonostante sia considerato un bene-rifugio, al pari del metallo, le pietre godono di un mercato molto meno liquido. Potrebbero trascorrere persino anni, prima di riuscire a trovare un acquirente, anche perché l’ostacolo maggiore è dato, appunto, dalla difficile valutazione del prezzo, che presuppone il possesso quanto meno di un certificato di garanzia da parte del venditore. (Leggi anche: Investire in diamanti, occhio alle truffe)

 

 

 

I diamanti sono davvero così rari?

L’industria dei diamanti è nel mirino della stampa internazionale da almeno un decennio, dopo che si è scoperto che alcune grosse compagnie estrarrebbero molte più pietre di quante ne dichiarino ufficialmente, salvo depositarle nei caveau, al fine di sostenere il prezzo.

Si teme, quindi, che i diamanti siano meno rari di quanto ad oggi pensiamo, per cui le quotazioni verrebbero “gonfiate” da questo stratagemma.

Va detto, che per ricavare un grammo di pietra preziosa è necessario estrarre 10 tonnellate di roccia; da qui, il prezzo di vendita molto elevato. Domanda: ma le quotazioni sarebbero destinate a crescere e a conservare almeno il loro valore nel tempo, oppure l’investimento potrebbe rivelarsi deludente?

Il futuro dei diamanti è dei giovani

Il prezzo medio odierno dei diamanti venduti nel pianeta è tornato ai livelli del 2006, che a loro volta erano simili o poco superiori a quelli di fine anni Novanta. Per comprendere quale direzione potrebbero assumere i prezzi, però, bisogna fare i conti con le previsioni sulla domanda e l’offerta.

La prima dipende molto dall’evoluzione delle preferenze dei consumatori e a tale proposito si guarda con sempre maggiore interesse alla cosiddetta generazione dei “Millenials”, ovvero dei nati tra l’inizio degli anni Ottanta e la metà degli anni Novanta, la cui età è oggi compresa tra i 18 e i 34 anni. (Leggi anche: L’industria dei diamanti punta sui giovani e cambia slogan)

 

 

 

Le ricerche di De Beers

Diverse ricerche di mercato, di cui vi abbiamo dato conto, hanno trovato un minore interesse da parte dei giovani di oggi per l’ostentazione della ricchezza, che nei decenni passati avveniva anche indossando un qualche diamante al collo o al polso. Tuttavia, le ultime stime di De Beers, che rappresenta il 30% del mercato mondiale delle gemme, sono molto meno pessimistiche di quanto possiamo ipotizzare.

Nel 2015, i “Millenials” americani, ovvero di uno dei principali mercati, hanno speso 16 miliardi di dollari in diamanti, rappresentando il 41% degli acquisti complessivi, in perfetta linea con il 42% del 1999.

Vero è anche, però, che solo il 28% di loro risulta sposato (e i diamanti sono molto legati agli eventi matrimoniali) e che il loro reddito pro-capite è oggi inferiore a quello di fine anni Novanta, dunque, vi sarebbe una minore capacità di acquisto. (Leggi anche: De Beers svela i segreti dei diamanti)

Il brand è ricercato

Sempre la ricerca ha trovato che le donne giovani tenderebbero a concentrarsi più sui diamanti di marca: il 39% di loro ha acquistato nel 2015 pietre dal brand rinomato, contro il 33% del totale delle donne. Cosa significano questi dati, nel loro complesso? La crisi dei diamanti non possiamo escluderla nel prosieguo, ma una certificazione di garanzia e l’affidarsi a brand di tutto rispetto potrebbero sostenerne i prezzi e ridurre i tempi per l’eventuale disinvestimento.

E gli acquisti tramite banca? Non possiamo criminalizzare gli istituti e le commissioni da questi applicati, ma bisogna semmai drizzare le antenne sulle condizioni contrattuali. Ad esempio, se il terzo venditore s’impegna a riacquistare in ogni momento la pietra, si dovrebbe quanto meno valutarne i costi caricati sull’operazione e l’obbligatorietà del vincolo assunto. Di certo, bisogna mettere in conto tempi meno rapidi che per l’oro e l’investimento dovrebbe essere effettuato in un’ottica di lungo periodo. (Leggi anche: Investire in diamanti, qualche accorgimento per non sbagliare)