Gran confusione con il Dl competitività. Solo quando sarà approvato da entrambe le Camere in via definitiva avremo modo di capire come siano stati modificati il codice civile e il Testo Unico della Finanza (TUF), in merito alla possibilità per le spa non quotate di emettere azioni a voto plurimo e alla facoltà concessa anche alle quotate di prevedere una soglia più bassa al 25% per fare scattare l’OPA obbligatoria, qualora non vi sia un socio con capitale maggiore. Sono questi i due punti più controversi del Dl.

L’intenzione del governo Renzi sarebbe ufficialmente di stimolare la quotazione delle società in borsa, senza il timore per i soci di perdere facilmente il controllo per via di scalate ostili o in seguito a un aumento di capitale. Ma è evidente come le conseguenze di due norme, in particolare, sarebbero di tutt’altro tenore.   APPROFONDISCI – Ecco le leggi del protezionismo finanziario di Renzi, proteggeranno i soliti noti  

Il voto plurimo

Una norma che modifica il quarto comma dell’art.2351 del codice civile consente alle società per azioni non quotate di avvalersi della possibilità di emettere azioni con voto plurimo, fino a un massimo di due voti per ciascuna azione, se il titolo è stato detenuto ininterrottamente dall’azionista per almeno due anni. Non si tratterebbe di una vera categoria di azioni a parte, bensì di una facoltà concessa alle spa di premiare l’azionariato stabile. Per questa via, però, se da un lato si incentiverebbero le quotazioni a Piazza Affari, dall’altro i soci diventerebbero più inamovibili e ciò farebbe venire meno quell’efficienza ex ante che il mercato finanziario determina sulla gestione societaria, dato che riduce il rischio di essere estromessi dalla governance per i manager e gli azionisti.

La soglia OPA obbligatoria

Le società già quotate non potranno avvalersi di tale facoltà, ma avranno diritto a un altro “regalo” del governo: potranno inserire nei loro statuti una soglia più bassa al 25% del capitale (era il 20% nella prima bozza) per fare scattare l’OPA obbligatoria, qualora non esistano soci con partecipazioni più alte.

Non solo: derogando alla previsione generale, per cui lo statuto societario si modifica con l’approvazione del 2/3 del capitale presente in assemblea, per sette mesi si potranno introdurre tali modifiche a maggioranza semplice del capitale presente in assemblea, anche in prima convocazione. Per le piccole e medie imprese, infine, è assegnata la facoltà di introdurre una soglia per l’OPA obbligatoria, compresa tra il 20 e il 40% del capitale. Perché mai tanta fretta? Semplice: le OPA rendono la proprietà contendibile ed espongono le gestioni inefficienti al rischio di essere spazzate via dall’arrivo di nuovi azionisti, allettati dai prezzi bassi delle azioni, dovuti proprio alla cattiva gestione di una società. Abbassando la soglia oltre la quale scatta l’obbligo di lanciare un’offerta sul capitale rimanente, formalmente si cerca di tutelare gli azionisti di minoranza, nei fatti si vuole incrementare il costo dell’operazione, disincentivandola. In più, lo stato potrebbe cedere fette importanti di società come Eni ed Enel, scendendo anche al di sotto del 25%, senza il timore di perdere il controllo. Insomma, le solite privatizzazioni all’italiana, dove chi comanda è sempre il Tesoro, ovvero la politica.

Le altre norme

Ma si aggiungerà altra confusione, se passeranno le norme che consentiranno alle società che si quoteranno in borsa di usufruire anche del ricorso al voto limitato e al voto scaglionato. Il primo è il contrario del voto plurimo: posso votare in assemblea fino a una certa percentuale di capitale. Il secondo è una versione più complessa di questa: ad esempio, avrò diritto a un voto per ogni azione fino al 5% del capitale, a un voto ogni due azioni dal 5% al 10% del capitale, a un voto ogni 5 azioni oltre il 10%.

La ratio di tutte queste norme, per quanto tecnicamente possano sembrare complesse, è chiarissima: impedire il più possibile che gli azionisti stabili perdano il controllo, evitare che i capitali esteri possano scalzare via le gestioni ataviche delle nostre aziende, tutelare il capitalismo relazionale senza capitali italiano, impedire un ricambio ai vertici aziendali. Domanda: e vogliamo attirare capitali stranieri così? Sarebbe questa la competitività che si vuole rilanciare con il decreto? Da un premier rottamatore ci si sarebbe aspettati altro. Pensate se anche alle primarie del PD avessero applicato il voto plurimo in favore dei “vecchi” soci del partito. Matteo Renzi non sarebbe stato nemmeno sindaco di Firenze.