Tempi duri per il dollaro USA e, in generale, per la credibilità del sistema finanziario americano. Se in Asia è già nata un’alleanza sino-russa, volta a rimpiazzare il biglietto verde dagli scambi bilaterali e se i Brics si guardano intorno per costituire istituzioni finanziarie alternative a quelle gestite da Washington, un duro colpo alla forza della divisa americana potrebbe arrivare da Hong Kong.   APPROFONDISCI – La guerra al dollaro continua: i Brics creano riserve comuni per $100 miliardi Russia-Cina: accordo di scambi commerciali senza il Dollaro   Il paese è oggi politicamente sotto il controllo della Cina sin dal 1997, quando il Regno Unito ha dovuto cederne la sovranità.

Ma lo stato gode di un’ampia autonomia, tanto che non solo non si è realizzato lo scenario cupo di chi credeva che il passaggio da Londra a Pechino ne sentenziasse la fine del benessere; al contrario, Hong Kong è oggi uno dei paesi più ricchi al mondo e con un tasso elevatissimo di libertà economica. Tuttavia, la valuta locale, il dollaro di Hong Kong (HKD) è tenuta agganciata al dollaro USA sin dal 1983 a un tasso di cambio di 7,80 HKD per un dollaro americano. La valuta può oscillare al massimo dell’1,27%.   APPROFONDISCI – Grossi guai in Cina. Crolla lo yuan e i cinesi fuggono da Hong Kong  

Storia dell’HKD

In precedenza, l’aggancio era stato all’argento fino al 1935 e successivamente alla sterlina inglese, fino al 1972. Agli inizi degli anni Ottanta, i timori sul futuro dell’economia del paese crescevano, in previsione del passaggio di sovranità dal Regno Unito alla Cina comunista. C’era bisogno di attirare capitali e di agganciare la valuta a qualcosa di forte, che allora era il dollaro. Siamo ai tempi in cui alla Casa Bianca c’era un certo Ronald Reagan e alla guida della Federal Reserve il governatore Paul Volcker.

Entrambi si erano costruiti una fama di difensori della stabilità dei prezzi e della forza del dollaro. Il tasso fisso parve appropriato e le cose sono andate avanti così fino ad oggi. Ma nell’anno 2014, mentre il governo di Hong Kong registra surplus di bilancio, è tra le economie più solide al mondo, esporta a più non posso e attira capitali dal resto del pianeta, gli USA di Barack Obama sono un ente traballante, composto da debito in aumento, deficit commerciale e dei conti pubblici e con un dollaro ridotto a carta straccia, dopo anni di stamperie a tutto ritmo e di tassi zero sotto la gestione Ben Bernanke prima e di Janet Yellen ora. Per questo, il rapporto tra HKD e dollaro USA si è portato ai minimi possibili per il sistema di cambio, ossia a quota 7,75, mentre la banca centrale asiatica è costretta a comprare miliardi di dollari per difendere il cosiddetto “crawling-peg”.

Lo scenario futuro

Eppure, tutto questo non ha più molto senso. Gli analisti pensano che se il cambio fosse libero di oscillare, l’HKD guadagnerebbe il 30% contro il dollaro USA. In termini pratici, è come se i cittadini dello stato asiatico oggi subissero una compressione dei loro salari, in quanto importano beni e servizi dall’estero (il 90% del cibo viene importato) a prezzi artificiosamente superiori a quelli che potrebbero scontare, per via di un cambio ormai irrealistico. Questa situazione potrebbe presto cambiare, se fossero vere le voci della volontà del governo di Hong Kong di rivalutare il tasso di cambio, aggiornando il rapporto fissato 31 anni fa, o ,addirittura, se il cambio fosse lasciato del tutto libero. In un solo colpo, il paese abbasserebbe l’inflazione, eviterebbe la creazione di bolle finanziarie e aumenterebbe il potere di acquisto dei suoi cittadini. Al contempo, gli USA avrebbero conferma di quello a cui si sono ridotti.