Mentre il governo Renzi imbraccia con la Germania della cancelliera Angela Merkel un duro confronto per giungere all’allentamento dei parametri europei sul deficit, diversi analisti, economisti e semplici osservatori continuano a sostenere che la soluzione alla crisi dell’euro sarebbe la svalutazione della moneta unica, nell’ordine di almeno il 20%. Grazie ad essa, spiegano, paesi come l’Italia, le cui esportazioni sono sensibili al prezzo, beneficerebbero della misura, migliorando la propria bilancia commerciale e aumentando il reddito.   APPROFONDISCI – A.E.Pritchard: la crisi dell’euro non avrà fine. Ci sarà un futuro terribile   Ma il Professore Alberto Bagnai, noto critico dell’euro, non la pensa assolutamente così e, anzi, dimostra con una semplice analisi come l’una e l’altra misura sarebbe una non soluzione per l’Italia.

Vediamo perché. L’Italia commercia essenzialmente con i paesi dell’Eurozona, come Germania, Francia, Austria, etc. Se l’euro fosse svalutato contro le altre valute, non vi sarebbe alcun cambiamento nel rapporto di import-export all’interno dell’Eurozona. Al contrario, gli studi dimostrano come le importazioni italiane seguano moltofedelmente il nostro reddito. Ciò significa che se l’Italia dovesse esportare qualcosa in più verso le economie esterne all’Area Euro (USA, Giappone, Brics, etc.), grazie a un tasso di cambio dell’euro più debole, il maggiore reddito derivante dall’incremento del nostro export farebbe lievitare, con ogni probabilità, la nostra domanda di beni e servizi provenienti dal resto dell’Eurozona. In sostanza, la maggiore ricchezza italiana prenderebbe quasi subito le vie della Germania, della Francia e degli altri paesi dell’unione monetaria, comportando una posizione netta dell’Italia quasi invariata rispetto a prima. Dalle simulazioni di Bagnai, quindi, dovremmo supporre che la svalutazione dell’euro stimolerebbe di meno le esportazioni del Nord Europa e/o che l’elasticità delle importazioni tedesche dal resto dell’Eurozona ai redditi in Germania sarebbe inferiore alla nostra.
La dimostrazione che tale analisi non sia ardita la si ha dall’andamento delle partite correnti italiane dal 1997, anno dell’aggancio della lira all’ECU prima e all’euro dopo. A fronte di ampie oscillazioni del tasso di cambio tra l’euro e il dollaro (ma anche verso altre valute), il saldo del nostro paese – che registra l’import-export di merci e capitali – è andato peggiorando quasi costantemente, senza risentire granché delle variazioni esterne all’Area Euro. Per Bagnai, la stessa cosa accadrebbe indebolendo il Patto di stabilità: una maggiore spesa pubblica italiana aumenterebbe la domanda interna, ma alimenterebbe le importazioni di merci stranieri, peggiorando la posizione netta del nostro paese.   APPROFONDISCI – Fine dell’austerità solo con la fine dell’Euro. Ecco perché Bagnai attacca Tsipras   Pertanto, secondo il Prof, la soluzione non è la svalutazione dell’euro, né chiedere parametri europei più flessibili, quanto riconsiderare i tassi di cambio nominali interni all’Area Euro, ossia tra centro e periferia. In più, dovrebbe essere il Nord Europa (Germania) ad espandere la sua spesa pubblica in modo drastico, perché tale shock fiscale porterebbe a un aumento dei redditi tedeschi, stimolando le esportazioni delle merci italiane e del resto del Sud Europa. La lucida analisi di Bagnai smentisce, quindi, i fautori delle soluzioni facili pro-svalutazione. Il problema dell’euro è la natura stessa dei suoi cambi fissi e definitivi all’interno dell’unione  monetaria. O si rivedono questi o si costringe la Germania a fare più spesa pubblica. Sarà certamente una missione impossibile sia l’una che l’altra richiesta.   APPROFONDISCI- The Guardian: l’euro è già fallito, ci sarà una lunga crisi