Giudicare la Brexit la causa della disgregazione percepita della UE sarebbe un errore madornale. L’esito del referendum di ieri è la classica goccia che fa traboccare il vaso, anche se in parte riflette l’atteggiamento tiepido con cui i britannici sono restati nelle istituzioni comunitarie per 43 anni. L’origine della crisi dell’Europa attuale risale a ben prima e precede persino lo scoppio della crisi finanziaria ed economica del 2008. In pochi ricordano che nel 2005, i francesi bocciarono a maggioranza i Trattati di Lisbona, ovvero quella che viene considerata oggi la Costituzione della UE.

Lo stesso fece l’Olanda.

L’insoddisfazione per la costruzione europea fu palpabile già con l’ingresso nell’Eurozona dei primi 12 membri, oggi saliti a 19. La moneta unica avrebbe dovuto portare benessere e stabilità economica e finanziaria, ma così non sembrò sin dai primi anni. L’exploit del malessere si ebbe chiaramente con la crisi. Alti livelli di disoccupazione, crollo degli standard di vita dei cittadini dell’area, gestione pasticciata e impopolare dei focolai di crisi dei vari debiti sovrani e la necessità di sottoporre diverse economie a una cura di austerità fiscale hanno progressivamente innalzato il livello dell’euro-scetticismo, come ci segnalavano nel 2014 le elezioni europee.

Crisi UE esplosa con economia

La UE sembra avere fatto di tutto per rendersi poco credibile agli occhi dei suoi stessi cittadini, esibendo un atteggiamento apparentemente arrogante, poco dialogante con i governi e improntato alla richiesta incessante di sacrifici, che giusti o sbagliati che siano, non sono stati correlati nel breve e medio termine a un miglioramento delle condizioni economiche.

La debole ripresa dell’area, ad eccezione di qualche paese, ha contribuito a tenere alti i tassi di disoccupazione, che tra i giovani del Sud Europa arriva a riguardare una persona su due. Naturale che sia attecchita la disaffezione verso Bruxelles, che lungi dal comprendere le ragioni del malcontento, ha proseguito senza alcuna remora nei suoi errori.

 

 

 

Emergenza immigrazione e Grexit, errori fatali

Che dire della gestione fallimentare dell’emergenza immigrazione e profughi, oltre che della minaccia del terrorismo? La risposta dei commissari al boom di consensi di partiti marcatamente xenofobi è stata sempre la stessa: serve l’accoglienza. Fino a pochi giorni fa, il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, spiegava come un continente da mezzo miliardo di persone non dovrebbe avere difficoltà ad ospitare due milioni di nuovi individui. Numeri, che cozzano contro sentimenti diffusi e le realtà urbane e non di tutto il Vecchio Continente.

L’apice del discredito è stato raggiunto lo scorso anno, quando la lotta serrata tra Bruxelles e Atene ha portato quest’ultima sull’orlo del default e dell’uscita dall’euro (Grexit). Disorientati, milioni di europei hanno compreso l’incapacità delle istituzioni comunitarie di far fronte alle crisi.

UE è germano-centrica?

Alla base della rivolta di un numero crescente di popoli e di governi contro l’establishment europeo c’è la sensazione che il loro futuro sia sempre più nelle mani di burocrati lontani dalla realtà in cui vivono e che la sovranità nazionale degli stati sia stata ceduta a organismi, che sembrano rispondere solamente ai diktat tedeschi.

Ed è proprio questo il vero nodo da sciogliere nei prossimi mesi e anni: la UE è una costruzione a guida tedesca? E se sì, gli altri stati ci staranno o preferiranno prenderne le distanze come Londra con la Brexit? Una soluzione realmente alternativa non esiste. La Germania è oggi il paese che maggiormente personifica i paradigmi su cui si regge Bruxelles, come il rigore fiscale, una politica monetaria ortodossa e una tendenza sempre più solida all’apertura dei commerci con il resto del mondo.

 

 

Nessuna vera alternativa alla Germania

Diversi partner, tra cui la stessa Francia, non sembrano in grado di tollerare sul piano, anzitutto, politico questo tipo di impostazione.

Finora, i tentativi di trovare soluzioni alternative sono naufragate nel nulla, come dimostra il fallimento del governo Tsipras in tal senso. Lo stesso Eliseo, pur critico verso Berlino, sia sotto i conservatori che i socialisti preferisce restarne legato, non essendo in grado di contrapporre una costruzione diversa.

La Brexit è l’amaro risveglio di un continente da troppi anni in dormiveglia, non in grado di rispondere alle richieste dei popoli, se non con la creazione di apparati, regole e patti, che finiscono per ampliare il solco con gli elettori. Che l’uscita di Londra possa suonare come una sveglia o al contrario essere la premessa di una disgregazione ancora più ampia lo vedremo nei prossimi mesi. Volendo scommettere oggi, la seconda ipotesi appare più probabile.