Tempi di bilanci per la moneta unica, entrata nelle tasche dei cittadini dell’Eurozona nel 2002, anche se già era nei fatti la valuta ufficiale dell’Area sin dal 1999, con i tassi di cambio interni fissati in modo definitivo.

Uno dei maggiori fautori dell’euro in Italia fu Romano Prodi, che divenne presidente del consiglio per la prima volta nel 1996 e guidò, quindi, il processo finale che portò l’Italia nell’euro, attraverso il rispetto dei cinque parametri previsti. Memorabile, quanto infelicissima, una sua frase di sostegno al progetto della moneta comune: “Per noi italiani sarà come lavorare un giorno in meno al mese e guadagnare per un giorno in più”.

Sappiamo che le cose sono andate un pò diversamente, perché è vero che stiamo lavorando un pò di meno, ma questa è un’altra storia.

 

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La profezia della Thatcher

Ci fu un’altra profezia, questa sì, ahinoi, verificatasi alla virgola. E’ dell’ex premier britannico Margaret Thatcher, contrarissima all’euro, tanto che considerò un tradimento il sì di Giulio Andreotti alla moneta unica. Di lei si sa che a Roma, quando nel 1990 si iniziò a parlare seriamente del progetto, la Lady di ferro s’imbestialì e sbatté la borsetta contro il tavolo per la rabbia. Tornando a Londra, scoprì che metà del suo stesso partito (conservatore) le era contrario, ma lei giustificò la sua posizione con queste parole: “La Germania mostrerà la sua storica fobia per l’inflazione e i paesi del Sud Europa, meno produttivi, avranno problemi a restare competitivi con una moneta forte e ci saranno tensioni”. Qualche settimana dopo si dimise da premier.

I dubbi postumi di Prodi

Questa è la storia. Sappiamo com’è andata. Non potevamo immaginare, invece, che il convintissimo pro-euro Prodi iniziasse a mostrare qualche segno di cedimento della sua granitica fiducia nell’euro.

Forse avvertendo l’impopolarità in patria del nuovo conio, in un convegno di pochi giorni fa, l’ex premier ha sostenuto che il tasso di cambio tra euro e dollaro sarebbe sopravvalutato e che  dovrebbe attestarsi tra 1,1o e 1,20. Peccato che ciò implicherebbe una svalutazione tra il 20 e il 30% (oggi siamo tra 1,37 e 1,38) e che la Germania lo ritenga persino sottovalutato, rispetto ai suoi fondamentali, temendo un surriscaldamento dei prezzi tedeschi.

Ciò che ha omesso di dire Prodi è come arrivare alla svalutazione, essendo vietata dai Trattati. E, soprattutto: ma se il cambio di mercato non sarebbe congeniale alla nostra economia, non sarebbe meglio tornare direttamente alla lira? E ancora: perché svalutare l’euro del 20-30% non sarebbe un rischio, mentre lo sarebbe tornando alla lira con lo stesso livello di svalutazione attesa?

Il suggerimento di Prodi

In realtà, Prodi indica una via all’Italia: allearsi con Francia e Spagna contro la Germania, chiedendo una nuova gestione dell’unione monetaria. L’ex premier dimentica o gli sfugge che la costruzione della moneta unica o è così, come la Germania di Helmut Kohl (suo amico) la volle negli anni Novanta, o non è. Perché mai e poi mai i tedeschi acconsentirebbero a una mutazione genetica della “loro” creatura. Le resistenze di Londra si spiegano anche per questo.

Potremmo mai pensare che un economista e politico esperto come Prodi non avvertisse già nel 1996 che l’euro avrebbe comportato negli anni problemi di disequilibrio interni all’unione monetaria? Non aveva studiato l’ex premier, nonché ex Prof universitario di Economia, la teoria sulle aree monetarie ottimali? 

Ovvio che sì. Col senno di poi, sulla base delle ultime dichiarazioni dell’ex premier, pare di capire che ancora una volta in Italia prevalse negli anni Novanta una visione corta delle cose.

Troppo facile, però, mettere in croce il solo Romano Prodi, visto che l’ingresso nell’euro riscosse il plauso pressoché unanime di tutte le forze politiche e sociali del paese.